Confesso di essere rimasto spiazzato una settimana fa (o giú di lí), quando giornali e televisioni del mondo intero, con ammirevole sincronismo, hanno lanciato la nuova campagna anti-Putin, quella che imputa al Presidente russo nientedimeno che il progetto di affamare i paesi piú poveri del mondo con un’altra delle sue mosse assassine: bloccando, cioé, le esportazioni di grano dall’Ukraina. Sono rimasto spiazzato perché, pur sapendo che l’Ukraina é una grande produttrice di grano, non mi risultava che fosse addirittura il granaio del mondo... quello che, se si blocca lui, il pianeta é alla fame.
Intendiamoci, l’agricoltura ukraina non é certo poca cosa. Ha una dotazione di 32 milioni di ettari di terreni coltivabili, e di ottima qualitá. Piú o meno un terzo delle aree agricole dell’intera Unione Europea. Ma non vi si coltiva solo grano e, comunque, non in quantitá tale – mi sembrava di ricordare – da determinare la vita o la morte di milioni di persone.
Per rinverdire le mie nozioni di geografia agroalimentare sono dunque corso a controllare su quella che é la nuova Bibbia del sapere universale: Wikipedia. Ed ho avuto conferma della giustezza dei miei ricordi e, al tempo stesso, della stranezza – per usare un eufemismo – della nuova campagna di stampa mainstream.
Consultando la voce “Statistiche sulla produzione mondiale di frumento” ho appreso che l’ultimo dato statisticamente accertato fissa la produzione mondiale di grano a 682 milioni di tonnellate; ed ho anche potuto prendere visione della graduatoria dei paesi produttori, che riporto qui appresso.
Al primo posto la Cina (115 milioni di tonnellate), al secondo l’India (81 milioni), al terzo la Russia (62 milioni), al quarto gli USA (60 milioni), e poi Francia, Canada, Germania, Pakistan, Australia. L’Ukraina é al decimo posto, con 20,9 milioni di tonnellate. Seguono Turchia, Kazakistan, Gran Bretagna, Iran, eccetera. L’Italia – per la cronaca – é scivolata giú, al ventesimo posto, con 6,3 milioni di tonnellate di grano prodotto.
Se la matematica non é un’opinione, quindi, l’Ukraina rappresenta soltanto il 3% (dicesi: tre per cento) della produzione mondiale di frumento. Epperció, quand’anche dai suoi porti non dovesse partire un solo chicco di grano, il mondo potrebbe trovare agevolmente come supplire a questa modesta riduzione. Basterebbe che i maggiori produttori stornassero una piccola parte delle loro esportazioni verso il sud del mondo, e tutto si sistemerebbe. Certo, i paesi africani non potrebbero pagare lo stesso prezzo pagato dai paesi europei, ma sono sicuro che USA, Canada e onorata compagnía non avrebbero da obiettare ad una piccola decurtazione dei loro guadagni. Una inezia a fronte del fiume di denaro speso per armare “la resistenza ukraina”.
E allora, come mai questa nuova ossessiva campagna di stampa? Solo per aggiungere qualche altro improperio all’indirizzo di Putin? Mi pareva una cosa esagerata. A un certo punto, peró, mi é sembrato di ricordare qualcosa circa i rapporti di Zelenskyi con il mondo finanziario americano, e sono andato a controllare nel mio archivio.
Bingo! Ricordavo bene. Ma non ricordavo tutto. Perché Zelenskyi é stato eletto Presidente nel 2019 (e in altra occasione vedremo come), mentre l’assalto delle multinazionali all’agricoltura ukraina dura da molto tempo prima: almeno dal colpo-di-Stato filoamericano del 2014, e in parte anche dall’indomani del raggiungimento dell’indipendenza dall’URSS (1991).
É dai primi anni ’90, infatti, che l’agricoltura ukraina (e non solo l’agricoltura) é diventata oggetto delle mire accaparratrici di banche d’affari e fondi d’investimento, che si sono scontrati contro l’interesse della vicina Russia al mantenimento dello status quo, specie dopo l’ascesa al potere di Putin (1991).
Lo scontro fra USA (con UE al guinzaglio) e Russia in Ukraina era dovuto anche a questo fattore, fino alla svolta drammatiche di piazza Maidan nel 2014: gli incidenti creati ad arte, il colpo-di-Stato contro il Presidente (filorusso) democraticamente eletto, e la formazione di un governo di coalizione fra tutti i partiti (filo-USA e filo-UE) usciti sconfitti dalle elezioni.
Era a quel punto che il cosiddetto Occidente abbandonava anche l’ultimo barlume di decenza e partiva all’assalto della diligenza ukraina. Gli strumenti erano sempre gli stessi: aiuti economici (della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, eccetera) subordinati alla approvazione di “riforme”. “Riforme” che, oltre al solito massacro sociale, imponevano di far cadere ogni ostacolo alla privatizzazione dei terreni agricoli (ma non solo agricoli) ed alla loro vendita a soggetti stranieri. Sempre all’insegna della democrazia, del progresso, dei mercati, eccetera. Stesso copione – diró per inciso – di quello greco. E di quello che qualcuno vorrebbe attuare in Italia.
V’era ancora qualche brandello di resistenza alle privatizzazioni, ma ci pensava il prode Zelenskyi – appena subentrato a quelli di Maidan – a far cadere le ultime resistenze dei reazionari che si opponevano alla svendita dell’economia ukraina agli stranieri. Era infatti l’ex comico, giunto “per caso” (ma chi ci crede?) alla presidenza della repubblica, che nel 2020 abrogava le ultime leggi che ancóra proteggevano l’economia ukraina dal saccheggio a stelle e strisce.
Oggi, grazie alla lunga marcia di Kyiev “verso la democrazia”, le multinazionali straniere e le societá ukraine possedute da soggetti stranieri detengono qualcosa come 6 milioni di ettari dei migliori fra i terreni agricoli ukraini. Ma il gioco delle scatole cinesi potrebbe celare dell’altro. Secondo alcune stime, infatti, soltanto tre multinazionali americane (la Cargill, la Dupont e la Monsanto) controllerebbero circa 17 milioni di ettari; un dato forse esagerato, che corrisponderebbe piú o meno al totale di tutte le superfici agricole italiane.
A questo punto, comunque, sarebbe lecito chiedersi a chi appartenga veramente “il grano dell’Ukraina” di cui il cattivissimo Putin impedirebbe la partenza dai porti del Mar Nero. E sarebbe lecito chiedersi anche se, per caso, questa nuova campagna di stampa non miri, piuttosto, ad evitare qualche buco nel bilancio delle multinazionali.
A parte il fatto che, di tutti “i porti sul Mar Nero”, all’Ukraina resta praticamente solo il porto di Odessa, reso inutilizzabile proprio dall’esercito ukraino, che lo ha minato per impedire lo sbarco dei russi. Basterebbe che gli ukraini lo sminassero, e le navi con il grano potrebbero salpare tranquillamente.
Quanto a Zelenskyi (diventato “per caso” Presidente proprio in coincidenza con il picco di provocazioni NATO contro la Russia) torneró a dire quanto prima. Le ricerche sull’arrembaggio americano all’economia ukraina mi hanno fatto imbattere nei “Pandora Papers”, frutto dell’indagine del Consorzio Internazionale dei Giornalisti Investigativi sulla corruzione e sugli illeciti finanziari da parte di elementi al vertice delle nazioni di tutto il mondo.
Il rapporto, pubblicato alcuni mesi fa (ottobre 2021), fornisce notizie assai interessanti sugli affari di Zelenskyi, del suo “cerchio magico” e della societá di produzione televisiva che ha costruito il “personaggio” che é diventato poi Presidente dell’Ukraina.
Michele Rallo
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