mercoledì 29 febbraio 2012
Veterinari, vegetariani per amore o per forza...
Allo stesso modo del medico generico che sceglie questa professione per alleviare le sofferenze degli umani, l’opera del veterinario è quella di prestare cura e soccorso agli animali, prodigarsi per il loro bene, tutelarli dalla sofferenza o peggio ancora dalla morte. Di conseguenza il veterinario, se cura con passione e amore un animale bisognoso di assistenza, non può che essere vegetariano; se invece usa mangiare la carne inevitabilmente causa agli stessi animali che cura la pena suprema della macellazione e quindi dolore e agonia, e questo è a dir poco un paradosso perché una mano non può accarezzare e l’altra colpire.
Ma come un medico generico non lascerebbe torturare un suo simile e tantomeno lasciarlo uccidere, come può un veterinario, che cura (si presume) con amore gli animali, considerare normale poi mangiarseli a tavola?
Come può mangiare lo stesso fegato che ha curato, lo stesso muscolo, lo stesso arto e non essere preso da sgomento e disgusto? E come è possibile avvicinarsi con amore e dedizione verso un animale se si nutre la convinzione che quella creatura possa essere fatta a pezzi e cucinata?
Il veterinario dovrebbe essere tra i palatini della causa vegetariana, il maggiore difensore dei diritti animali; succede invece che tra i simpatizzanti della causa vegetariana-animalista professionisti di ogni estrazione e di ogni categoria, vi sono medici chirurghi, psicologi, pediatri, chimici, biologi, ecc. ecc. ma stranamente a questa lista non compare mai (o quasi mai) la professione di veterinario.
Non si lamentino poi i veterinari se in qualche modo si sentono medici di serie B: fino a quando considereranno gli animali pazienti di serie B rispetto agli umani questi continueranno a considerare tale la loro professione rispetto alle altre categorie di medici.
Franco Libero Manco
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martedì 28 febbraio 2012
Manuel Olivares... qualcosa che so di lui.. Di Pietro Giarola
Manuel Olivares con Smirti a Spilamberto
Manuel Olivares è uno scrittore che viaggia da anni nel mondo raccogliendo le esperienze e testimonianze più disparate e facendone tesoro nei suoi libri. In questa intervista, racconta in sintesi la sua esperienza, divenuta ormai esperienza di vita: dai primi viaggi in Europa poco più che adolescente, fino a giungere ad oggi (anzi a ieri…), rispondendo alle nostre domande dal nord della Thailandia.
Esperto e studioso del fenomeno degli eco-villaggi, ha scritto diversi libri sull’argomento e, con nostra grande soddisfazione, ha anche accettato di collaborare con Spirito Libero Mag, curando una rubrica specifica sulle comuni in tutto il mondo che sempre più stanno attraendo ad un nuovo e diverso stile di vita migliaia e migliaia di persone.
A quanti anni hai iniziato a viaggiare e qual è stata la spinta iniziale?
Ti rispondo citando un passaggio di un mio scritto per la raccolta L’olfatto tra storia, scienza ed arte. Il titolo dello scritto è L’odore del viaggio:
«ho iniziato ad amare la dimensione del viaggio sul finire delle scuole superiori, vivendo i primi inter-rail, viaggiando ― zaino in spalla e sacco a pelo — con un economico biglietto ferroviario, valido per un mese, nell’Europa intera.
Sin da allora compresi, in tutte le mie cellule, le enormi potenzialità del viaggio per innestare un processo espansivo della coscienza. Dunque non solo, banalmente, le potenzialità formative ma quelle psichiche, antropologiche e di “crescita integrale”».
La spinta iniziale era un desiderio allora confuso di “viverealtrimenti”, un desiderio di conoscenza più che, forse banalmente, di curiosità. C’era poi, soverchiante, la ricerca di libertà, una ricerca di cui non mi sto, paradossalmente, riuscendo a liberare neanche in età adulta. La mia dimensione esistenziale è, difatti, nomadica. Insieme a me è cresciuto lo spazio in cui mi muovo. Se, allora, alla fine del liceo, mi muovevo tra Parigi, Berlino, Amsterdam e Copenaghen, oggi mi muovo tra Fabrica di Roma (in provincia di Viterbo), Londra, Varanasi (India), Kathmandu, Colombo e Chiang Mai (in Thailandia, da cui sto scrivendo ora).
Durante un piccolo meeting tra amici, quest’ultimo capodanno, a Londra, ho avuto un momento di profonda commozione. Abbiamo difatti scoperto, su You Tube, un video del brano, di Fabrizio De Andrè, Khorakhanè, inserito nell’ultimo suo album: Anime Salve. È quel brano in cui lui canta di un’etnia di rom musulmani, originari soprattutto del Kosovo. Il termine sta per “lettori del Corano”.
Credo che molti di coloro che stanno leggendo abbiano presente il brano. L’ultima parte è cantata in lingua Khorakhanè da Dori Ghezzi. Pochi hanno letto la traduzione di quel canto etnico:
poggerò la testa sulla tua spalla
e farò un sogno di mare
e l’indomani un fuoco di legna
perchè l’aria azzurra diventi casa.
Chi sarà a raccontare?
Chi sarà?
Sarà chi rimane.
Io, seguirò questo migrare,
seguirò questa corrente di ali.
Credo sia un brano che racconti in grande semplicità e, tuttavia, profondità una certa essenza del nomadismo. Una coscienza espansa, una famigliarità con elementi diversi, incontrati e vissuti nel proprio migrare. Una dimensione esitenziale della casa del tutto mobile, versatile. La stessa aria azzurra, se si viene riscaldati da un fuoco di legna, può essere vissuta come “propria”, temporanea intimità domestica. E poi il dilemma di come condividere il proprio essere, i racconti con i propri simili. Il sollievo nella consapevolezza che il racconto non si disperderà, che le memorie rimarranno salde e che ci saranno dei “guardiani delle stesse”. Questi, saranno coloro che rimangono, gli stanziali, coloro che offrono rifugio sicuro ai nomadi, in cambio di storie, echi di posti lontani, in buona parte sconosciuti. Il nomade, invece, non potrà che seguire il proprio bisogno, insopprimibile, di migrare. Di migrare non necessariamente in solitudine, seguendo un grande flusso esistenziale, una corrente di ali, dispiegate in uno spazio ampio e, tuttavia, con tante espressioni di famigliarità, nel momento in cui il nomadismo diventa uno stile di vita che stratifica nel tempo. A chi pensa che il nomade non abbia radici posso rispondere che, invece, ne ha tante e diversificate, in tanti posti, culture e dimensioni esistenziali differenti.
Quel brano di Khorakhanè mi ha aiutato a sciogliere un nodo che mi portavo da giorni: ritornare o non ritornare in India. La tentazione era di sedentarizzare a Londra ma qualcosa mi diceva che non era la cosa giusta da fare, almeno in quel momento. La risposta è arrivata, semplice ed immediata: seguirò questo migrare, una corrente di ali di cui sentivo la fragranza; la stavo cogliendo nei progetti di amici e conoscenti che stavano organizzandosi per svernare in India e nella consapevolezza che altri amici mi aspettavano in Thailandia. Non restava altro che organizzare gli aspetti pratici della partenza e, semplicemente, andare.
Spero di aver risposto in maniera soddisfacente alla tua domanda, pur con qualche divagazione, proiettandomi nell’oggi. E tuttavia, oggi riesco solo a comprendere meglio la spinta iniziale di cui mi chiedevi. Allora era in nuce, oggi è vita quotidiana.
Quanti eco-villaggi hai visitato e perché questa tua grande passione al riguardo?
Torniamo sempre al desiderio di “viverealtrimenti”. Scoprii la vita comunitaria nella seconda metà degli anni ’90, in una “giovane” comune scozzese. Ero lì a fare il volontario con lo SCI (servizio civile internazionale). C’era un piccolo nucleo di persone che stavano recuperando alcune vecchie case in pietra. Trovai in quel posto, in quelle persone, una grande libertà interiore, la capacità profonda di vivere il proprio essere degli eccentrici, dei diversi, con uno spirito di profonda accettazione. Era anche molto divertente vivere una dimensione di famigliarità (si mangiava insieme, si usavano gli stessi servizi, si lavorava e “delirava” assieme; si diventava familiari per forza) con persone conosciute da poco, che parlavano una lingua diversa ed erano nate e cresciute in un posto molto diverso dal mio.
Colsi subito lo “spirito comunitario”, quello che ho poi ritrovato, in molte varianti, in esperienze comunitarie diverse, in Italia e nel mondo. Individuai, sin da allora, quella che può essere considerata una sorta di costante comunitaria, la sensazione per cui dovunque si è, nel momento in cui si è in una comunità (gli ecovillaggi sono comunità ecosostenibili ma, prima di tutto, comunità), ci si sente a casa. È stata una scoperta straordinaria, in certa misura molto tranquillizzante. Ho difatti compreso che non è indispensabile conquistarsi faticosamente un proprio spazio vitale da difendere con i denti dagli intrusi. Piuttosto, che se si impara a vivere in comunione con i propri simili ci si può sentire a casa ovunque (un po’ come il Khorakhanè che, nel momento in cui si scalda davanti al fuoco, si sente profondamente a casa anche se la sua casa, in quel momento, manca addirittura di pareti o, meglio, ha pareti impalpabili, di aria).
Un'immagine di Findhorn
Ho visitato molte comunità intenzionali ed ecovillaggi, in Italia, in Danimarca, in Scozia (anche la mitica Findhorn Foundation) e poi in India, in Thailandia, in Sri Lanka. In particolare in Sri Lanka ho ritrovato felicemente la costante di cui ti parlavo. Ero lì per ragioni di visto, me ne serviva uno nuovo per l’India e ne ho approfittato per visitare Sarvodaya, un’importantissima esperienza comunitaria di matrice gandhiana e buddhista. Le pratiche per il visto andavano per le lunghe ma io ho iniziato presto a non vivermele più con ansia (anche se in India avevo lasciato la mia donna). Ero a casa, c’era la famosa costante. Gli srilankesi sono molto diversi da noi ma le persone a Sarvodaya non erano srilankesi qualunque. È stata un’esperienza molto intensa quella che ho vissuto, per tre mesi, a Sarvodaya, in quell’umiltà a volte carezzevole, a volte troppo vera per non correrne via, come ho scritto in una mia poesia.
Sarvodaya -Sri Lanka
Dopo aver lasciato “l’isola folle”, per usare l’epiteto con cui la qualificava Terzani (lo Sri Lanka ha dei lati oscuri quasi irraccontabili) ho lasciato che l’esperienza a Sarvodaya nidificasse dentro di me. È stata un’esperienza di grande valore umano. Credo di essermi avvicinato, proprio lì, agli insegnamenti del Buddha, in parte li vedevo, quotidianamente, farsi carne. A volte dovevo fuggire a Colombo, ritrovare il sapore del mondo ma era poi, bellissimo, “tornare a casa”, in una stanzetta povera, sotto una zanzariera bucata. Non ho potuto non tornare, dopo 8 mesi di assenza, in Sri Lanka ed a Sarvodaya. La prima persona che ho riabbracciato è stata Dayakkha, una donna semplicissima che faceva le pulizie (anche se Sarvodaya è una realtà comunitaria e filantropica mantiene comunque la tendenziale cultura gerarchica di cui è impregnata l’Asia). Mi lavava regolarmente i vestiti ed io in qualche modo rappresentavo una sorta di virus, in quel posto, perchè le davo cifre quasi irragionevoli per quel servizio. Dormiva in camera con altre persone molto semplici, non avevano praticamente nulla ma aveva uno sguardo estatico, uno di quegli sguardi che si possono trovare quasi solo in Oriente. In una giornata uggiosa vidi il suo viso diventare radioso quando il sole fortissimo dello Sri Lanka stava squarciando le nuvole: sun is coming, mi disse nel suo inglese poverissimo.Si alzò alle quattro di mattina per salutarci, il giorno della nostra partenza. Le avevo lasciato qualche soldo e lei voleva per forza che portassi qualcosa di suo con me. Mi regalò una semplice statuetta di un elefante che utilizzava come fermacarte. Era una delle poche cose che aveva. Al mio rientro, la trovai nell’ufficio della sezione internazionale. Fu un reincontro molto bello. Come scrissi nel mio libro Barboni sì ma in casa propria, l’ho baciata senza riserve d’affetto.
Quali sono, in sintesi, le origini e motivazioni storiche della nascita di questo fenomeno che sempre più si sta allargando nel mondo?
Esseni
Le primi in ordine storico sono motivazioni di natura religiosa. Non a caso i primi comunitari della storia sono stati gli esseni: una setta religiosa del secondo secolo A.C., attiva in Palestina che aveva probabilmente assimilato elementi pitagorici e buddisti. Su di loro scrisse lo storico romano Flavio Giuseppe. Li presenta come i primi “comunisti” della storia. Comunisti dal volto umano.
Anche in ambito protestante sono sorte molte esperienze comunitarie, che hanno soprattutto attecchito in America dove sono, in parte, ancora attive.
Al filone religioso si è affiancato, a seguito della rivoluzione industriale, il filone utopico, di teorici come Owen, Cabet e Fourier generalmente definiti “socialisti utopisti”.
Nel novecento ha preso corpo il filone esistenziale e rivoluzionario, iniziato con la Beat Generation e proseguito nel movimento hippy e in alcune frange degli ambienti politicizzati e, infine, il filone propriamente ecologico.
Questo non significa che i filoni precedenti si siano esauriti. Al filone religioso se ne è affiancato un altro che potremmo definire, più genericamente, “spirituale”, venuto in particolare alla luce con la nascita del New Age (che alcuni sociologi, ad esempio Massimo Introvigne, riconducono alla data di fondazione della comunità di Findhorn Foundation, in Scozia) mentre le stesse motivazioni politiche continuano, a loro volta, ad innervare la dimensione comunitaria.
Faresti alcuni nomi delle realtà che in giro per il mondo stanno funzionando meglio e quali sono le motivazioni di base?
Un'immagine di Damanhur
Partendo dall’Italia mi sembra che le esperienze elfiche stiano avendo un successo crecente, in virtù di una sostanziale semplicità e, tuttavia, pregnanza della loro organizzazione. Esperienze storiche come la Comune di Bagnaia o relativamente più recenti come Torri Superiore, stanno senz’altro reggendo bene alla prova del tempo. Damanhur, in Piemonte, è anche una realtà in crescita che mantiene buoni rapporti con il circuito comunitario internazionale. È senz’altro l’esperienza comunitaria italiana più complessa e può rappresentare, dal punto di vista organizzativo, un buon modello di riferimento (non entro nel merito degli aspetti esoterici perché non ne sono sufficientemente a conoscenza). Nel mondo, Findhorn Foundation in Scozia ed Auroville in India sono esperienze che chiunque, interessato a dimensioni comunitarie che si impernino sulla necessità di un risveglio spirituale, dovrebbe visitare.
Che consiglio daresti a chi – gruppo piccolo o grande che sia – vorrebbe prendere la decisione di iniziare un progetto di vita in comune?
Innanzitutto di non prendere una decisione del genere alla leggera perché è senz’altro impegnativa. In secondo luogo di non stancarsi di girare, raccogliere dati ed informazioni presso coloro che vivono da tempo un’esperienza di tipo comunitario. Il mondo comunitario è molto eterogeneo, si possono considerare molte formule dunque bisogna essere, possibilmente, accurati e prudenti nelle osservazioni e nelle scelte.
E ad una persona che vuole andarci a vivere?…
Di iniziare a fare esperienze comunitarie senza tagliarsi i ponti alle spalle. Potrebbe cambiare idea. Prima di prendere decisioni particolarmente impegnative consiglio un rodaggio di almeno uno o due anni.
Qual è il tuo libro che maggiormente ti rappresenta e ci puoi dare un cenno sul tuo prossimo lavoro?
Jasmuheen
Il mio libro più personale è senz’altro Barboni sì ma in casa propria ma lo considero una sorta di lavoro, in buona parte, giovanile. Sono molto soddisfatto del mio ultimo lavoro: Con Jasmuheen al Kumbha Mela in cui parlo di quello che credo sia stato il mio percorso spirituale fino ad oggi e, oltre a parlare ovviamente di Jasmuheen (una donna australiana pioniera dell’alimentazione pranica; non assume cibo solido, a parte rare eccezioni, da circa 16 anni) e del Kumbha Mela (il più importante consesso religioso in ambito hindu), cerco di raccontare a fondo l’India che ho conosciuto e che, in buona parte, mi ha deluso. Il mio prossimo lavoro è Sadhu sì ma con la rendita. Un romanzo. In due parole, è la storia di un sadhu eccentrico (anche per essere un sadhu, il termine designa gli asceti itineranti, in India, talora completamente autonomi da qualunque ordine religioso e grandi fumatori). È un asceta che ha, tuttavia, una buona rendita e dunque nei momenti in cui si stanca di essere tale, torna nel secolo, da signore (l’impianto del romanzo è, ovviamente, semiserio). Le sue apparenti contraddizioni non scoraggiano uno spiritello scanzonato, Ciarpame Psichedelico, ad arruolarlo per un’impresa improba: il riavvio della ruota del Dharma. Sadhu si presta all’opera e decide di tentare di rimoralizzare ed equilibrare il mondo cavalcando, con le sue eccentricità, gli insegnamenti del Buddha, persuaso che il Buddhismo sarà quel filone religioso che, lentamente e con i suoi modi proverbialmente morbidi e tolleranti, troverà la strada per conquistare il cuore delle genti, per riportarle su un percorso in cui si possano nuovamente onorare i valori del “buono, del bello e del vero”, dialogando con l’anima migliore delle altre tradizioni religiose.
Una prospettiva verosimile oltre che auspicabile che potremmo anche identificare, con uno slogan, con la rivincita di Dayakkha!
Pietro Giarola
Fonte: http://www.spiritoliberomag.it/2012/02/vivere-altrimenti/
Manuel Olivares è uno scrittore che viaggia da anni nel mondo raccogliendo le esperienze e testimonianze più disparate e facendone tesoro nei suoi libri. In questa intervista, racconta in sintesi la sua esperienza, divenuta ormai esperienza di vita: dai primi viaggi in Europa poco più che adolescente, fino a giungere ad oggi (anzi a ieri…), rispondendo alle nostre domande dal nord della Thailandia.
Esperto e studioso del fenomeno degli eco-villaggi, ha scritto diversi libri sull’argomento e, con nostra grande soddisfazione, ha anche accettato di collaborare con Spirito Libero Mag, curando una rubrica specifica sulle comuni in tutto il mondo che sempre più stanno attraendo ad un nuovo e diverso stile di vita migliaia e migliaia di persone.
A quanti anni hai iniziato a viaggiare e qual è stata la spinta iniziale?
Ti rispondo citando un passaggio di un mio scritto per la raccolta L’olfatto tra storia, scienza ed arte. Il titolo dello scritto è L’odore del viaggio:
«ho iniziato ad amare la dimensione del viaggio sul finire delle scuole superiori, vivendo i primi inter-rail, viaggiando ― zaino in spalla e sacco a pelo — con un economico biglietto ferroviario, valido per un mese, nell’Europa intera.
Sin da allora compresi, in tutte le mie cellule, le enormi potenzialità del viaggio per innestare un processo espansivo della coscienza. Dunque non solo, banalmente, le potenzialità formative ma quelle psichiche, antropologiche e di “crescita integrale”».
La spinta iniziale era un desiderio allora confuso di “viverealtrimenti”, un desiderio di conoscenza più che, forse banalmente, di curiosità. C’era poi, soverchiante, la ricerca di libertà, una ricerca di cui non mi sto, paradossalmente, riuscendo a liberare neanche in età adulta. La mia dimensione esistenziale è, difatti, nomadica. Insieme a me è cresciuto lo spazio in cui mi muovo. Se, allora, alla fine del liceo, mi muovevo tra Parigi, Berlino, Amsterdam e Copenaghen, oggi mi muovo tra Fabrica di Roma (in provincia di Viterbo), Londra, Varanasi (India), Kathmandu, Colombo e Chiang Mai (in Thailandia, da cui sto scrivendo ora).
Durante un piccolo meeting tra amici, quest’ultimo capodanno, a Londra, ho avuto un momento di profonda commozione. Abbiamo difatti scoperto, su You Tube, un video del brano, di Fabrizio De Andrè, Khorakhanè, inserito nell’ultimo suo album: Anime Salve. È quel brano in cui lui canta di un’etnia di rom musulmani, originari soprattutto del Kosovo. Il termine sta per “lettori del Corano”.
Credo che molti di coloro che stanno leggendo abbiano presente il brano. L’ultima parte è cantata in lingua Khorakhanè da Dori Ghezzi. Pochi hanno letto la traduzione di quel canto etnico:
poggerò la testa sulla tua spalla
e farò un sogno di mare
e l’indomani un fuoco di legna
perchè l’aria azzurra diventi casa.
Chi sarà a raccontare?
Chi sarà?
Sarà chi rimane.
Io, seguirò questo migrare,
seguirò questa corrente di ali.
Credo sia un brano che racconti in grande semplicità e, tuttavia, profondità una certa essenza del nomadismo. Una coscienza espansa, una famigliarità con elementi diversi, incontrati e vissuti nel proprio migrare. Una dimensione esitenziale della casa del tutto mobile, versatile. La stessa aria azzurra, se si viene riscaldati da un fuoco di legna, può essere vissuta come “propria”, temporanea intimità domestica. E poi il dilemma di come condividere il proprio essere, i racconti con i propri simili. Il sollievo nella consapevolezza che il racconto non si disperderà, che le memorie rimarranno salde e che ci saranno dei “guardiani delle stesse”. Questi, saranno coloro che rimangono, gli stanziali, coloro che offrono rifugio sicuro ai nomadi, in cambio di storie, echi di posti lontani, in buona parte sconosciuti. Il nomade, invece, non potrà che seguire il proprio bisogno, insopprimibile, di migrare. Di migrare non necessariamente in solitudine, seguendo un grande flusso esistenziale, una corrente di ali, dispiegate in uno spazio ampio e, tuttavia, con tante espressioni di famigliarità, nel momento in cui il nomadismo diventa uno stile di vita che stratifica nel tempo. A chi pensa che il nomade non abbia radici posso rispondere che, invece, ne ha tante e diversificate, in tanti posti, culture e dimensioni esistenziali differenti.
Quel brano di Khorakhanè mi ha aiutato a sciogliere un nodo che mi portavo da giorni: ritornare o non ritornare in India. La tentazione era di sedentarizzare a Londra ma qualcosa mi diceva che non era la cosa giusta da fare, almeno in quel momento. La risposta è arrivata, semplice ed immediata: seguirò questo migrare, una corrente di ali di cui sentivo la fragranza; la stavo cogliendo nei progetti di amici e conoscenti che stavano organizzandosi per svernare in India e nella consapevolezza che altri amici mi aspettavano in Thailandia. Non restava altro che organizzare gli aspetti pratici della partenza e, semplicemente, andare.
Spero di aver risposto in maniera soddisfacente alla tua domanda, pur con qualche divagazione, proiettandomi nell’oggi. E tuttavia, oggi riesco solo a comprendere meglio la spinta iniziale di cui mi chiedevi. Allora era in nuce, oggi è vita quotidiana.
Quanti eco-villaggi hai visitato e perché questa tua grande passione al riguardo?
Torniamo sempre al desiderio di “viverealtrimenti”. Scoprii la vita comunitaria nella seconda metà degli anni ’90, in una “giovane” comune scozzese. Ero lì a fare il volontario con lo SCI (servizio civile internazionale). C’era un piccolo nucleo di persone che stavano recuperando alcune vecchie case in pietra. Trovai in quel posto, in quelle persone, una grande libertà interiore, la capacità profonda di vivere il proprio essere degli eccentrici, dei diversi, con uno spirito di profonda accettazione. Era anche molto divertente vivere una dimensione di famigliarità (si mangiava insieme, si usavano gli stessi servizi, si lavorava e “delirava” assieme; si diventava familiari per forza) con persone conosciute da poco, che parlavano una lingua diversa ed erano nate e cresciute in un posto molto diverso dal mio.
Colsi subito lo “spirito comunitario”, quello che ho poi ritrovato, in molte varianti, in esperienze comunitarie diverse, in Italia e nel mondo. Individuai, sin da allora, quella che può essere considerata una sorta di costante comunitaria, la sensazione per cui dovunque si è, nel momento in cui si è in una comunità (gli ecovillaggi sono comunità ecosostenibili ma, prima di tutto, comunità), ci si sente a casa. È stata una scoperta straordinaria, in certa misura molto tranquillizzante. Ho difatti compreso che non è indispensabile conquistarsi faticosamente un proprio spazio vitale da difendere con i denti dagli intrusi. Piuttosto, che se si impara a vivere in comunione con i propri simili ci si può sentire a casa ovunque (un po’ come il Khorakhanè che, nel momento in cui si scalda davanti al fuoco, si sente profondamente a casa anche se la sua casa, in quel momento, manca addirittura di pareti o, meglio, ha pareti impalpabili, di aria).
Un'immagine di Findhorn
Ho visitato molte comunità intenzionali ed ecovillaggi, in Italia, in Danimarca, in Scozia (anche la mitica Findhorn Foundation) e poi in India, in Thailandia, in Sri Lanka. In particolare in Sri Lanka ho ritrovato felicemente la costante di cui ti parlavo. Ero lì per ragioni di visto, me ne serviva uno nuovo per l’India e ne ho approfittato per visitare Sarvodaya, un’importantissima esperienza comunitaria di matrice gandhiana e buddhista. Le pratiche per il visto andavano per le lunghe ma io ho iniziato presto a non vivermele più con ansia (anche se in India avevo lasciato la mia donna). Ero a casa, c’era la famosa costante. Gli srilankesi sono molto diversi da noi ma le persone a Sarvodaya non erano srilankesi qualunque. È stata un’esperienza molto intensa quella che ho vissuto, per tre mesi, a Sarvodaya, in quell’umiltà a volte carezzevole, a volte troppo vera per non correrne via, come ho scritto in una mia poesia.
Sarvodaya -Sri Lanka
Dopo aver lasciato “l’isola folle”, per usare l’epiteto con cui la qualificava Terzani (lo Sri Lanka ha dei lati oscuri quasi irraccontabili) ho lasciato che l’esperienza a Sarvodaya nidificasse dentro di me. È stata un’esperienza di grande valore umano. Credo di essermi avvicinato, proprio lì, agli insegnamenti del Buddha, in parte li vedevo, quotidianamente, farsi carne. A volte dovevo fuggire a Colombo, ritrovare il sapore del mondo ma era poi, bellissimo, “tornare a casa”, in una stanzetta povera, sotto una zanzariera bucata. Non ho potuto non tornare, dopo 8 mesi di assenza, in Sri Lanka ed a Sarvodaya. La prima persona che ho riabbracciato è stata Dayakkha, una donna semplicissima che faceva le pulizie (anche se Sarvodaya è una realtà comunitaria e filantropica mantiene comunque la tendenziale cultura gerarchica di cui è impregnata l’Asia). Mi lavava regolarmente i vestiti ed io in qualche modo rappresentavo una sorta di virus, in quel posto, perchè le davo cifre quasi irragionevoli per quel servizio. Dormiva in camera con altre persone molto semplici, non avevano praticamente nulla ma aveva uno sguardo estatico, uno di quegli sguardi che si possono trovare quasi solo in Oriente. In una giornata uggiosa vidi il suo viso diventare radioso quando il sole fortissimo dello Sri Lanka stava squarciando le nuvole: sun is coming, mi disse nel suo inglese poverissimo.Si alzò alle quattro di mattina per salutarci, il giorno della nostra partenza. Le avevo lasciato qualche soldo e lei voleva per forza che portassi qualcosa di suo con me. Mi regalò una semplice statuetta di un elefante che utilizzava come fermacarte. Era una delle poche cose che aveva. Al mio rientro, la trovai nell’ufficio della sezione internazionale. Fu un reincontro molto bello. Come scrissi nel mio libro Barboni sì ma in casa propria, l’ho baciata senza riserve d’affetto.
Quali sono, in sintesi, le origini e motivazioni storiche della nascita di questo fenomeno che sempre più si sta allargando nel mondo?
Esseni
Le primi in ordine storico sono motivazioni di natura religiosa. Non a caso i primi comunitari della storia sono stati gli esseni: una setta religiosa del secondo secolo A.C., attiva in Palestina che aveva probabilmente assimilato elementi pitagorici e buddisti. Su di loro scrisse lo storico romano Flavio Giuseppe. Li presenta come i primi “comunisti” della storia. Comunisti dal volto umano.
Anche in ambito protestante sono sorte molte esperienze comunitarie, che hanno soprattutto attecchito in America dove sono, in parte, ancora attive.
Al filone religioso si è affiancato, a seguito della rivoluzione industriale, il filone utopico, di teorici come Owen, Cabet e Fourier generalmente definiti “socialisti utopisti”.
Nel novecento ha preso corpo il filone esistenziale e rivoluzionario, iniziato con la Beat Generation e proseguito nel movimento hippy e in alcune frange degli ambienti politicizzati e, infine, il filone propriamente ecologico.
Questo non significa che i filoni precedenti si siano esauriti. Al filone religioso se ne è affiancato un altro che potremmo definire, più genericamente, “spirituale”, venuto in particolare alla luce con la nascita del New Age (che alcuni sociologi, ad esempio Massimo Introvigne, riconducono alla data di fondazione della comunità di Findhorn Foundation, in Scozia) mentre le stesse motivazioni politiche continuano, a loro volta, ad innervare la dimensione comunitaria.
Faresti alcuni nomi delle realtà che in giro per il mondo stanno funzionando meglio e quali sono le motivazioni di base?
Un'immagine di Damanhur
Partendo dall’Italia mi sembra che le esperienze elfiche stiano avendo un successo crecente, in virtù di una sostanziale semplicità e, tuttavia, pregnanza della loro organizzazione. Esperienze storiche come la Comune di Bagnaia o relativamente più recenti come Torri Superiore, stanno senz’altro reggendo bene alla prova del tempo. Damanhur, in Piemonte, è anche una realtà in crescita che mantiene buoni rapporti con il circuito comunitario internazionale. È senz’altro l’esperienza comunitaria italiana più complessa e può rappresentare, dal punto di vista organizzativo, un buon modello di riferimento (non entro nel merito degli aspetti esoterici perché non ne sono sufficientemente a conoscenza). Nel mondo, Findhorn Foundation in Scozia ed Auroville in India sono esperienze che chiunque, interessato a dimensioni comunitarie che si impernino sulla necessità di un risveglio spirituale, dovrebbe visitare.
Che consiglio daresti a chi – gruppo piccolo o grande che sia – vorrebbe prendere la decisione di iniziare un progetto di vita in comune?
Innanzitutto di non prendere una decisione del genere alla leggera perché è senz’altro impegnativa. In secondo luogo di non stancarsi di girare, raccogliere dati ed informazioni presso coloro che vivono da tempo un’esperienza di tipo comunitario. Il mondo comunitario è molto eterogeneo, si possono considerare molte formule dunque bisogna essere, possibilmente, accurati e prudenti nelle osservazioni e nelle scelte.
E ad una persona che vuole andarci a vivere?…
Di iniziare a fare esperienze comunitarie senza tagliarsi i ponti alle spalle. Potrebbe cambiare idea. Prima di prendere decisioni particolarmente impegnative consiglio un rodaggio di almeno uno o due anni.
Qual è il tuo libro che maggiormente ti rappresenta e ci puoi dare un cenno sul tuo prossimo lavoro?
Jasmuheen
Il mio libro più personale è senz’altro Barboni sì ma in casa propria ma lo considero una sorta di lavoro, in buona parte, giovanile. Sono molto soddisfatto del mio ultimo lavoro: Con Jasmuheen al Kumbha Mela in cui parlo di quello che credo sia stato il mio percorso spirituale fino ad oggi e, oltre a parlare ovviamente di Jasmuheen (una donna australiana pioniera dell’alimentazione pranica; non assume cibo solido, a parte rare eccezioni, da circa 16 anni) e del Kumbha Mela (il più importante consesso religioso in ambito hindu), cerco di raccontare a fondo l’India che ho conosciuto e che, in buona parte, mi ha deluso. Il mio prossimo lavoro è Sadhu sì ma con la rendita. Un romanzo. In due parole, è la storia di un sadhu eccentrico (anche per essere un sadhu, il termine designa gli asceti itineranti, in India, talora completamente autonomi da qualunque ordine religioso e grandi fumatori). È un asceta che ha, tuttavia, una buona rendita e dunque nei momenti in cui si stanca di essere tale, torna nel secolo, da signore (l’impianto del romanzo è, ovviamente, semiserio). Le sue apparenti contraddizioni non scoraggiano uno spiritello scanzonato, Ciarpame Psichedelico, ad arruolarlo per un’impresa improba: il riavvio della ruota del Dharma. Sadhu si presta all’opera e decide di tentare di rimoralizzare ed equilibrare il mondo cavalcando, con le sue eccentricità, gli insegnamenti del Buddha, persuaso che il Buddhismo sarà quel filone religioso che, lentamente e con i suoi modi proverbialmente morbidi e tolleranti, troverà la strada per conquistare il cuore delle genti, per riportarle su un percorso in cui si possano nuovamente onorare i valori del “buono, del bello e del vero”, dialogando con l’anima migliore delle altre tradizioni religiose.
Una prospettiva verosimile oltre che auspicabile che potremmo anche identificare, con uno slogan, con la rivincita di Dayakkha!
Pietro Giarola
Fonte: http://www.spiritoliberomag.it/2012/02/vivere-altrimenti/
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Pietro Giarola. Manuel Olivares.
lunedì 27 febbraio 2012
Elena Hagi: "Incontro primaverile a Grotte di Castro (Vt) per coordinamento bioregionale Tuscia"
Monte Soratte foto di Gustavo Piccinini
Carissimi, sono felice di comunicarvi la disponibilità di molti all'incontro per la creazione di una Rete o Coordinamento di associazioni e comitati dela Tuscia.
Le date proposte sono il 10, il 17 primo pomeriggio, indicativamente dalle 15 alle 19,
o il 18 marzo dalle 9 alle 13.
Chiedo ai partecipanti di indicare la data più propizia entro questa settimana.
L'incontro si svolgerà a Grotte di Castro presso il Castello di Santa Cristina http://www.santacristina.it/ , grazie alla disponibilità di Antonio Mancini Caterini.
Si chiede che all'incontro partecipi un referente per gruppo, con possibilità di estendere l'invito a due auditori rappresentanti.
ORDINE DEL GIORNO:
- Breve presentazione dei comitati e delle problematiche di zona (tempo massimo d'intervento a comitato: 10 minuti)
- Elaborazione di un documento da sottoporre alle province di Umbria/Lazio per un'aggiornamento documentato dei progetti autorizzati e di quelli in istruttoria.
- Elaborazione di una proposta di delibera provinciale utile ad un censimento degli impianti FER autorizzati, in istruttoria, scaduti, con un'analisi congiunta con il GSE sul reale contributo energetico prodotto rispetto ai MW installati.
- Elaborazione di una proposta di collaborazione tra le province del Lazio:
Frosinone;
Latina;
Rieti;
Viterbo;
Roma;
volto all'ottenimento di un piano energetico regionale (la regione Lazio non ha mai predisposto questo piano e si è uniformata al generico piano nazionale).
- Intervento di Vittorio Fagioli sulla stessa questione in Umbria.
- Resoconto dell'incontro con i tecnici della V.I.A. Lazio relativo alle metodiche valutative dei progetti presentati.
- Proposte per un incontro con Mattei (Ass Ambiente Regione Lazio).
- Proposte per contattare politici e senatori per risolvere la questione delle FER.
-Stabilire metodiche di confronto e lavoro, per riaccendere un dibattito politico utile a formalizzare una legislazione interregionale volta alla maggior trasparenza amministrativa, per seguire con maggior efficacia le autorizzazioni provinciali e regionali di impianti FER, cave a progetti ambientali.
Per proposte di variazione e/o integrazione resto a vostra completa disposizione.
Vi invito a contattare le associazioni e le realtà del vostro territorio.
Elena Hagi - stilehagi@alice
Carissimi, sono felice di comunicarvi la disponibilità di molti all'incontro per la creazione di una Rete o Coordinamento di associazioni e comitati dela Tuscia.
Le date proposte sono il 10, il 17 primo pomeriggio, indicativamente dalle 15 alle 19,
o il 18 marzo dalle 9 alle 13.
Chiedo ai partecipanti di indicare la data più propizia entro questa settimana.
L'incontro si svolgerà a Grotte di Castro presso il Castello di Santa Cristina http://www.santacristina.it/ , grazie alla disponibilità di Antonio Mancini Caterini.
Si chiede che all'incontro partecipi un referente per gruppo, con possibilità di estendere l'invito a due auditori rappresentanti.
ORDINE DEL GIORNO:
- Breve presentazione dei comitati e delle problematiche di zona (tempo massimo d'intervento a comitato: 10 minuti)
- Elaborazione di un documento da sottoporre alle province di Umbria/Lazio per un'aggiornamento documentato dei progetti autorizzati e di quelli in istruttoria.
- Elaborazione di una proposta di delibera provinciale utile ad un censimento degli impianti FER autorizzati, in istruttoria, scaduti, con un'analisi congiunta con il GSE sul reale contributo energetico prodotto rispetto ai MW installati.
- Elaborazione di una proposta di collaborazione tra le province del Lazio:
Frosinone;
Latina;
Rieti;
Viterbo;
Roma;
volto all'ottenimento di un piano energetico regionale (la regione Lazio non ha mai predisposto questo piano e si è uniformata al generico piano nazionale).
- Intervento di Vittorio Fagioli sulla stessa questione in Umbria.
- Resoconto dell'incontro con i tecnici della V.I.A. Lazio relativo alle metodiche valutative dei progetti presentati.
- Proposte per un incontro con Mattei (Ass Ambiente Regione Lazio).
- Proposte per contattare politici e senatori per risolvere la questione delle FER.
-Stabilire metodiche di confronto e lavoro, per riaccendere un dibattito politico utile a formalizzare una legislazione interregionale volta alla maggior trasparenza amministrativa, per seguire con maggior efficacia le autorizzazioni provinciali e regionali di impianti FER, cave a progetti ambientali.
Per proposte di variazione e/o integrazione resto a vostra completa disposizione.
Vi invito a contattare le associazioni e le realtà del vostro territorio.
Elena Hagi - stilehagi@alice
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domenica 26 febbraio 2012
Povera America come sei ridotta... devi impegnarti il vino d'annata (o "annato"?)
"E dopo aver mangiato.. mangiato e ben bevuto.. e ben bevuto..." (Saul Arpino)
Vino d’annata.. o annato? - Poveri ricchi.. sono arrivati al punto che per avere quattro soldi cash si debbono persino impegnare i vini pregiati d'annata..
Almeno con il ricavato possono comprarsi una birretta o un vino dozzinale da bere a casa con gli amici..
Dai tempi della guerra tra Francia ed Inghilterra, combattuta per anni ed anni al solo scopo di assicurarsi le piane della Bretagna e del Midì, che producevano buon vino.. (poichè la gelida Albione produceva solo aspri acetelli, adatti a far frollare la cacciagione, ma sfiguranti assai sulla tavola dei nobili), presso la buona società inglese si era sparsa la moda di tenere cantine blindate, una specie di forziere, in cui stipare i vini migliori. Questa moda è stata poi trasmessa ai cugini americani, anch'essi grandi conservatori di vini. Purtroppo oggi la crisi colpisce pure i ricchi medi, quelli che appartengono alla categoria dei milionari semplici (non i super banchieri che si stampano i soldi a gratis in proprio, come e quando vogliono, quelli sono oltre ogni abbassamento di livello) e questi nuovi poveri debbono andare ad impegnarsi le bottiglie da collezione per pagare le spese minute quotidiane..
Una volta si andava al monte di pietà con la biancheria fine oggi i poveri milionari ci vanno con le bottiglie d'annata (talmente "annata" che comunque sarebbero imbevibili..) e in tal modo possono intascare qualche migliaio di dollari per le spesucce d'ogni giorno. Poveretti...
E continua...
Vini di alta qualità come lo Chateau Haut-Brion, Chateau Lafite-Rothschild, Chateau Margaus e Chateau Mouton Rothschild. Negli Stati Uniti sono sempre più utilizzati alla stregua di veri e propri pegni, da consegnare alle strutture di riferimento per ricevere in cambio cash, dunque liquidità.
Chi dà in pegno questi vini è una vasta comunità che, secondo un articolo di Reuters, comprende "gestori di hedge fund, impenditori, professionisti e anche vincitori di premi Oscar.
Ovviamente ci sono poi, come riferisce il banco dei pegni britannico Borro.com, "i proprietari di piccole aziende, che hanno problemi di cash", e che arrivano a dare in pegno questi vini pregiati per un valore che può arrivare a $10 milioni.
Scrive WSI: "Gli investitori fanno uso di questo tipo di prestiti in quanto sono veloci e non ci sono commissioni", aggiunge un partner della società Prime Asset Loans. Borro.com ha ultimamente erogato prestiti per $120.000 in cambio di 128 bottiglie di Chateau d'Yquem, che hanno un valore stimato a $250.000.
Nell'arco delle ultime tre settimane, la stessa società ha preso in pegno una cassa di Chateau Petrus del 1989, valutata $38.000, per un prestito di $24.000. Di fatto, questi vini vengono consegnati a titolo di garanzia e rappresentano veri e propri collaterali.
Insiste WSI: "Sareste sorpresi nel sapere quanti sono gli individui ricchi che hanno rating sui debiti terribili - fa notare Jordan Tabach-Bank, responsabile di Beverly Loan, monte dei pegni con sede a Beverly Hills, in California - Inoltre, se ci si rivolge a una banca, possono passare settimane o mesi per riuscire a ottenere un finanziamento. Noi di solito eroghiamo prestiti lo stesso giorno".
Sursum corda, Paolo D'Arpini
Vino d’annata.. o annato? - Poveri ricchi.. sono arrivati al punto che per avere quattro soldi cash si debbono persino impegnare i vini pregiati d'annata..
Almeno con il ricavato possono comprarsi una birretta o un vino dozzinale da bere a casa con gli amici..
Dai tempi della guerra tra Francia ed Inghilterra, combattuta per anni ed anni al solo scopo di assicurarsi le piane della Bretagna e del Midì, che producevano buon vino.. (poichè la gelida Albione produceva solo aspri acetelli, adatti a far frollare la cacciagione, ma sfiguranti assai sulla tavola dei nobili), presso la buona società inglese si era sparsa la moda di tenere cantine blindate, una specie di forziere, in cui stipare i vini migliori. Questa moda è stata poi trasmessa ai cugini americani, anch'essi grandi conservatori di vini. Purtroppo oggi la crisi colpisce pure i ricchi medi, quelli che appartengono alla categoria dei milionari semplici (non i super banchieri che si stampano i soldi a gratis in proprio, come e quando vogliono, quelli sono oltre ogni abbassamento di livello) e questi nuovi poveri debbono andare ad impegnarsi le bottiglie da collezione per pagare le spese minute quotidiane..
Una volta si andava al monte di pietà con la biancheria fine oggi i poveri milionari ci vanno con le bottiglie d'annata (talmente "annata" che comunque sarebbero imbevibili..) e in tal modo possono intascare qualche migliaio di dollari per le spesucce d'ogni giorno. Poveretti...
E continua...
Vini di alta qualità come lo Chateau Haut-Brion, Chateau Lafite-Rothschild, Chateau Margaus e Chateau Mouton Rothschild. Negli Stati Uniti sono sempre più utilizzati alla stregua di veri e propri pegni, da consegnare alle strutture di riferimento per ricevere in cambio cash, dunque liquidità.
Chi dà in pegno questi vini è una vasta comunità che, secondo un articolo di Reuters, comprende "gestori di hedge fund, impenditori, professionisti e anche vincitori di premi Oscar.
Ovviamente ci sono poi, come riferisce il banco dei pegni britannico Borro.com, "i proprietari di piccole aziende, che hanno problemi di cash", e che arrivano a dare in pegno questi vini pregiati per un valore che può arrivare a $10 milioni.
Scrive WSI: "Gli investitori fanno uso di questo tipo di prestiti in quanto sono veloci e non ci sono commissioni", aggiunge un partner della società Prime Asset Loans. Borro.com ha ultimamente erogato prestiti per $120.000 in cambio di 128 bottiglie di Chateau d'Yquem, che hanno un valore stimato a $250.000.
Nell'arco delle ultime tre settimane, la stessa società ha preso in pegno una cassa di Chateau Petrus del 1989, valutata $38.000, per un prestito di $24.000. Di fatto, questi vini vengono consegnati a titolo di garanzia e rappresentano veri e propri collaterali.
Insiste WSI: "Sareste sorpresi nel sapere quanti sono gli individui ricchi che hanno rating sui debiti terribili - fa notare Jordan Tabach-Bank, responsabile di Beverly Loan, monte dei pegni con sede a Beverly Hills, in California - Inoltre, se ci si rivolge a una banca, possono passare settimane o mesi per riuscire a ottenere un finanziamento. Noi di solito eroghiamo prestiti lo stesso giorno".
Sursum corda, Paolo D'Arpini
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sabato 25 febbraio 2012
Cina amica... ed il veto contro le risoluzioni anti Siria (e Iran)
Lama cinese
Il veto cinese al Consiglio di Sicurezza non è una moda influenzata dalla Russia, ma il culmine di una lunga e dolorosa esperienza. È motivato principalmente dal desiderio di sostenere le norme del diritto internazionale. Il professor Li Qingsi mette questa preoccupazione nel suo immediato contesto storico (cambiamenti di regime orchestrati in Nord Africa) e nel lungo periodo (l’occupazione della Cina da parte dell’Occidente e la difficile relazione Cina-USA).
Dopo che la Russia e la Cina hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 4 febbraio, l’Assemblea generale dell’ONU ha approvato una risoluzione che condanna le violenze in Siria. Anche se non vincolante, farà aumentare ulteriormente la pressione sul governo siriano e apre la porta a un intervento straniero in futuro.
I conflitti settari, i fattori geopolitici e in particolare la politica del “divide et impera” dell’Occidente, hanno dato luogo a intense contraddizioni all’interno del mondo arabo, e a scontri interni in Siria che hanno fornito una scusa all’Occidente per interferire.
L’attuale crisi in Siria non ha semplicemente per scopo la protezione dei diritti umani, come pretende l’Occidente. Vuole rovesciare l’attuale governo e sostituirlo con uno filo-occidentale. La Siria è considerata un problema per la strategia mediorientale dell’occidente, a causa dei suoi stretti legami con l’Iran e il Libano, entrambi ostili agli Stati Uniti.
Per poter giocare un ruolo in Medio Oriente, la Lega araba è pronta a sostenere la strategia occidentale nella regione. Senza dubbio, dopo aver risolto il problema siriano in modo non-pacifico, il prossimo obiettivo sarebbe l’Iran.
Il veto cinese non vuol dire che Pechino si colloca a fianco del governo siriano, o è cieco sullo spargimento di sangue, ma non vuole che la Siria segua lo stesso percorso disastroso della Libia, che ha portato a una situazione di guerra civile generalizzata.
In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha la responsabilità e il dovere di difendere la Carta delle Nazioni Unite, fonte del diritto e del codice di condotta internazionale, e quindi deve respingere qualsiasi risoluzione che viola la Carta e i suoi principi.
Se la Cina si rendesse conto che una risoluzione è sufficiente per minacciare la sovranità di uno Stato ed è contraria alla giustizia, e non facesse nulla, sarebbe un grave errore.
La furiosa reazione dell’occidente a veti russo e cinese, dimostra che hanno svelato il vero obiettivo degli occidentali – che cercano di dominare il Medio Oriente e di monopolizzare le Nazioni Unite – stando attenti a nascondersi dietro le loro nobili richieste sui diritti umani in Siria.
Il mondo è stato testimone di troppe invasioni di Stati sovrani e di troppi omicidi di civili innocenti in nome dell’intervento umanitario. Gli interventi militari dalla fine della Guerra Fredda dimostrano che l’Occidente, mentre sventola la bandiera della difesa dei diritti umani, in realtà non cerca che i propri interessi strategici globali e regionali.
Che siano i paesi invasi dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, o certi paesi musulmani che hanno vissuto le “rivoluzioni colorate” lo scorso anno, il fatto è che, invece della tutela dei diritti dell’uomo, queste invasioni e queste “rivoluzioni” hanno portato al deterioramento della stabilità interna e della situazione umanitaria.
L’esperienza dimostra che, dopo la Guerra Fredda, qualunque siano le differenze tra di essi, i paesi occidentali serrano le fila quando sono in conflitto con un paese non occidentale. Anche nell’era della globalizzazione, c’è sempre una linea netta tra l’Occidente e il resto del mondo.
Per ragioni sia storiche che pratiche, l’equilibrio di potere tra l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, e il mondo non-occidentale, è diseguale. Allo stesso modo di un potere assoluto senza vigilanza o restrizioni in conseguenza della corruzione all’interno di uno Stato, un potere senza contrappesi nella comunità internazionale diventerebbe troppo imperioso e spietato, diventando così una minaccia per la stabilità in tutto il mondo.
Dopo la Guerra Fredda, gli Stati Uniti sono riusciti a “avere una ferma presa sulle Nazioni Unite, con cui opprimere la comunità internazionale“, mentre i Paesi piccoli e medi non osavano esprimere il proprio disappunto.
La reazione isterica degli Stati Uniti al veto cinese dimostra la non comprensione dell’evoluzione della Cina. In un momento in cui la diplomazia delle cannoniere è ripresa fino ad oggi, un approccio modesto e autodisciplinato della diplomazia può sembrare un po’ datato.
Se Cina e Stati Uniti potessero tranquillamente coesistere, sarebbe un risultato senza precedenti. Ma la storia delle relazioni sino-statunitensi dimostra che tale cooperazione non può essere raggiunta solo attraverso il compromesso o una semplice richiesta, e che non si può sperare su un gioco a somma zero con la semplice via della nostra buona volontà. La lotta senza rompere le relazioni non dovrebbe essere la base dell’atteggiamento della Cina verso gli Stati Uniti, perché solo quando siamo pronti a pagare il prezzo della rottura, allora saremo in grado di combattere senza lacerarci.
Qualunque sia la difficoltà della situazione esterna, la Cina non fermerà il suo sviluppo. Non fino a quando i diplomatici continueranno a fare appello al nostro buon cuore. Né finché sarà facile calpestare i sentimenti di 1,3 miliardi di cinesi, e non prima che la Cina non abbia la capacità di difendere la Carta e le norme delle Nazioni Unite, nonché la pace e la giustizia nel mondo coi fatti e non con le parole.
In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Cina deve assumersi la grande responsabilità di salvaguardare la pace nel mondo. Per preservare l’unità, la Cina è stata costretta a usare il suo diritto di veto.
Poiché è un membro della comunità internazionale, la Cina è consapevole che non può raggiungere i propri interessi senza la cooperazione con il mondo esterno. Ma la Cina sarà anche attenta a quei Paesi occidentali che vanno troppo lontano. Dopo essere stata invasa dalle potenze occidentali, la Cina comprende le sofferenze che ne risulta. La Cina che si risveglia non commetterà gli stessi errori, perché il popolo cinese crede che ciò che non volete che facciano a voi, non sia inflitto agli altri.
Li Qingsi
(Fonte: Réseau Voltaire Beijing)
Il veto cinese al Consiglio di Sicurezza non è una moda influenzata dalla Russia, ma il culmine di una lunga e dolorosa esperienza. È motivato principalmente dal desiderio di sostenere le norme del diritto internazionale. Il professor Li Qingsi mette questa preoccupazione nel suo immediato contesto storico (cambiamenti di regime orchestrati in Nord Africa) e nel lungo periodo (l’occupazione della Cina da parte dell’Occidente e la difficile relazione Cina-USA).
Dopo che la Russia e la Cina hanno posto il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il 4 febbraio, l’Assemblea generale dell’ONU ha approvato una risoluzione che condanna le violenze in Siria. Anche se non vincolante, farà aumentare ulteriormente la pressione sul governo siriano e apre la porta a un intervento straniero in futuro.
I conflitti settari, i fattori geopolitici e in particolare la politica del “divide et impera” dell’Occidente, hanno dato luogo a intense contraddizioni all’interno del mondo arabo, e a scontri interni in Siria che hanno fornito una scusa all’Occidente per interferire.
L’attuale crisi in Siria non ha semplicemente per scopo la protezione dei diritti umani, come pretende l’Occidente. Vuole rovesciare l’attuale governo e sostituirlo con uno filo-occidentale. La Siria è considerata un problema per la strategia mediorientale dell’occidente, a causa dei suoi stretti legami con l’Iran e il Libano, entrambi ostili agli Stati Uniti.
Per poter giocare un ruolo in Medio Oriente, la Lega araba è pronta a sostenere la strategia occidentale nella regione. Senza dubbio, dopo aver risolto il problema siriano in modo non-pacifico, il prossimo obiettivo sarebbe l’Iran.
Il veto cinese non vuol dire che Pechino si colloca a fianco del governo siriano, o è cieco sullo spargimento di sangue, ma non vuole che la Siria segua lo stesso percorso disastroso della Libia, che ha portato a una situazione di guerra civile generalizzata.
In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la Cina ha la responsabilità e il dovere di difendere la Carta delle Nazioni Unite, fonte del diritto e del codice di condotta internazionale, e quindi deve respingere qualsiasi risoluzione che viola la Carta e i suoi principi.
Se la Cina si rendesse conto che una risoluzione è sufficiente per minacciare la sovranità di uno Stato ed è contraria alla giustizia, e non facesse nulla, sarebbe un grave errore.
La furiosa reazione dell’occidente a veti russo e cinese, dimostra che hanno svelato il vero obiettivo degli occidentali – che cercano di dominare il Medio Oriente e di monopolizzare le Nazioni Unite – stando attenti a nascondersi dietro le loro nobili richieste sui diritti umani in Siria.
Il mondo è stato testimone di troppe invasioni di Stati sovrani e di troppi omicidi di civili innocenti in nome dell’intervento umanitario. Gli interventi militari dalla fine della Guerra Fredda dimostrano che l’Occidente, mentre sventola la bandiera della difesa dei diritti umani, in realtà non cerca che i propri interessi strategici globali e regionali.
Che siano i paesi invasi dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, o certi paesi musulmani che hanno vissuto le “rivoluzioni colorate” lo scorso anno, il fatto è che, invece della tutela dei diritti dell’uomo, queste invasioni e queste “rivoluzioni” hanno portato al deterioramento della stabilità interna e della situazione umanitaria.
L’esperienza dimostra che, dopo la Guerra Fredda, qualunque siano le differenze tra di essi, i paesi occidentali serrano le fila quando sono in conflitto con un paese non occidentale. Anche nell’era della globalizzazione, c’è sempre una linea netta tra l’Occidente e il resto del mondo.
Per ragioni sia storiche che pratiche, l’equilibrio di potere tra l’Occidente, in particolare gli Stati Uniti, e il mondo non-occidentale, è diseguale. Allo stesso modo di un potere assoluto senza vigilanza o restrizioni in conseguenza della corruzione all’interno di uno Stato, un potere senza contrappesi nella comunità internazionale diventerebbe troppo imperioso e spietato, diventando così una minaccia per la stabilità in tutto il mondo.
Dopo la Guerra Fredda, gli Stati Uniti sono riusciti a “avere una ferma presa sulle Nazioni Unite, con cui opprimere la comunità internazionale“, mentre i Paesi piccoli e medi non osavano esprimere il proprio disappunto.
La reazione isterica degli Stati Uniti al veto cinese dimostra la non comprensione dell’evoluzione della Cina. In un momento in cui la diplomazia delle cannoniere è ripresa fino ad oggi, un approccio modesto e autodisciplinato della diplomazia può sembrare un po’ datato.
Se Cina e Stati Uniti potessero tranquillamente coesistere, sarebbe un risultato senza precedenti. Ma la storia delle relazioni sino-statunitensi dimostra che tale cooperazione non può essere raggiunta solo attraverso il compromesso o una semplice richiesta, e che non si può sperare su un gioco a somma zero con la semplice via della nostra buona volontà. La lotta senza rompere le relazioni non dovrebbe essere la base dell’atteggiamento della Cina verso gli Stati Uniti, perché solo quando siamo pronti a pagare il prezzo della rottura, allora saremo in grado di combattere senza lacerarci.
Qualunque sia la difficoltà della situazione esterna, la Cina non fermerà il suo sviluppo. Non fino a quando i diplomatici continueranno a fare appello al nostro buon cuore. Né finché sarà facile calpestare i sentimenti di 1,3 miliardi di cinesi, e non prima che la Cina non abbia la capacità di difendere la Carta e le norme delle Nazioni Unite, nonché la pace e la giustizia nel mondo coi fatti e non con le parole.
In qualità di membro permanente del Consiglio di Sicurezza, la Cina deve assumersi la grande responsabilità di salvaguardare la pace nel mondo. Per preservare l’unità, la Cina è stata costretta a usare il suo diritto di veto.
Poiché è un membro della comunità internazionale, la Cina è consapevole che non può raggiungere i propri interessi senza la cooperazione con il mondo esterno. Ma la Cina sarà anche attenta a quei Paesi occidentali che vanno troppo lontano. Dopo essere stata invasa dalle potenze occidentali, la Cina comprende le sofferenze che ne risulta. La Cina che si risveglia non commetterà gli stessi errori, perché il popolo cinese crede che ciò che non volete che facciano a voi, non sia inflitto agli altri.
Li Qingsi
(Fonte: Réseau Voltaire Beijing)
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venerdì 24 febbraio 2012
Eddy Olivieri: "HAARP sta modificando l'intero equilibrio atmosferico del pianeta.."
Il castello del mago - Dipinto di Franco Farina
A commento dell'articolo: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2012/02/haarp-altro-che-effetto-serra-il-clima.html
Ho spesso posto interventi sull'argomento HAARP,
qualcosa di cui si conosce l' esistenza, il cui uso era stato
giustificato inizialmente come difesa antimissile capace di far
esplodere in volo qualsiasi testata nucleare diretta verso il
territorio Russo o Americano, dal momento che anche la Russia
dispone di almeno 2 dispositivi analoghi e, guarda caso, a nord del
Circolo Polare Artico. Sfortunatamente in era di "privatizzazioni" i
centri Americani sono utilizzati per scopi non sempre chiari e
comunque a vantaggio di privati. Comunque quello cui l' articolo si
riferisce e' solo 1 di 7 impianti analoghi accertati, uno dei quali,
se non sbaglio, in territorio Norvegese. Resta comunque il piu'
potente con una capacita' di 3,6 milioni di watt. Ora immaginate per
un attimo, giusto per mantenere le proporzioni, che il vostro forno a
microonde cucina con soli 800 watt. Inoltre la possibilita' di
utilizzare svariate lunghezze d'onda ne permette molti usi.
Utilizzando le VLF (Very Low Frequency) si puo' utilizzare la
ionosfera come uno specchio per riflettere il raggio (raggio e' una
definizione impropria, ma consentitemela) fino a latitudini tropicali.
A quelle frequenze causa risonanze nella crosta terrestre, come una
tomografia assiale, che consentono di scoprire giacimenti minerari o
petroliferi, riserve d' acqua sotterranee ecc...Sfortunatamente come
"effetto collaterale" causa lente, lievi vibrazioni negli strati della
crosta terrestre che contengono metalli causando terremoti. Questo
accade con le VLF con frequenze di pochi KHz. Utilizzando frequenze
piu' alte, fra i 3 ed i 4 Mhz si ottieneuna risposta nella Ionosfera
che ne causa un aumento della temperatura fino ad oltre 50.000 Gradi
Celsius...certo, molto circoscritto, ma considerate che la temperatura
superficiale del nostro sole e' di "soli" 6000 gradi e fatevi un'
idea. Seppur circoscritto il fenomeno puo causare un surriscaldamento
degli strati piu' alti dell' atmosfera creando correnti ascensionali
in zone predeterminate e creando nuclei artificiali di alta o bassa
pressione negli strati piu' bassi. Ora, le alte pressioni rispetto
alle perturbazioni si comportano come i "funghi" di un flipper. Le
perturbazioni vengono deviate o ci rimbalzano contro. Di fatto un modo
facile per indirizzare gli uragani nella direzione voluto. Le zone di
bassa pressione create in zone dove l' oceano e' piu' caldo,
considerando che la zona di oceano in questione potrebbe essere stata
previamente riscaldata sempre dallo stesso dispositivo, crea gli
uragani. Ora, le zone climatiche della nostra atmosfera si mantengono
abbastanza separate grazie alla diversita' della densita' dell' aria
alle varie temperature. Sul circolo polare artico ed antartico c'e'
una zona delimitata e separata dalla zona della tundra e tempera da
linee abbastanza solide, ondulate leggermente, ma che si comportano
come la porta di un frigorifero che viene aperto solo un po' ogni
tanto. Queste apparecchiature possono alterare completamente questo
stato di separazione delle zone di latitudine atmosferica. Il
risultato e lo stesso di quello che otterreste lasciando la porta del
frigorifero aperta. Nel frigo il ghiaccio si scioglie e la stanza si
raffredda. Ma quale sarebbe il movente di tutta questa attivita'? Uno
sicuramente di ordine militare e di controllo della popolazione
mondiale attraverso carestie pilotate; l' altro sicuramente di ordine
economico/commerciale: da decenni le compagnie petrolifere stanno
cercando di mettere le mani sui giacimenti di petrolio e gas naturale
in zone protette. In questo modo si distrugge in tempi brevi la zona
protetta dando la colpa alle emissioni di anidride carbonica ed a noi
poveri ignoranti e si mettono le mani su zone oramai distrutte sotto
qualsiasi profilo ecologico e di biotopi. Inoltre lo scioglimento dei
ghiacci polari permette alle petroliere di passare dall' Europa all'
America percorrendo una quantita' ridicolmente bassa di miglia
nautiche invece di dover fare un grosso giro a latitudini piu' basse.
Chi sa un po' di geodetica sa di cosa parlo. Quindi sono vere le 2
facce del problema: i climi temperati e subtropicali stanno subendo un
abbassamento delle temperature, i climi artici e subartici un
innalzamento. Stiamo rimescolando l'atmosfera. Nell'equazione finale
non dimentichiamoci che l'intero pianeta e' entrato in una fase di
grandissima attivita' sismica e vulcanica che sta trasferendo enormi
quantita' di energia termica dall'interno del nostro pianeta verso l'atmosfera.
Per questa ragione il bilancio finale va leggermente a
favore di un riscaldamento globale. A questo punto vorrei ringraziare
Paolo D' Arpini per aver voluto evidenziare questo argomento che mi
sta molto a cuore e che seguo da anni e vorrei scusarmi per l'
esposizione decisamente carente di sinteticita'.
Eddy Olivieri
...........
Ancora HAARP ed esplosioni nucleari - Continua Eddy Olivieri: "Vorrei aggiungere a proposito di sconvolgimenti atmosferici e quantita' artificiali di energia termica immesse nell' atmosfera questi 14 minuti circa di animazione che rappresentantano le esplosioni nucleari per motivi militari o sperimentali dal 1945 al 1998. Consideriamo per un momento che, a dispetto delle apparenze di spazi enormi che danno l'impressione di infinito, l' atmosfera terrestre e' un sistema limitato e chiuso il cui equilibrio si basa sulla quantita' di energia immessa e la capacita' di disperderla. Quando si altera uno di questi due fattori il sistema si destabilizza cominciando ad "oscillare" violentemente da un capo all' altro degli estremi e richiede secoli per ristabilizzarsi. Immaginate una stanza con 20 persone ed improvvisamente ognuno nella stanza si accende una sigaretta. Per quanto ridicolo il contributo della fiamma degli accendini e delle braci delle sigarette causeranno l' innalzamento della temperatura della stanza...piu' ce ne sono, più il sistema si carica di energia termica che non puo' dissipare alla stessa velocita'. Ogno vulcano sulla terra causa lo stesso effetto gia' per la dipersione termica. La lava ha una temperatura, normalmente di poco superiore ai 1000 gradi centigradi. Un'esplosione nucleare causa temperature dell' ordine del milione di gradi centigradi ed uno spostamento di masse d' aria che raggiunge le zone piu' alte dell' atmosfera sconvolgendo il sottile strato di ozono ai livelli piu' alti, mandando aria calda dalla superfice e facendo ricadere masse d' aria freddissima (-40~-50 gradi centigradi) dalle zone intorno ai 10~20 Km di altezza. Ora godetevi questo YouTube ed immaginate quanto tutto questo abbia causato al delicatissimo equilibrio dell'atmosfera e conseguentemente della Biosfera. Ringrazio "Orwell 2012" per aver postato questo video e dal quale ho preso spunto per questo intervento: http://www.mayomo.com/103218-time-lapse-map-of-all-nuclear-explosions-since-1945"
.......
Ancora HAARP – Scrive Giorgio Quarantotto: “Purtroppo esiste la guerra climatica. Tra le varie tecniche per modificare il clima, spesso si devia con delle radiofrequenze le "correnti a getto" ossia di vapore acqueo che viagga sui poli ad alta quota alla velocità di 180Km/ora. Altre volte si sparano delle radiofrequenze dentro ai cicloni ecc. Esistono varie antenne di grande potenza nel mondo e non esiste solo HAARP dell'Alaska. Poi si utilizzano le scie chimiche. Ho raccolto alcuni video che spiegano meglio delle parole. Un saluto a tutti
seguono vari link su HAARP:
Cataclismi artificiali (HAARP)
http://www.youtube.com/watch?v=P766afGNxlQ
H.A.A.R.P: Que se passe-il réellement?
http://www.youtube.com/watch?v=4v6jA0vX58U&feature=related
Arma meteorologica HAARP
http://www.youtube.com/watch?v=ERNiY2pl0vY&feature=related
El proyecto HAARP (El calentador ionosférico) Parte 3
http://www.youtube.com/watch?v=Ewqlr8vh94w&feature=fvwrel
@ PROYECTO SURA : El HAARP de Rusia
http://www.youtube.com/watch?v=CXRo5BlFvi4&feature=related
Giant Tesla Coils in Russia!!! Marx Generators for testing insulators http://www.youtube.com/watch?v=5Td--HItuoI&feature=related
HAARP Weapon
http://www.youtube.com/watch?v=boKjwccQFgU&feature=related
L'HAARP (LA GUERRA è CAMBIATA) Gen. Fabio Mini
http://www.youtube.com/watch?v=uFbwNiiVsT8&feature=related
Chavez: US weapon test caused Haiti earthquake
http://www.youtube.com/watch?v=Q9QtZkT8OBQ&feature=related
A commento dell'articolo: http://bioregionalismo-treia.blogspot.com/2012/02/haarp-altro-che-effetto-serra-il-clima.html
Ho spesso posto interventi sull'argomento HAARP,
qualcosa di cui si conosce l' esistenza, il cui uso era stato
giustificato inizialmente come difesa antimissile capace di far
esplodere in volo qualsiasi testata nucleare diretta verso il
territorio Russo o Americano, dal momento che anche la Russia
dispone di almeno 2 dispositivi analoghi e, guarda caso, a nord del
Circolo Polare Artico. Sfortunatamente in era di "privatizzazioni" i
centri Americani sono utilizzati per scopi non sempre chiari e
comunque a vantaggio di privati. Comunque quello cui l' articolo si
riferisce e' solo 1 di 7 impianti analoghi accertati, uno dei quali,
se non sbaglio, in territorio Norvegese. Resta comunque il piu'
potente con una capacita' di 3,6 milioni di watt. Ora immaginate per
un attimo, giusto per mantenere le proporzioni, che il vostro forno a
microonde cucina con soli 800 watt. Inoltre la possibilita' di
utilizzare svariate lunghezze d'onda ne permette molti usi.
Utilizzando le VLF (Very Low Frequency) si puo' utilizzare la
ionosfera come uno specchio per riflettere il raggio (raggio e' una
definizione impropria, ma consentitemela) fino a latitudini tropicali.
A quelle frequenze causa risonanze nella crosta terrestre, come una
tomografia assiale, che consentono di scoprire giacimenti minerari o
petroliferi, riserve d' acqua sotterranee ecc...Sfortunatamente come
"effetto collaterale" causa lente, lievi vibrazioni negli strati della
crosta terrestre che contengono metalli causando terremoti. Questo
accade con le VLF con frequenze di pochi KHz. Utilizzando frequenze
piu' alte, fra i 3 ed i 4 Mhz si ottieneuna risposta nella Ionosfera
che ne causa un aumento della temperatura fino ad oltre 50.000 Gradi
Celsius...certo, molto circoscritto, ma considerate che la temperatura
superficiale del nostro sole e' di "soli" 6000 gradi e fatevi un'
idea. Seppur circoscritto il fenomeno puo causare un surriscaldamento
degli strati piu' alti dell' atmosfera creando correnti ascensionali
in zone predeterminate e creando nuclei artificiali di alta o bassa
pressione negli strati piu' bassi. Ora, le alte pressioni rispetto
alle perturbazioni si comportano come i "funghi" di un flipper. Le
perturbazioni vengono deviate o ci rimbalzano contro. Di fatto un modo
facile per indirizzare gli uragani nella direzione voluto. Le zone di
bassa pressione create in zone dove l' oceano e' piu' caldo,
considerando che la zona di oceano in questione potrebbe essere stata
previamente riscaldata sempre dallo stesso dispositivo, crea gli
uragani. Ora, le zone climatiche della nostra atmosfera si mantengono
abbastanza separate grazie alla diversita' della densita' dell' aria
alle varie temperature. Sul circolo polare artico ed antartico c'e'
una zona delimitata e separata dalla zona della tundra e tempera da
linee abbastanza solide, ondulate leggermente, ma che si comportano
come la porta di un frigorifero che viene aperto solo un po' ogni
tanto. Queste apparecchiature possono alterare completamente questo
stato di separazione delle zone di latitudine atmosferica. Il
risultato e lo stesso di quello che otterreste lasciando la porta del
frigorifero aperta. Nel frigo il ghiaccio si scioglie e la stanza si
raffredda. Ma quale sarebbe il movente di tutta questa attivita'? Uno
sicuramente di ordine militare e di controllo della popolazione
mondiale attraverso carestie pilotate; l' altro sicuramente di ordine
economico/commerciale: da decenni le compagnie petrolifere stanno
cercando di mettere le mani sui giacimenti di petrolio e gas naturale
in zone protette. In questo modo si distrugge in tempi brevi la zona
protetta dando la colpa alle emissioni di anidride carbonica ed a noi
poveri ignoranti e si mettono le mani su zone oramai distrutte sotto
qualsiasi profilo ecologico e di biotopi. Inoltre lo scioglimento dei
ghiacci polari permette alle petroliere di passare dall' Europa all'
America percorrendo una quantita' ridicolmente bassa di miglia
nautiche invece di dover fare un grosso giro a latitudini piu' basse.
Chi sa un po' di geodetica sa di cosa parlo. Quindi sono vere le 2
facce del problema: i climi temperati e subtropicali stanno subendo un
abbassamento delle temperature, i climi artici e subartici un
innalzamento. Stiamo rimescolando l'atmosfera. Nell'equazione finale
non dimentichiamoci che l'intero pianeta e' entrato in una fase di
grandissima attivita' sismica e vulcanica che sta trasferendo enormi
quantita' di energia termica dall'interno del nostro pianeta verso l'atmosfera.
Per questa ragione il bilancio finale va leggermente a
favore di un riscaldamento globale. A questo punto vorrei ringraziare
Paolo D' Arpini per aver voluto evidenziare questo argomento che mi
sta molto a cuore e che seguo da anni e vorrei scusarmi per l'
esposizione decisamente carente di sinteticita'.
Eddy Olivieri
...........
Ancora HAARP ed esplosioni nucleari - Continua Eddy Olivieri: "Vorrei aggiungere a proposito di sconvolgimenti atmosferici e quantita' artificiali di energia termica immesse nell' atmosfera questi 14 minuti circa di animazione che rappresentantano le esplosioni nucleari per motivi militari o sperimentali dal 1945 al 1998. Consideriamo per un momento che, a dispetto delle apparenze di spazi enormi che danno l'impressione di infinito, l' atmosfera terrestre e' un sistema limitato e chiuso il cui equilibrio si basa sulla quantita' di energia immessa e la capacita' di disperderla. Quando si altera uno di questi due fattori il sistema si destabilizza cominciando ad "oscillare" violentemente da un capo all' altro degli estremi e richiede secoli per ristabilizzarsi. Immaginate una stanza con 20 persone ed improvvisamente ognuno nella stanza si accende una sigaretta. Per quanto ridicolo il contributo della fiamma degli accendini e delle braci delle sigarette causeranno l' innalzamento della temperatura della stanza...piu' ce ne sono, più il sistema si carica di energia termica che non puo' dissipare alla stessa velocita'. Ogno vulcano sulla terra causa lo stesso effetto gia' per la dipersione termica. La lava ha una temperatura, normalmente di poco superiore ai 1000 gradi centigradi. Un'esplosione nucleare causa temperature dell' ordine del milione di gradi centigradi ed uno spostamento di masse d' aria che raggiunge le zone piu' alte dell' atmosfera sconvolgendo il sottile strato di ozono ai livelli piu' alti, mandando aria calda dalla superfice e facendo ricadere masse d' aria freddissima (-40~-50 gradi centigradi) dalle zone intorno ai 10~20 Km di altezza. Ora godetevi questo YouTube ed immaginate quanto tutto questo abbia causato al delicatissimo equilibrio dell'atmosfera e conseguentemente della Biosfera. Ringrazio "Orwell 2012" per aver postato questo video e dal quale ho preso spunto per questo intervento: http://www.mayomo.com/103218-time-lapse-map-of-all-nuclear-explosions-since-1945"
.......
Ancora HAARP – Scrive Giorgio Quarantotto: “Purtroppo esiste la guerra climatica. Tra le varie tecniche per modificare il clima, spesso si devia con delle radiofrequenze le "correnti a getto" ossia di vapore acqueo che viagga sui poli ad alta quota alla velocità di 180Km/ora. Altre volte si sparano delle radiofrequenze dentro ai cicloni ecc. Esistono varie antenne di grande potenza nel mondo e non esiste solo HAARP dell'Alaska. Poi si utilizzano le scie chimiche. Ho raccolto alcuni video che spiegano meglio delle parole. Un saluto a tutti
seguono vari link su HAARP:
Cataclismi artificiali (HAARP)
http://www.youtube.com/watch?v=P766afGNxlQ
H.A.A.R.P: Que se passe-il réellement?
http://www.youtube.com/watch?v=4v6jA0vX58U&feature=related
Arma meteorologica HAARP
http://www.youtube.com/watch?v=ERNiY2pl0vY&feature=related
El proyecto HAARP (El calentador ionosférico) Parte 3
http://www.youtube.com/watch?v=Ewqlr8vh94w&feature=fvwrel
@ PROYECTO SURA : El HAARP de Rusia
http://www.youtube.com/watch?v=CXRo5BlFvi4&feature=related
Giant Tesla Coils in Russia!!! Marx Generators for testing insulators http://www.youtube.com/watch?v=5Td--HItuoI&feature=related
HAARP Weapon
http://www.youtube.com/watch?v=boKjwccQFgU&feature=related
L'HAARP (LA GUERRA è CAMBIATA) Gen. Fabio Mini
http://www.youtube.com/watch?v=uFbwNiiVsT8&feature=related
Chavez: US weapon test caused Haiti earthquake
http://www.youtube.com/watch?v=Q9QtZkT8OBQ&feature=related
giovedì 23 febbraio 2012
Antonio Pantano: “…il “Meccanismo Europeo di Stabilità” (ESM). Roba passata per “nuova”, ma di genesi antica…”
Cari amici,
la “mobilitazione” di Blondet (vedi: http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_jcs&view=jcs&layout=form&Itemid=133&aid=75579) è… accattivante. Ma è STANTIA nella sostanza. Stile petizioni catto/comuniste del dopoguerra! Esito delle quali fu sempre inutile, ma utile a tenere i “fedeli” impegnati in parrocchia e nella cellula.
Un amico carissimo, giorni fa’, trattò a lungo con me delle gesta e degli scritti (molto… originali!) di Blondet, solerte e … inguaribile “cattolico”. E per questa “caratteristica”, anche savonaroliano ma sempre nei binari di certa “fede controllata”. Nome che ha acquisito una certa notorietà, che quasi mai è indice di attendibilità.
Lo scritto in questione tocca due temi fondamentali.
Primo : il “Meccanismo Europeo di Stabilità” (ESM).
Roba passata per “nuova”, ma di genesi antica: nacque col cancro del “modello di Europa” affaristica imposta dagli Alleati agli Stati, da loro controllati perché vinti ed assoggettati in regime ancora mai tramontato (Nato, basi militari, condizioni nella produzione, soggezione a multinazionali “occidentali” e alle “energie” imposte, ecc.), che sul vecchio continente dagli anni ’50 stavano rianimandosi naturalmente, inquadrati nel “vizio assurdo” del “libero mercato” ad ogni costo, ma asservito al dominio del denaro e dei suoi oligarchici gestori.
Se Blondet avesse letto il Trattato di Lisbona, avrebbe prospettato le “sue” (ma non sue!) parole differentemente! Ma addentrarsi in un ginepraio di molte centinaia di articoli e di migliaia di emendamenti, è … faticoso!
Ergo: il nostro solo ora si avvede che si sta democraticamente “cementando” (ma è mera “rifinitura” di leggi e provvedimenti presi all’insaputa dei Popoli dai gestori del potere!) una “dittatura permanente dotata della più totale impunità”, come se Maastricht non fosse esistita e le conseguenze di quel “trattato” imposto non si fossero ancora palesate.
Quindi, oggi dovremmo “mobilitarci” per … far sapere al Monti di turno che “sappiamo e siamo indignati”? Ma il Monti (prescelto dal 2008, secondo molte ammissioni, tra le quali la recente del Tabacci) “dovrà” andare dritto per il suo scopo, cioè quello che gli impongono – tanto per citare un caso concreto! – i vari Morgan Stanley o senza acciaio (con benedizione vaticana!) di “versare tributi ai mega usurai in nome della restituzione di debiti soprattutto legati ad onerosi derivati finanziari”, come è accaduto, per mero esempio, il 3 gennaio 2012, secondo scarse segnalazioni della stampa servile italiota, e per quanto assemblato e segnalato abbondantemente da tale Antonio Pantano nel recente non breve “DILUVIA! GOVERNO MONTI!”.
Non sono novità quelle prospettate e paventate da Blondet, ma conseguenze a cascata di 60 anni di “frittate pseudo europee” organizzate “su commissione” dagli scaltri “affondatori/fondatori” delle tante illusorie forme di aggregazione europea, ma tutte solo basate sugli interessi personali di enti economici extra-europei e totalmente avverse al benessere dei cittadini del vecchio continente. Basta riesaminare la storia dell’ultimo sessantennio per avere conferma del fallimento totale di ogni politica per una vera Europa! E la smancerìe germaniche o francesi recenti (armoniche a quelle dei decenni precedenti) sono conferma (vedasi i coinvolgimenti militari in Libano/Israele, Somalia, Iraq, Afganistan, Libia, Kossovo ed ex Jugoslavia, ecc.) della totale dipendenza non solo militare, ma essenzialmente monetaria, finanziaria, economica, e politica, di tutti gli Stati europei non agli USA, ma a coloro che dagli USA e possedimenti “governano con freddo cinismo” il mondo, Cina ed India compresi.
Secondo. Blondet (che ha … studiato! Soprattutto e solo nei notiziari stravaganti e pasticcioni “alla vilipedia” sbrodolati in internet, ove si copia/incolla con disinvoltura, inventando storielle che si gabbano per storia ad uso dei creduloni e sprovveduti!) rivela (cardine della dottrina cristiana è … la rivelazione! E di quella talmudica ed islamica la discrezione su essa! ) l’esistenza storica della “Repubblica Sociale Italiana”, che Blondet si affretta ad indicare “repubblica creata dal nulla dai tedeschi” e “Stato-fantoccio del tedesco”e luogo ove vigevano “tessere alimentari da fame” e “le truppe germaniche, ogni volta che entravano in una bottega a comprare le poche merci esistenti, commettevano di fatto un esproprio senza indennizzo”.
Scopre, il solerte inondante – di “sue notizie” – Blondet, la antica esistenza di Domenico Pellegrini Giampietro, che indica “ministro repubblichino”, e ne propina alcune, e minori!, attività positive a favore dello Stato e dei cittadini delle quali non ha contezza, lealmente ammettendo: “Come fece? Personalmente non so.” E non sa che mai esistette la “Repubblica di Salò” (che così indica!) , ove ebbe sede un solo ministero! [accodandosi alla dizione inventata dagli sciuscià resistenziali!].
Il minestrone di notiziole anche insignificanti proposte da Blondet rientra nei criteri delle “scolastiche di storia e finanza” delle università italiane (Bocconi in testa, ove Blondet invoca si approfondisca il caso Pellegrini, ben sapendo che in quel “centro” montiano si sfornano prevalentemente “economisti” utili alle grandi concentrazioni usuraie globaliste!) per porre in ridicolo (secondo i diktat culturali imposti e vigenti da Dc e Pci con coro resistenziale) “de minimis” tutto il gigantesco disegno storico concretato della Repubblica Sociale Italiana, senza riflettere (ma ha attinto e copiato/incollato notizie sgangherate poste da volenterosi in aspirazione di storici, proprio come fanno da tempo altri disinvolti “monetaristi” del sabato che imperversano in internet ed in pagliacciate su varie tavole di scena) sulla portata universale della azione di Pellegrini Giampietro che (come da anni ho spiegato e scritto, e di recente – oltre che il 10 settembre 2011 nel Municipio di Brienza, patria del Ministro – anche nei lunghi ed articolati scritti “Affideresti il tuo portafoglio a Mario Monti?” e “Diluvia! Governo Monti!”) fu da grande conoscitore e scienziato della Finanza e da vero Ministro per i cittadini!
Poiché Blondet (non è e non fu il solo!) nulla ha compreso dell’azione – non frammentaria – attuata da Domenico Pellegrini Giampietro, ora ne rinnovo la qualità fondamentale (qualcuno potrà riferirglielo! Ma sarà bene che il giornalista consulti molti dei miei scritti pubblicati negli anni, incluso il volume del 2009 “Ezra Pound e la Repubblica Sociale Italiana”!): commissariò la Banca d’Italia, asservendola in toto alle necessità dello Stato! Così il bilancio fu attivo per 20,9 miliardi di lire, con sole entrate di 50,4 ed uscite per 359,6 miliardi! Dalla banca centrale (società “privata” di partecipanti, che per “antiche norme” presta periodicamente denaro allo Stato) Pellegrini prelevò le necessità, attuando ciò che MAI alcuno nella storia umana aveva osato!
Ecco perché il nostrano odierno “stato fantoccio” peninsulare è eternamente indebitato!
Aggiungo : vero (e mal scopiazzato!) che le riserve auree italiane furono custodite al sicuro a Fortezza, in territorio italiano! Ma Blondet tace (perché NON sa!) che furono asportate il 5 maggio 1945 dagli Alleati, e che queste furono riconosciute in parte all’Italia e definite nella restituzione solo il 29 giugno 1998! Mentre mancano all’appello ancora, e per sempre oltre 24.000 chili di oro, volatilizzati non nelle mani di Adolfo Hitler, ma in quelle più longeve degli Alleati vincitori la guerra col “metodo” Hiroshima/Nagasaki!
Ed ancora: 7 miliardi di lire mensili al Reich germanico come “contributo per spese militari, fortificazioni, riattazioni delle vie di comunicazione”? Non vero per le motivazioni, che furono fissate dal Governo Badoglio (corrispose 3,5 miliardi mensili da agosto 1943 per due divisioni germaniche combattenti in Sicilia!)! Dal 1944 furono 10 miliardi, e dal 1° gennaio 1945 12 miliardi mensili, ma comprensivi delle provvidenze sociali per un milione di lavoratori italiani occupati in Germania!
A Blondet è “mancato il tocco” culturale”! Fu infatti Ezra Pound che immortalò nei Cantos (i “Pisani”, per l’esattezza! Pubblicati questi nel 1948) più volte la figura e l’opera di Domenico Pellegrini Giampietro! Ma qui si pretende troppo! Ed è … altra cosa!
In conclusione! Si verifichino sempre le attendibilità delle notizie, oggi propalate da manipolatori (moltissimi sono gli interessati ad intorbidar acque! I “soccorritori in aiuto del … vincitore”, secondo Flaiano), e le NECESSARIE-DOVEROSE citazioni delle origini dalle quali si attinge e/o si copia incolla!
Cordialmente: Antonio Pantano
Altri Articoli di Antonio Pantano: http://www.circolovegetarianocalcata.it/?s=antonio+pantano
La bella bolla blù della finanza vuota..
Attualmente ci troviamo in un sistema del credito bloccato, il denaro non circola, le banche non si fidano fra di loro, il mercato interbancario non funziona, i 480 miliardi di euro di iniezione di liquidità targata BCE fanno molta fatica ad essere prestati alle imprese e prevalentemente vengono parcheggiati nel mercato overnight, cioè vengono riconsegnate giorno per giorno alla BCE stessa in attesa di tempi migliori, in cambio di tassi risibili.
LA GRANDE BOLLA DEI DEBITI
A distanza di 3 anni e mezzo dallo scoppio dell’attuale crisi economico-finanziaria, la situazione non è per nulla cambiata: la mole dei valori finanziari continua ad essere 10 volte superiore, quella dell’economia reale.
Questa enorme bolla formata prevalentemente dagli strumenti finanziari “derivati”, creati grazie alla deregolamentazione dei mercati avallata dai governi di tutto il mondo, è destinata ad esplodere facendo danni difficilmente calcolabili.Attualmente ci troviamo in un sistema del credito bloccato, il denaro non circola, le banche non si fidano fra di loro, il mercato interbancario non funziona, i 480 miliardi di euro di iniezione di liquidità targata BCE fanno molta fatica ad essere prestati alle imprese e prevalentemente vengono parcheggiati nel mercato overnight, cioè vengono riconsegnate giorno per giorno alla BCE stessa in attesa di tempi migliori, in cambio di tassi risibili.
Nell’immediato, un maggiore impegno della BCE come prestatore di ultima istanza nell’acquisto di titoli, per abbassare i tassi di interesse è auspicabile per allentare le tensioni; ma sul lungo periodo è l’intera bolla che va in qualche modo sgonfiata”.
Oggi, vengono chiesti grossi sacrifici ai cittadini che inevitabilmente sfoceranno in disordini sociali, e intanto ci si prepara in a svendere i cosiddetti gioielli di famiglia degli Stati, replicando in vasta scala la brutta pagina di Privatizzazioni all’italiana iniziata nel 1992, sul Panfilo inglese Britannia, trasferendo ancora una volta in mano dei grandi gruppi finanziari, i monopoli naturali e pezzi importanti per l’economia. La gigantesca bolla in cui siamo immersi, è un’immane catena di Sant’Antonio, dove si crea debito con altro debito in una spirale senza fine, così come è successo con gli ormai famosissimi mutui subprime, che sono stati impacchettati, cartolarizzati, e sparsi in tutto il mondo, rimbalzando da una banca all’altra, da un fondo all’altro, fino ai cittadini consumatori, ignari dei prodotti che sono andati a sottoscrivere, con l’intervento fondamentale poi degli Stati che aumentano i loro debiti pubblici, per salvare le banche troppo grandi per poter fallire, in base al “sanissimo” principio di privatizzazione dei profitti e di socializzazione delle perdite.
E’ molto difficile vedere la luce fuori dal tunnel, l’unica via di uscita sensata, è una bancarotta generalizzata, pilotata, programmata, in modo che si riesca a sgonfiare questa bolla, senza che esploda e causi scenari apocalittici, che vadano dalle guerre civili, per approvvigionarsi dei generi alimentari e delle risorse energetiche, alle guerre fra Stati, queste, sappiamo ancora meglio come funzionano.
L’unica soluzione non può che essere una grande operazione di trasparenza a livello mondiale, una grande anagrafe pubblica dei bilanci degli Stati Sovrani, dei loro debiti pubblici, un’anagrafe dei bilanci delle Banche Centrali e delle grandi banche private, che continuano ad essere piene di prodotti tossici, contabilizzati ancora in gestioni parallele fuori bilancio.
Da qui si dovrebbe partire per l’operazione finale di ristrutturazione dei debiti pubblici, di default controllati che garantiscano il capitale ad alcune categorie più deboli di sottoscrittori, e invece facciano pagare il costo della crisi a chi è stato il maggio artefice della sua esplosione: il sistema finanziario internazionale.
E perché come ha detto il Proff. Dosi recentemente alla trasmissione l’Infedele di Gad Lerner: è necessario un grande dimagrimento della finanza internazionale, per poter disinnescare i prodotti derivati, queste armi di distruzione di massa, (per dirla alla Warren Buffet) puntate sulle nostre teste. Sarà molto difficile riuscire a disarmare, chi continua anche oggi, nel pieno della depressione, a fare utili stratosferici con i soliti metodi, ma almeno vale la pena di provarci.
Daniele Carcea
348/2839738
Attualmente ci troviamo in un sistema del credito bloccato, il denaro non circola, le banche non si fidano fra di loro, il mercato interbancario non funziona, i 480 miliardi di euro di iniezione di liquidità targata BCE fanno molta fatica ad essere prestati alle imprese e prevalentemente vengono parcheggiati nel mercato overnight, cioè vengono riconsegnate giorno per giorno alla BCE stessa in attesa di tempi migliori, in cambio di tassi risibili.
LA GRANDE BOLLA DEI DEBITI
A distanza di 3 anni e mezzo dallo scoppio dell’attuale crisi economico-finanziaria, la situazione non è per nulla cambiata: la mole dei valori finanziari continua ad essere 10 volte superiore, quella dell’economia reale.
Questa enorme bolla formata prevalentemente dagli strumenti finanziari “derivati”, creati grazie alla deregolamentazione dei mercati avallata dai governi di tutto il mondo, è destinata ad esplodere facendo danni difficilmente calcolabili.Attualmente ci troviamo in un sistema del credito bloccato, il denaro non circola, le banche non si fidano fra di loro, il mercato interbancario non funziona, i 480 miliardi di euro di iniezione di liquidità targata BCE fanno molta fatica ad essere prestati alle imprese e prevalentemente vengono parcheggiati nel mercato overnight, cioè vengono riconsegnate giorno per giorno alla BCE stessa in attesa di tempi migliori, in cambio di tassi risibili.
Nell’immediato, un maggiore impegno della BCE come prestatore di ultima istanza nell’acquisto di titoli, per abbassare i tassi di interesse è auspicabile per allentare le tensioni; ma sul lungo periodo è l’intera bolla che va in qualche modo sgonfiata”.
Oggi, vengono chiesti grossi sacrifici ai cittadini che inevitabilmente sfoceranno in disordini sociali, e intanto ci si prepara in a svendere i cosiddetti gioielli di famiglia degli Stati, replicando in vasta scala la brutta pagina di Privatizzazioni all’italiana iniziata nel 1992, sul Panfilo inglese Britannia, trasferendo ancora una volta in mano dei grandi gruppi finanziari, i monopoli naturali e pezzi importanti per l’economia. La gigantesca bolla in cui siamo immersi, è un’immane catena di Sant’Antonio, dove si crea debito con altro debito in una spirale senza fine, così come è successo con gli ormai famosissimi mutui subprime, che sono stati impacchettati, cartolarizzati, e sparsi in tutto il mondo, rimbalzando da una banca all’altra, da un fondo all’altro, fino ai cittadini consumatori, ignari dei prodotti che sono andati a sottoscrivere, con l’intervento fondamentale poi degli Stati che aumentano i loro debiti pubblici, per salvare le banche troppo grandi per poter fallire, in base al “sanissimo” principio di privatizzazione dei profitti e di socializzazione delle perdite.
E’ molto difficile vedere la luce fuori dal tunnel, l’unica via di uscita sensata, è una bancarotta generalizzata, pilotata, programmata, in modo che si riesca a sgonfiare questa bolla, senza che esploda e causi scenari apocalittici, che vadano dalle guerre civili, per approvvigionarsi dei generi alimentari e delle risorse energetiche, alle guerre fra Stati, queste, sappiamo ancora meglio come funzionano.
L’unica soluzione non può che essere una grande operazione di trasparenza a livello mondiale, una grande anagrafe pubblica dei bilanci degli Stati Sovrani, dei loro debiti pubblici, un’anagrafe dei bilanci delle Banche Centrali e delle grandi banche private, che continuano ad essere piene di prodotti tossici, contabilizzati ancora in gestioni parallele fuori bilancio.
Da qui si dovrebbe partire per l’operazione finale di ristrutturazione dei debiti pubblici, di default controllati che garantiscano il capitale ad alcune categorie più deboli di sottoscrittori, e invece facciano pagare il costo della crisi a chi è stato il maggio artefice della sua esplosione: il sistema finanziario internazionale.
E perché come ha detto il Proff. Dosi recentemente alla trasmissione l’Infedele di Gad Lerner: è necessario un grande dimagrimento della finanza internazionale, per poter disinnescare i prodotti derivati, queste armi di distruzione di massa, (per dirla alla Warren Buffet) puntate sulle nostre teste. Sarà molto difficile riuscire a disarmare, chi continua anche oggi, nel pieno della depressione, a fare utili stratosferici con i soliti metodi, ma almeno vale la pena di provarci.
Daniele Carcea
348/2839738
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mercoledì 22 febbraio 2012
Gruppi di solidarieretà e sopravvivenza - Salvataggi post civiltà tecnologica industriale...?
Dipinto di Franco Farina
Tutti attoniti, in fila come in attesa di un boia che debba tagliarci la testa, impauriti, terrorizzati di fare la fine della Grecia, di perdere quel tanto o poco di benessere che in anni e anni di lavoro ci siamo guadagnati. Purtroppo non abbiamo idee per uscirne fuori. Siamo come ipnotizzati, incapaci di reagire. La storia insegna che un popolo rassegnato, che non reagisce è facile preda di dittature, finte democrazie o Stati di polizia.
Un mese fa parlai in un altro articolo della "sindrome collettiva del terrore". Che cos'è? Semplicemente un collaudatissimo metodo di psicologia collettiva attuato soprattutto dai governi dittatoriali o finti democratici, capace di piegare ogni voglia di ribellione e di contestazione individuale.
E' una tecnica che chi, come me, ha insegnato l'arte di comunicare e le relative tecniche, conosce molto bene. L'attuale governo tecnico e tutto il suo entourage, validamente sostenuti in buona dai mass media, magari in buona fede, non fanno altro che mettere in pratica questo metodo psicologico di massa, inculcando continuamente e in maniera subdola nella psiche umana input negativi e facendo scattare in ognuno di noi quello che è conosciuto come la"risposta di sopravvivenza". In parole povere se ci si dice in continuazione che prima o poi dovremo subire cose molto gravi, perdere il lavoro, vedere la pensione dimezzata, vendere la casa per sanare i debiti dello Stato, ecc. ecc., dopo settimane e mesi di questo bombardamento psicologico, alla fine saremo tutti pronti ad accettare il male minore pur di non perdere consuetudini, comportamenti e cose acquisite nel tempo.
Quindi se domani il governo Monti ci propinerà ulteriori gabelle come la tassa sui computer, sul cane, sulla bicicletta, sul pianoforte, nonché una nuova tassa sulla prima casa, la riduzione dei nostri stipendi e pensioni e non so qual'altra diavoleria, noi tutti alla fine diremo: "menomale che è finita così, poteva andare peggio!!"
Il sistema psicologico d'informazione che si sta attuando da oltre due mesi, attraverso la stampa, la radio e la TV, è proprio da manuale, da scuola di Palo Alto ( la più prestigiosa scuola sulla comunicazione del Mondo). In effetti questi signori sono riusciti a metterci alle corde, a non farci reagire e a farci pensare che prima o poi anche noi alla fine andremo a dormire sotto un ponte... a meno ché.......
A dar manforte a questo stato di terrorismo poi ci sono i "bravi di Don Abbondio" che imperversano nel nostro Paese in attesa anche di colpire il povero pensionato che non ha ritirato uno scontrino dal negozietto sotto casa. Insomma in pochi mesi in Italia si è istaurato un clima di terrore e di attesa. Di attesa del nostro turno, di quando dovremo mettere la testa sul ceppo per farcela tagliare dal boia.
Tutto questo perché dobbiamo salvare l'Europa, la sua moneta e la sua storia. Ma non sarà perché dobbiamo salvare alcune lobby finanziarie tedesche, danesi, olandesi e francesi? Il dubbio a questo punto è più che legittimo.
A tal proposito illuminante è stata giorni fa una conferenza tenuta a Nepi sul futuro dell'Europa, gestita da alcuni eurodeputati tra cui Nicolò Rinaldi. Quest'ultimo ha fatto conoscere delle verità che mi hanno ulteriormente convinto del grande complotto in atto contro ognuno di noi. In quell'interessante incontro ho appreso che tra fine ottobre e novembre dello scorso anno i grandi capitalisti europei, hanno chiesto, tramite la Markel, di chiudere il capitolo Berlusconi perché non dava più affidabilità e di promuovere immediatamente in Italia un nuovo governo tecnico con persone di loro "gradimento".
Il nome fatto subito da questi "illuminati" è stato Mario Monti. Presto fatto, in una rapidità che non ha riscontri nel passato politico italiano, si è mandato a casa Berlusconi e si è costituito il governo Monti. Sono bastate una telefonata della Markel al Capo dello Stato, altre telefonate ai vertici del PDL perché abbassassero la testa, un'altra a Monti e il gioco alla fine si è concluso!
Al nuovo governo sono poi state date indicazioni precise: salvare l'Italia per salvare le banche e gli interessi finanziari tedeschi e francesi, nonché riportare l'Italia ad uno stato di completa sudditanza "europea".
Dall'incontro a Nepi con l'on. le Rinaldi ho anche appreso che "gli oscuri personaggi europei" avevano già deciso di dare un esempio eclatante a tutti gli altri Stati Europei, punendo duramente ("a morte") quello più debole: la Grecia. Così quando nel 2008 si poteva già intervenire per salvare la patria di Platone e di Aristotele e mettere sulla retta via il governo di Atene con un minimo di sforzo finanziario comunitario, qualcuno degli "oscuri personaggi" ha pensato invece di non far nulla e di aspettare che la situazione peggiorasse.
E questo per colpire più duro e così terrorizzare gli altri Paesi europei con problemi di debito pubblico come l'Italia. Quindi questo che stiamo vivendo in questi giorni è il risultato di una manovra studiata a tavolino e non uscita fuori per caso. Ma la cosa che mi ha fatto ulteriormente arrabbiare è l'aver appreso che per dare alla Grecia la prima tranche di aiuti finanziari, Francia e Germania hanno obbligato le autorità elleniche ad acquistare armi pesanti (carri armati e aerei) dalle loro industrie.
Alla fine di questa conferenza ho perfettamente capito che tutti i Paesi europei, ad eccezione solo della Germania, hanno perso la loro capacità di scelte autonome, di libertà interna. Più nessun Paese di questa che viene definita "Euro Zone" ha piena autonomia decisionale, può solo sperare di non venire commissariata com'è sta accadendo all'Italia. Quindi per pochi banchieri e lobby internazionali anche l'Italia ha perso la sua "libertà di scelta", la sua autonomia politica.
E in tutto questo che senso hanno le istanze delle persone, di quelle più indifese, di quelle senza un sostegno politico? Niente!! Il governo Monti ora deve adempiere a precisi diktat e, quindi, che "noia" 'sti giovani che vogliono un lavoro fisso e che "barba" 'sti lavoratori che non vogliono essere licenziati.
Va bene tutto, abbiamo capito come si vogliono cambiare usi ed abitudini di noi italiani, di quell'infinita schiera di persone oneste che in Italia hanno sempre pagato le tasse, operato con correttezza nei confronti delle istituzioni e del prossimo e che concretamente, con il proprio lavoro e la propria innata capacità di inventare e arrangiarsi, hanno evitato fino ad oggi la bancarotta del nostro Paese.
Ma la cosa che più mi sconvolge e che nessuno ha tirato fuori un piano, il famoso "piano B", ossia un modo per salvarsi, per aiutare amici e parenti da questa manovra che ogni giorno tenderà sempre di più a strangolarci. Se domani andando in banca ci si dice che non ci sono più i soldi, che equitalia ci sequestra una macchina o una casa perché nel lontano "1860" non abbiamo pagato una multa, che i "bravi di Don Abbondio" ci incatenano perché non abbiamo denunciato una vincita al superenalotto di 300 euro, se domani la benzina scatterà a 3 euro al litro, se ai supermercati non troviamo più il latte e il pane per i nostri figli....che facciamo?
Già un mese fa avevo proposto di costituire in ogni quartiere, paese e città aggregazioni di amici e parenti per attivare "il piano B". Ossia la possibilità di costituire gruppi di solidarietà in caso gli eventi dovessero ulteriormente precipitare. Gruppi di aggregazione che potremmo chiamare con l'acronimo: SAS ( Solidarietà, Assistenza e Sopravvivenza). L'idea iniziale, ma sempre valida, era quella di organizzarsi in gruppi di 10 o 20 famiglie al massimo in cui trovare all'interno la solidarietà necessaria per sopravvivere ad eventuali situazioni limite. Non è fantascienza è solo prevenzione.
Ogni gruppo SAS dovrebbe nominare uno o più coordinatori, magari persone che riscuotono la fiducia di tutti e che hanno molto tempo libero a disposizione, bene quindi chi è in pensione. Questi coordinatori dovrebbero redigere un piano di assistenza per chi in difficoltà perché licenziato "per giusta causa" o perseguitato da equitalia. Trovare un avvocato (meglio se fa parte già del gruppo) che possa aiutare chi ingiustamente perseguitato dalle istituzioni.
Tutti i componenti dei gruppi SAS dovrebbero provvedere a redigere piani di sopravvivenza calibrati in virtù della gravità degli eventi esterni. Dove e quando reperire cibo e medicinali, quando "scappare" dalle città per rifugiarsi in campagna o in paesini più tranquilli; in quale modo aiutare la famiglia che non ha più lavoro, ecc. ecc.
Se tutte queste fosche previsioni non dovessero avverarsi, e lo spero vivamente, sarà stato per molti un esercizio, quasi un gioco, senza arrecare danni a persone e cose, solo una esercitazione preventiva. Poi ognuno tornerà a fare quello che ha sempre fatto e i gruppi SAS potrebbero restare come un momento di aggregazione tra amici. Ma se invece le previsioni più nere dovessero avverarsi, il non essersi organizzati in tempo potrebbe rappresentare una catastrofe ulteriore per molte famiglie. Perché allora non pensare di prevedere e prevenire quello che, ci auguriamo, non debba mai accadere?
All'inizio si possono consultare amici e parenti, esporre loro il progetto e valutare la fattibilità. Si può partire con un gruppo formato da almeno 10 famiglie e tra queste individuare ed inserire chi possiede un pezzo di terra agricola fuori città. Serviranno anche persone competenti nell'utilizzo di energie caloriche ed elettriche ricavate dal fotovoltaico o dall'eolico e poi un medico, un paio di artigiani delle costruzioni in legno e, ovviamente, esperti in agricoltura e zootecnia.
Tutte queste persone dovrebbero elaborare un piano di sostentamento alimentare in caso di crisi e, in caso di peggioramento della situazione, prevedere anche un eventuale trasferimento nell'appezzamento di terreno già inserito nella SAS.
Qualcuno legittimamente potrebbe obiettare e chiedermi: -"La situazione è così drammatica, come descritta fin qui al punto di organizzarci in gruppi di sopravvivenza? Non è questa pura fantascienza?
Forse si e forse no! Ma allora perché aspettare che gli eventi possano ulteriormente precipitare senza muovere un dito, senza almeno cercare un piano "B" per sé e per la propria famiglia? Dobbiamo ragionevolmente valutare tutto senza isterismi, esaltazioni o completo menefreghismo; valutare se è il caso oppure no di pensare a qualche scappatoia qualora la situazione già pesante dovesse ulteriormente peggiorare. Ma intanto tra amici potremmo pensare non alla grande fuga dalle città, ma ad organizzarci per costituire un semplice gruppo di acquisti di generi di prima necessità.
In questo modo oltre al beneficio per l'abbattimento dei costi dei generi alimentari, si potrebbe sperimentare in maniera molto soft l'eventuale istituzione di un gruppo SAS. E poi va sempre ricordato che vale l'antico proverbio che dice: "E' meglio prevenire che curare".
Ennio La Malfa
Tutti attoniti, in fila come in attesa di un boia che debba tagliarci la testa, impauriti, terrorizzati di fare la fine della Grecia, di perdere quel tanto o poco di benessere che in anni e anni di lavoro ci siamo guadagnati. Purtroppo non abbiamo idee per uscirne fuori. Siamo come ipnotizzati, incapaci di reagire. La storia insegna che un popolo rassegnato, che non reagisce è facile preda di dittature, finte democrazie o Stati di polizia.
Un mese fa parlai in un altro articolo della "sindrome collettiva del terrore". Che cos'è? Semplicemente un collaudatissimo metodo di psicologia collettiva attuato soprattutto dai governi dittatoriali o finti democratici, capace di piegare ogni voglia di ribellione e di contestazione individuale.
E' una tecnica che chi, come me, ha insegnato l'arte di comunicare e le relative tecniche, conosce molto bene. L'attuale governo tecnico e tutto il suo entourage, validamente sostenuti in buona dai mass media, magari in buona fede, non fanno altro che mettere in pratica questo metodo psicologico di massa, inculcando continuamente e in maniera subdola nella psiche umana input negativi e facendo scattare in ognuno di noi quello che è conosciuto come la"risposta di sopravvivenza". In parole povere se ci si dice in continuazione che prima o poi dovremo subire cose molto gravi, perdere il lavoro, vedere la pensione dimezzata, vendere la casa per sanare i debiti dello Stato, ecc. ecc., dopo settimane e mesi di questo bombardamento psicologico, alla fine saremo tutti pronti ad accettare il male minore pur di non perdere consuetudini, comportamenti e cose acquisite nel tempo.
Quindi se domani il governo Monti ci propinerà ulteriori gabelle come la tassa sui computer, sul cane, sulla bicicletta, sul pianoforte, nonché una nuova tassa sulla prima casa, la riduzione dei nostri stipendi e pensioni e non so qual'altra diavoleria, noi tutti alla fine diremo: "menomale che è finita così, poteva andare peggio!!"
Il sistema psicologico d'informazione che si sta attuando da oltre due mesi, attraverso la stampa, la radio e la TV, è proprio da manuale, da scuola di Palo Alto ( la più prestigiosa scuola sulla comunicazione del Mondo). In effetti questi signori sono riusciti a metterci alle corde, a non farci reagire e a farci pensare che prima o poi anche noi alla fine andremo a dormire sotto un ponte... a meno ché.......
A dar manforte a questo stato di terrorismo poi ci sono i "bravi di Don Abbondio" che imperversano nel nostro Paese in attesa anche di colpire il povero pensionato che non ha ritirato uno scontrino dal negozietto sotto casa. Insomma in pochi mesi in Italia si è istaurato un clima di terrore e di attesa. Di attesa del nostro turno, di quando dovremo mettere la testa sul ceppo per farcela tagliare dal boia.
Tutto questo perché dobbiamo salvare l'Europa, la sua moneta e la sua storia. Ma non sarà perché dobbiamo salvare alcune lobby finanziarie tedesche, danesi, olandesi e francesi? Il dubbio a questo punto è più che legittimo.
A tal proposito illuminante è stata giorni fa una conferenza tenuta a Nepi sul futuro dell'Europa, gestita da alcuni eurodeputati tra cui Nicolò Rinaldi. Quest'ultimo ha fatto conoscere delle verità che mi hanno ulteriormente convinto del grande complotto in atto contro ognuno di noi. In quell'interessante incontro ho appreso che tra fine ottobre e novembre dello scorso anno i grandi capitalisti europei, hanno chiesto, tramite la Markel, di chiudere il capitolo Berlusconi perché non dava più affidabilità e di promuovere immediatamente in Italia un nuovo governo tecnico con persone di loro "gradimento".
Il nome fatto subito da questi "illuminati" è stato Mario Monti. Presto fatto, in una rapidità che non ha riscontri nel passato politico italiano, si è mandato a casa Berlusconi e si è costituito il governo Monti. Sono bastate una telefonata della Markel al Capo dello Stato, altre telefonate ai vertici del PDL perché abbassassero la testa, un'altra a Monti e il gioco alla fine si è concluso!
Al nuovo governo sono poi state date indicazioni precise: salvare l'Italia per salvare le banche e gli interessi finanziari tedeschi e francesi, nonché riportare l'Italia ad uno stato di completa sudditanza "europea".
Dall'incontro a Nepi con l'on. le Rinaldi ho anche appreso che "gli oscuri personaggi europei" avevano già deciso di dare un esempio eclatante a tutti gli altri Stati Europei, punendo duramente ("a morte") quello più debole: la Grecia. Così quando nel 2008 si poteva già intervenire per salvare la patria di Platone e di Aristotele e mettere sulla retta via il governo di Atene con un minimo di sforzo finanziario comunitario, qualcuno degli "oscuri personaggi" ha pensato invece di non far nulla e di aspettare che la situazione peggiorasse.
E questo per colpire più duro e così terrorizzare gli altri Paesi europei con problemi di debito pubblico come l'Italia. Quindi questo che stiamo vivendo in questi giorni è il risultato di una manovra studiata a tavolino e non uscita fuori per caso. Ma la cosa che mi ha fatto ulteriormente arrabbiare è l'aver appreso che per dare alla Grecia la prima tranche di aiuti finanziari, Francia e Germania hanno obbligato le autorità elleniche ad acquistare armi pesanti (carri armati e aerei) dalle loro industrie.
Alla fine di questa conferenza ho perfettamente capito che tutti i Paesi europei, ad eccezione solo della Germania, hanno perso la loro capacità di scelte autonome, di libertà interna. Più nessun Paese di questa che viene definita "Euro Zone" ha piena autonomia decisionale, può solo sperare di non venire commissariata com'è sta accadendo all'Italia. Quindi per pochi banchieri e lobby internazionali anche l'Italia ha perso la sua "libertà di scelta", la sua autonomia politica.
E in tutto questo che senso hanno le istanze delle persone, di quelle più indifese, di quelle senza un sostegno politico? Niente!! Il governo Monti ora deve adempiere a precisi diktat e, quindi, che "noia" 'sti giovani che vogliono un lavoro fisso e che "barba" 'sti lavoratori che non vogliono essere licenziati.
Va bene tutto, abbiamo capito come si vogliono cambiare usi ed abitudini di noi italiani, di quell'infinita schiera di persone oneste che in Italia hanno sempre pagato le tasse, operato con correttezza nei confronti delle istituzioni e del prossimo e che concretamente, con il proprio lavoro e la propria innata capacità di inventare e arrangiarsi, hanno evitato fino ad oggi la bancarotta del nostro Paese.
Ma la cosa che più mi sconvolge e che nessuno ha tirato fuori un piano, il famoso "piano B", ossia un modo per salvarsi, per aiutare amici e parenti da questa manovra che ogni giorno tenderà sempre di più a strangolarci. Se domani andando in banca ci si dice che non ci sono più i soldi, che equitalia ci sequestra una macchina o una casa perché nel lontano "1860" non abbiamo pagato una multa, che i "bravi di Don Abbondio" ci incatenano perché non abbiamo denunciato una vincita al superenalotto di 300 euro, se domani la benzina scatterà a 3 euro al litro, se ai supermercati non troviamo più il latte e il pane per i nostri figli....che facciamo?
Già un mese fa avevo proposto di costituire in ogni quartiere, paese e città aggregazioni di amici e parenti per attivare "il piano B". Ossia la possibilità di costituire gruppi di solidarietà in caso gli eventi dovessero ulteriormente precipitare. Gruppi di aggregazione che potremmo chiamare con l'acronimo: SAS ( Solidarietà, Assistenza e Sopravvivenza). L'idea iniziale, ma sempre valida, era quella di organizzarsi in gruppi di 10 o 20 famiglie al massimo in cui trovare all'interno la solidarietà necessaria per sopravvivere ad eventuali situazioni limite. Non è fantascienza è solo prevenzione.
Ogni gruppo SAS dovrebbe nominare uno o più coordinatori, magari persone che riscuotono la fiducia di tutti e che hanno molto tempo libero a disposizione, bene quindi chi è in pensione. Questi coordinatori dovrebbero redigere un piano di assistenza per chi in difficoltà perché licenziato "per giusta causa" o perseguitato da equitalia. Trovare un avvocato (meglio se fa parte già del gruppo) che possa aiutare chi ingiustamente perseguitato dalle istituzioni.
Tutti i componenti dei gruppi SAS dovrebbero provvedere a redigere piani di sopravvivenza calibrati in virtù della gravità degli eventi esterni. Dove e quando reperire cibo e medicinali, quando "scappare" dalle città per rifugiarsi in campagna o in paesini più tranquilli; in quale modo aiutare la famiglia che non ha più lavoro, ecc. ecc.
Se tutte queste fosche previsioni non dovessero avverarsi, e lo spero vivamente, sarà stato per molti un esercizio, quasi un gioco, senza arrecare danni a persone e cose, solo una esercitazione preventiva. Poi ognuno tornerà a fare quello che ha sempre fatto e i gruppi SAS potrebbero restare come un momento di aggregazione tra amici. Ma se invece le previsioni più nere dovessero avverarsi, il non essersi organizzati in tempo potrebbe rappresentare una catastrofe ulteriore per molte famiglie. Perché allora non pensare di prevedere e prevenire quello che, ci auguriamo, non debba mai accadere?
All'inizio si possono consultare amici e parenti, esporre loro il progetto e valutare la fattibilità. Si può partire con un gruppo formato da almeno 10 famiglie e tra queste individuare ed inserire chi possiede un pezzo di terra agricola fuori città. Serviranno anche persone competenti nell'utilizzo di energie caloriche ed elettriche ricavate dal fotovoltaico o dall'eolico e poi un medico, un paio di artigiani delle costruzioni in legno e, ovviamente, esperti in agricoltura e zootecnia.
Tutte queste persone dovrebbero elaborare un piano di sostentamento alimentare in caso di crisi e, in caso di peggioramento della situazione, prevedere anche un eventuale trasferimento nell'appezzamento di terreno già inserito nella SAS.
Qualcuno legittimamente potrebbe obiettare e chiedermi: -"La situazione è così drammatica, come descritta fin qui al punto di organizzarci in gruppi di sopravvivenza? Non è questa pura fantascienza?
Forse si e forse no! Ma allora perché aspettare che gli eventi possano ulteriormente precipitare senza muovere un dito, senza almeno cercare un piano "B" per sé e per la propria famiglia? Dobbiamo ragionevolmente valutare tutto senza isterismi, esaltazioni o completo menefreghismo; valutare se è il caso oppure no di pensare a qualche scappatoia qualora la situazione già pesante dovesse ulteriormente peggiorare. Ma intanto tra amici potremmo pensare non alla grande fuga dalle città, ma ad organizzarci per costituire un semplice gruppo di acquisti di generi di prima necessità.
In questo modo oltre al beneficio per l'abbattimento dei costi dei generi alimentari, si potrebbe sperimentare in maniera molto soft l'eventuale istituzione di un gruppo SAS. E poi va sempre ricordato che vale l'antico proverbio che dice: "E' meglio prevenire che curare".
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martedì 21 febbraio 2012
Vincenzo Mannello, il porto di Kochi e la svendita dell'Italia
Kerala, Porto di Kochi – Qualunque cosa sia esattamente accaduta, sicuramente al di fuori delle acque territoriali indiane, la consegna "a domicilio" da parte del comandante della Enrica Lexie dei due militari alle autorità indiane, ha il sapore amaro della umiliazione nei confronti di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, rei di avere, in ogni caso, adempiuto al proprio dovere di militari al servizio del proprio paese. Vera e propria offesa alla loro dignità di soldati e pure atto di (s)vendita ad autorità di un paese straniero. Ed, a maggior disdoro, compiuto con la probabile acquiescenza dell' armatore, dei nostri comandi militari e del governo italiano.
Mai, dico mai, è giunta notizia della consegna volontaria di soldati di una qualunque "potenza" occidentale (e non solo) implicati in azioni di guerra (tale dovrebbe essere la lotta alla pirateria) od attività operative all'estero. I lontani fatti del Cermis insegnano, oltre ai numerosissimi e documentati episodi che hanno visto soldatesche statunitensi, inglesi, francesi o israeliane coinvolte persino in crimini contro l'umanità. Addirittura, pochi giorni fa, nel porto di Catania, marinai inglesi
ubriachi hanno gettato a mare, tra urla e schiamazzi di gioia, una statua di Cristo, situata nel porto. Senza che sia stata permessa alla polizia neppure la individuazione dei responsabili. Altro che sparatoria in mare aperto dai contorni tutti da chiarire!
Perchè un governo (in italia considerato di esemplare "democrazia") ha usato questa determinazione nei confronti di due soldati "stranieri"? Perchè il bersaglio era ed è "facile" . Perchè l'Italia (non solo militare), quando è priva dello scudo fisico degli Usa, è ben poca cosa. Incapace di un atteggiamento appena appena decente. L'abbiamo visto, nel recente passato, in Irak, in Afghanistan, in Libia. Perchè i governanti italiani, sospetti di aver sempre pagato per il recupero degli ostaggi sequestrati nel mondo, sono famosi per i comportamenti mai chiari, coraggiosi e
determinati. Quindi l' India, per problemi interni, con chi avrebbe dovuto e potuto fare la voce grossa se non con due militari di uno stato di fatto inesistente?
Vincenzo Mannello
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Altra Tarquinia.. altro mondo - Progetto per una lista civica "Per il bene di Tarquinia" con metà donne e metà uomini
La lista civica Per Il Bene di Tarquinia sarà composta dal 50% da donne, altro che quote rosa!
Dalle Idee al Programma. LA LISTA CIVICA PER IL BENE DI TARQUINIA RAFFORZA L’IDEA CHE VADA RISPETTATA L’EQUILIBRATA RAPPRESENTANZA DI ENTRAMBI I SESSI NEGLI ORGANI RAPPRESENTATIVI, CONFERMANDO LA PRESENZA DEL 50% DI DONNE TRA I CANDIDATI DELLE PROSSIME AMMINISTRATIVE
“Il deficit di democrazia, costituito dalla scarsa presenza femminile nei luoghi della rappresentanza politica e nelle istituzioni, e’ ancora oggi una lacuna che mantiene una certa disparita’ di partecipazione delle donne nella governance del Paese”
La lista civica Per il Bene di Tarquinia per la composizione della lista proporrà la quota paritaria di genere nella propria lista e chiederà anche dopo le elezioni che la nuova amministrazione qualunque essa sia che si attenga alla legge!
Siamo ormai oltre la richiesta di quote rosa!
. “La mancata spontanea attuazione del principio di uguaglianza sostanziale di cui agli articoli 3 51 della Costituzione (le pari opportunità tra donne e uomini) ha provocato negli ultimi anni il ricorso all’autorità giudiziaria” per vedere dichiarata l’effettività delle norme in materia di parita dei generi”.
Riportiamo la sentenza del Tar Lazio che la scorsa estate ha cambiato la composizione della Giunta del comune di Roma, concretizzando l’inserimento di due donne al posto di due uomini.
Sentenza del Tar Lazio del 25 Luglio 2011
“Soltanto l’equilibrata rappresentanza di entrambi i sessi in seno agli organi amministrativi, specie se di vertice e di spiccata caratterizzazione politica, garantisce l’acquisizione al modus operandi dell’ente, e quindi alla sua concreta azione amministrativa, di tutto quel patrimonio, umano, culturale, sociale, di sensibilità e di professionalità, che assume una articolata e diversificata dimensione in ragione proprio della diversità del genere.
Organi squilibrati nella rappresentanza di genere, in altre parole, oltre ad evidenziare un deficit di rappresentanza democratica dell’articolata composizione del tessuto sociale e del corpo elettorale ( il che risulta persino più grave in organi i cui componenti non siano eletti direttamente, ma nominati), risultano anche potenzialmente carenti sul piano della funzionalità, perché sprovvisti dell’apporto collaborativo del genere non adeguatamente rappresentato.
L’equilibrio di genere, come parametro conformativo di legittimità sostanziale dell’azione amministrativa, nato nell’ottica dell’attuazione del principio di eguaglianza sostanziale fra i sessi, viene così ad acquistare una ulteriore dimensione funzionale, collocandosi nell’ambito degli strumenti attuativi dei principi di cui all’art. 97 Cost.: dove l’equilibrata partecipazione di uomini e donne (col diverso patrimonio di umanità, sensibilità, approccio culturale e professionale che caratterizza i due generi) ai meccanismi decisionali e operativi di organismi esecutivi o di vertice diventa nuovo strumento di garanzia di funzionalità, maggiore produttività, ottimale perseguimento degli obiettivi, trasparenza ed imparzialità dell’azione pubblica (presidente Luigi Tosti, relatore Giampiero Lo Presti)”.
Il comune di Tarquinia nel proprio statuto, non prevede, al contrario di molti comuni Italiani, il rispetto delle quote paritarie di genere, sperando lo faccia nei prossimi ed ultimi consigli comunali, preparando così la possibilità di attuarlo sicuramente per le prossime amministrative.
La lista civica Per il Bene di Tarquinia si augura che la discussione costruttiva, si apra in tutte le segreterie di partiti politici locali, nei gruppi promotori di liste, per la presentazione ufficiale dei candidati, un rispetto vero per l’equilibrio di genere, per una equilibrata partecipazione di uomini e donne, ovvero puntando al 50% di presenza femminile, anziché il ricorso delle discusse quote rosa, che si accontentavano di alzare al 30% la rappresentanza femminile nelle istituzioni.
Marzia Marzoli
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lunedì 20 febbraio 2012
Come si abbattono i Regimi di Gene Sharp - Recensione di Giulietto Chiesa
Rien ne va plus...
Come si abbattono i Regimi di Gene Sharp - Recensione di Giulietto Chiesa
Raramente scrivo recensioni. In genere, quando non sono costretto a farlo da ragioni di convenienza, o per soddisfare le pretese di autori molto insistenti, scrivo di libri che mi piacciono, o che intendo proporre ad altri lettori perchè li ritengo utili, o perchè offrono angoli visuali originali.
In questo caso il libro in questione non mi è piaciuto per niente. Anzi l’ho trovato irritante. Il suo autore è sostanzialmente un poveraccio (intellettualmente parlando s’intende), che esce come un pulcino inzuppato di ideologia – intesa come falsa coscienza – dalla lavatrice del pensiero unico. Un esegeta, dunque, della Matrix in cui ha vissuto, del tutto incapace di vedere i suoi confini. Una specie di protagonista da “Truman show”, ma privato di ogni possibilità di redenzione.
Perchè ne scrivo, dunque? Perchè – come avrebbe detto Leonardo Sciascia – il contesto che rappresenta è straordinariamente interessante, ricco di informazioni su come si pensa, cosa si pensa, come si agisce nei centri della sovversione, quei posti dove vengono elaborate le vere strategie e tattiche rivoluzionarie dei tempi moderni. Tempi in cui, per essere precisi, le rivoluzioni le fa il Potere, non i rivoluzionari d’un tempo, non i mitici anarchici, non i popoli, non i partiti, non i soviet, o comunque si siano chiamati in passato, fino al secolo XX incluso.
E qui è subito opportuna una serie di notazioni non a margine. Forse utile per quei lettori che ancora pensano, appunto, con le categorie dei tempi andati; di quelli che, non essendosi aggiornati, non avendo fatto alcuno sforzo per capire quali cambiamenti sono intervenuti nei rapporti di forza, nelle dinamiche economiche e sociali, nei sistemi di informazione e comunicazione, nelle tecnologie della manipolazione, continuano ad applicare le teorie rivoluzionarie dell’epoca delle lotte di classe così come fu descritta, e creata, a partire dalla rivoluzione francese.
Ma queste note a margine, che sono la ragione vera per cui scrivo queste righe, potrebbero forse servire anche per coloro che rivoluzionari non sono, e non intendono essere, ma che semplicemente non hanno mai provato a cimentarsi intellettualmente con il problema del Potere. E, essendo totalmente impreparati a farlo, non sono capaci di capire come il Potere agisce per mantenere se stesso. Con quale ferocia, un Potere – ferocia tanto più grande quanto più grande è questo potere – usa gli strumenti dei quali dispone. Il Potere non è mai “dilettante”. E’ un mestiere. E agisce sempre per la vita o per la morte.
Ora gl’intellettuali sono spesso inclini a ragionare proiettando sugli altri la loro visione del mondo. Quando lo fanno sulle persone prive di potere commettono sempre dei guai, ma talvolta questi guai sono di secondaria importanza, perchè le persone normali non hanno potere. Ma quando questa proiezione si esercita nei confronti del Potere, essa può divenire esiziale, sia per chi la fa (cioè per gl’intellettuali stessi), sia per chi ci crede, cioè per i lettori dei loro libri, dei loro scritti, dei loro articoli, delle loro conferenze.
Se dunque tu cercherai di descrivere una lotta politica del Potere contro i suoi antagonisti come se fosse una partita di scopone, probabilmente finirai male (soprattutto se sei dalla parte degli oppositori al Potere). Il quale non gioca a carte, se si sente in pericolo: liquida, squalifica, esclude, se necessario uccide. Questo dettaglio sfugge alla gran parte degl’intellettuali e a quasi tutti i giornalisti. Quelli, tra questi ultimi, cui non sfugge, di regola si mettono dalla parte del Potere e così smettono di giocare a carte anche loro. Gli altri, i maggiormente stupidi, continuano a giocare a carte, essendo spesso utili a impedire a tutti gli altri di capire cosa fa il Potere. Questo spiega perfettamente perchè il libro di Gene Sharp è stato scritto: per loro.
Ovvio che con quelle categorie interpretative autoreferenti, non solo non si può vincere niente, ma non è più nemmeno possibile capire chi attacca e chi si difende, dov’è il campo di battaglia, chi sono i contendenti. Quando si discute con questi orfani della ragion politica non è difficile rendersi conto, per esempio, che questo vacuum quasi assoluto di analisi porta spesso costoro a pensare di essere all’offensiva su inesistenti tenzoni, mentre stanno subendo sconfitte clamorose nei campi reali dove la battaglia è in corso, ma dove loro non ci sono. Appunto perché sono altrove. I mulini a vento sono ciò che vedono questi Don Chisciotte modernissimi. La differenza tra loro e il loro prototipo consiste in un solo, enorme dettaglio. Quello della Mancia sognava per conto proprio. Questi sono stati ipnotizzati dal Potere, e vengono condotti per mano dove questo vuole.
Il libro è, in sostanza, la descrizione di come l’Impero, morente, diventa sovversivo per difendersi. E’ un manuale della “rivoluzione regressiva”: l’unica rivoluzione esistente, che segnerà gli ultimi decenni che precedono il crash finale di questo sistema. Il quale, non avendo più futuro, è costretto a pensare a ritroso.
E lo fa utilizzando l’ultimo strumento che ha a disposizione: le tecnologie. E’ per questo che riesce ad apparire moderno agli occhi di milioni di giovani, che – immersi come sono nella Grande Piscina dei Sogni e delle Menzogne – non riescono a guardare “fuori” e a vedere la complessità della manipolazione cui sono soggetti.
L’autore si chiama Gene Sharp e non è un ragazzino, visto che è classe 1928. Come abbia vissuto fino ai giorni nostri è faccenda non misteriosa. Basta guardare su Wikipedia la sua modesta carriera di sovversivo.
In questa specialità emerge al termine di una lunga vita nell’ombra, pubblicando un libro il cui titolo originale – “From Dictatorship to Democracy” – richiama subito alla memoria Francis Fukuyama, quello della “fine della storia”. L’editore italiano è Chiarelettere, per altri aspetti benemerito, ma in questo caso completamente abbacinato anch’esso dall’ideologia imperiale.
I confini di Matrix, come sappiamo, sono vasti e appiccicosi. Nell’ultima di copertina l’editore italiano ci informa che Sharp “è ritenuto tra i principali ispiratori delle rivoluzioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo”. Definizione riduttiva. In realtà Gene Sharp (diciamo la sua scuola di pensiero, sebbene chiamarla in questo modo faccia correre qualche brivido nella schiena) è l’ispiratore di tutte le esportazioni della democrazia americano-occidentale dell’ultimo trentennio. Di quelle innescate e vinte, come di quelle tentate e perse. E’ bene ricordarlo, perchè nonostante il Potere sia l’unico rivoluzionario esistente, non è detto che le rivoluzioni che tenta le vinca tutte. Qualche volta le perde. Comunque Sharp è il profeta, appunto, delle “rivoluzioni regressive”. Per questo merita tutta l’attenzione da parte nostra, di noi che siamo le sue vittime, i suoi bersagli.
Lui, di sè, dice: “Ero a Tien an men quando i carri armati ci sono venuti addosso” (La Repubblica, 17 febbraio 2011). Capito dove stava? Forse era lui quel giovanotto che fermò la colonna dei carri armati sotto l’Hotel Pechino. A quanto pare fu dappertutto. C’era lui dovunque sorgessero le rivoluzioni , come i funghi, specie dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Sicuramente Gene Sharp era anche quel rude picconatore che sgretolava a martellate il famoso Muro di Berlino. E’ stata la sua tavolozza a fornire i colori delle varie rivoluzioni del ventennio passato, da Belgrado a Tirana, a Pristina a Kiev, a Tbilisi. Quando Gene Sharp non era presente di persona, sembra di capire che “ispirava” da lontano.
Il libro risulta tradotto in quasi trenta lingue, sicuramente in arabo, in russo e in cinese. E si capisce il perché, leggendolo. Perché le centrali sovversive guardano già a Mosca e San Pietroburgo, a Pechino e Shanghai. Si capisce anche che contenga qualche contraddizione, come accade a tutti i bestsellers. La tesi centrale del libro è che ogni dittatura può essere abbattuta, “purchè la ribellione nasca dall’interno”. Ovvero: purchè sembri che essa nasca dall’interno.
Viene in mente subito la Libia. E, ai giorni nostri, la Siria, o anche la Russia.
Infatti Gene Sharp spiega subito che, per nascere dall’interno, se non ci arriva da sola, la ribellione, deve “essere ispirata” da qualcuno. Ecco: il libro di Sharp è un manuale per formare gli “ispiratori”. Per questo – ma Sharp non lo dice – è sufficiente avere molti soldi, a decine e centinaia di milioni. Infatti, queste ribellioni avvengono di regola – così è stato fino ad ora – nei luoghi dove i redditi sono bassi, più bassi, e dove il denaro è l’arma principale per “ispirare”. Senza questo “differenziale” di ricchezza, non c’è ispirazione che tenga. E il primo suggerimento da dare agl’ingenui che non conoscono il Potere è proprio quello di chiedersi: come mai gl’«ispirati» che Gene Sharp cerca sono tutti nei paesi che soffrono di quel differenziale?
Non sarà che, ad essere «ispirati», sono gl’intellettuali dei paesi più poveri? Con i proventi di quel differenziale si possono finanziare centinaia e migliaia di borse di studio, di grants per professori universitari, che accorreranno nelle università britanniche, americane, francesi, tedesche, nei think-tank occidentali, dove verranno educati in piena libertà ad amare solo i valori occidentali, e dove vedranno aprirsi autostrade per le loro carriere future. In patria dopo la vittoria, all’estero in caso di sconfitta. E’ così che si delinea il provvidenziale aiuto dall’esterno. C’è, per questo, e opera da decenni, una possente rete di istituzioni specificamente ad esso destinate, costruite, finanziate. Da “Giornalisti senza frontiere”, solo per fare qualche esempio, ai vari Carnegie Endowment for International Peace, agli Avaaz che raccolgono firme a tutto spiano, e che a volte sembrano davvero delle centrali missionarie, moralizzatrici, libertarie, ecologiche, verdi, comunque molto colorate. Ci sono, per questa bisogna, radio come Free Europe, Radio Liberty, Deutsche Welle e via elencando. Ci sono televisioni satellitari, una marea di siti web, che sono impinguate di piccoli eserciti di “ispiratori” dall’esterno, che trasmettono incessantemente, foraggiano, spingono, descrivono le lotte per i diritti umani, per la democrazia; che fissano le scadenze delle rivoluzioni, delle “primavere”, degli aneliti alla libertà d’impresa, al mercato.
Se, per esempio – com’è accaduto recentemente – il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve votare una risoluzione di condanna del governo siriano che troverà il veto di Russia e Cina, ecco che l’”ispirazione” giungerà puntuale a muovere tutti i media occidentali perchè annuncino stragi in diverse città siriane. Mancheranno fonti attendibili e conferme, ma basterà per questo pubblicare i dati forniti da Avaaz, non si sa come raccolti, oppure quelli di Al Jazeera e di Al Arabiya, la cui attendibilità è ormai pari a quella della CNN, cioè uguale a zero. Non insisterei su tutti questi noiosi dettagli se non avessi assistito di persona alle modalità con cui sono state finanziate e organizzate le rivoluzioni colorate in Jugoslavia, in Ucraina, in Georgia, in Cecoslovacchia, e prima ancora con il meraviglioso prototipo di Solidarność in Polonia, che ebbe come “ispiratore” principale, sotto il profilo ideologico e finanziario, niente meno che il Vaticano del – per questo – beatificato Karol Wojtyła.
Operazioni che, nel centro d’Europa, continuano tutt’ora attorno all’”ultima dittatura”, quella di Aleksandr Lukašenko in Bielorussia, accerchiata dalle radio e dalle televisioni che, pagate dall’Unione Europea, trasmettono dai territori appena conquistati del Prebaltico e della Polonia.
Naturalmente – sarà opportuno ricordarlo per prevenire le geremiadi di coloro che mi accuseranno di sostenere i dittatori più o meno sanguinari – in molti di questi casi le repressioni sono esistite ed esistono. Naturalmente la corruzione e la palese assenza di democrazia di alcuni di quei regimi esistono e sono esistite. Naturalmente esistono e sono esistite forme di resistenza dei diritti umani che meritano tutta la nostra solidarietà. Esse esistono, combattono in condizioni impari contro un Potere che è più forte di loro. Ed è appunto su di esse che si esercita l’”ispirazione” di cui scrive Gene Sharp. Ed essa può fare conto sulla potenza sterminata del denaro, quando è sterminato; ma anche sull’ingenuità dei destinatari. I quali, costretti come sono sulla difensiva, sono straordinariamente penetrabili alle forme più sottili, più innocenti, più “giustificabili”, di corruzione. E’ appunto maneggiando questa trappola che agiscono gl’”ispiratori” come Gene Sharp e i finanziatori che sono appollaiati sulle sue spalle.
Dunque la prima cosa che occorre fare, per capire cosa è successo e succede in tutti i paesi che si trovano dalla parte bassa del differenziale di ricchezza, è osservare l’evoluzione che si verifica proprio nei movimenti di ribellione: cioè come essi sono prima della cura cui vengono sen’altro sottoposti dagl’”ispiratori”, e poi dopo. Questa analisi rivelerebbe curiose somiglianze tra la trasformazione che fu subita, per esempio, da movimenti come “Otpor”, a Belgrado e nella ex Jugoslavia, e la rinomata e ormai defunta “Rivoluzione Aarancione” in Ucraina. Si parte da qualche vecchio ciclostile, e si arriva con un contratto di insegnamento magari a Harvard. Resistere è difficile, per non dire impossibile. All’inizio sono “ispirazioni”, poi diventano ordini, ai quali è impossibile resistere. E più il differenziale è alto, più è facile trovare decine, poi centinaia, poi migliaia di sinceri, sincerissimi “ispirati”.
Hic Rhodus, hic salta. E’ qui che bisogna avere il coraggio e la forza di distinguere i diritti sacrosanti che vengono violati, dai profittatori politici esterni (o anche interni) che li utilizzano per fini di conquista. C’è un criterio abbastanza semplice per distinguere. Basta conoscere chi finanzia. Se, per esempio, ci sono buone ragioni per pensare che sia l’Arabia Saudita a comprare armi e a assoldare eserciti, ecco che si può stare certi che, appoggiando una data rivolta, non si lavora al servizio della democrazia e dei diritti, bensì si sostiene la barbarie e l’oppressione.
Ti mostreranno il contrario, naturalmente. E’ il loro mestiere. Lavorano per questo, ben pagati, 24 ore al giorno, tutti i giorni. Esempi preclari di questa circostanza sono l’UCK del Kosovo e la rivolta siriana. Nel primo caso fu un intero esercito a essere organizzato, finanziato, istruito, appoggiato da fiumi di denaro provenienti da Riyād, da Washington, da Berlino, dalla Nato. E non è un caso se il governo di Pristina che ne è emerso è un covo di criminali, le cui mani insanguinate vengono strette ora con calore a Bruxelles, in pieno ludibrio di ogni diritto umano e di ogni principio europeo di libertà e di rispetto dei diritti umani.
L’altro esempio è ora sotto i nostri occhi in Siria, dove l’evidenza mostra un intreccio complesso ma trasparente di aiuti esterni, ai ribelli provenienti da Israele, dalla Turchia, dall’Arabia Saudita, dagli Stati Uniti d’America. Non sono singole unità, sono centinaia, e poi migliaia di stipendi, di prebende, di consiglieri, di esperti. E poi, quando non bastassero i consigli e si dovesse fare ricorso alla forza, è la volta degli eserciti mercenari. E, quando essi vanno al potere e vincono, segue una lunga scia di sangue, di violenze, di vendette, di illegalità e di soprusi. E, dunque, si può essere certi che, in caso di caduta del regime di Bashar el-Assad, quello che verrà dopo non sarà certamente il trionfo della libertà e dei diritti umani. Si veda il caso, di nuovo, della Libia appena liberata dal “sanguinario” dittatore Gheddafi e in preda a masnade criminali che erano già tali prima che il conflitto cominciasse e che ora sono divenute padrone.
Insomma basta applicare l’antica regola del cui prodest. Che non è criterio certo al 100%, ma che funziona, in politica, quasi sempre. Ovviamente usando norme di cautela elementari, come quella di stare sempre attenti che gli organizzatori delle provocazioni le costruiscono sempre utilizzando alla rovescia proprio il principio del cui prodest. Così, quando vi capiterà di trovarvi di fronte a un attentato terroristico qualunque, basterà che analizziate bene – per disinnescarlo - il cui prodest che vi viene offerto su un piatto d’argento. Per esempio quando qualcuno assassinasse Vittorio Arrigoni, e voi sentiste da tutti i mass media, all’unisono, la rivendicazione di un non meglio identificato “gruppo salafita”, con tanto di sito internet e musichetta rivoluzionaria araba, dovreste immediatamente pensare che gl’ispiratori sono stati – faccio un esempio a caso - i servizi segreti israeliani.
L’edizione italiana di Gene Sharp mette in caratteri minori il titolo inglese e offre una nuova titolazione: “Come abbattere un regime”, e come sottotitolo offre un condensato ideologico da cento tonnellate di peso: “Manuale di liberazione non violenta”. Come non applaudire? Qui, sommersi nella melassa libertaria, si possono intravvedere diversi contenuti complementari. Il primo è chiarissimo: noi siamo la democrazia, la libertà e la verità. Dunque abbiamo il diritto, se non addirittura il dovere, si insufflarla sugli altri. Meglio se negli altri. Chiunque si opponga al trionfo dei nostri ideali è parte del “Male”.
I dittatori sono tutti brutti e cattivi, e sono tutti gli altri: quelli che contrastano il Bene. Chi non li combatte con sufficiente convinzione è un alleato del Male.
Perchè esistano i dittatori, da dove vengano, come si siano formati, se abbiano qualche legittimità, se siano stati un prodotto della storia, chi li ha portati al potere, se siano stati nostri amici e alleati, se siano capi di stato o di governo riconosciuti dalle Nazioni Unite, se abbiano quindi diritti riconosciuti dalla comunità internazionale, se abbiano ragioni da rivendicare, di carattere storico o di emergenza, tutte queste sono questioni che non meritano di essere neppure prese in considerazione. Essi infatti sono “oppressori di popoli”. I quali popoli, ipso facto, vengono sussunti all’interno del nostro sistema di valori. Essi, cioè, hanno i nostri desideri, i nostri impulsi, i nostri bisogni, le nostre aspirazioni. La storia, le diverse storie dei popoli vengono, come per incanto, cancellate. E, come passo successivo immediato, occorre immaginare per loro conto quale dovrà essere la forma di governo che essi devono avere.
Il secondo contenuto implicito è questo: loro, i dittatori, sono violenti; noi, i democratici, dobbiamo essere non violenti. Purchè, naturalmente, il dittatore non riesca a mantenere soggetto il suo popolo. Nel caso ci riesca, poichè noi abbiamo deciso che può farlo solo grazie alla violenza, allora saremo autorizzati a esercitare a nostra volta la violenza. O, per meglio dire, saremo autorizzati a “ispirare” l’uso della violenza da parte degli oppressi contro il “dittatore” che, nel frattempo avremo già definito “sanguinario”, autore di “massacri indiscriminati”. E, giovandoci del differenziale a nostro favore, incluso quello mediatico, saremo riusciti a far diventare dominante la nostra narrazione degli eventi in tutto il mondo esterno.
Dunque, se vi sarà violenza, questa sarà interamente da attribuire alla “sacrosanta” reazione popolare alla “repressione” del dittatore. S’intende che questa “sacrosanta” reazione popolare sarà armata e organizzata mediante il differenziale di armi, munizioni, organizzazione, informazione, tecnologia. Ma saranno comunque i pacifici manifestanti per la libertà a usare le armi contro il sanguinario dittatore e i suoi scherani. E i morti saranno tutti, indistintamente pacifici cittadini, la popolazione civile innocente. Va da sé, inutile ricordarlo, che effettivamente la popolazione civile morirà in grande quantità. L’essenziale è che i racconti e i filmati assegnino la responsabilità degli eccidi esclusivamente al dittatore sanguinario e ai suoi scherani. Che magari sono effettivamente scherani e sanguinari, ma che avranno la malasorte di essere considerati gli unici criminali che agiscono sul terreno.
Sarà utile non dimenticare che, mentre noi - che stiamo sulla parte alta del differenziale, e che leggiamo le cronache dalle nostre alture - applaudiremo alla rivolta pacifica dei popoli oppressi presi di mira dai dittatori efferati che abbiamo preso di mira, altri dittatori, proprio lì a fianco, insieme ai loro scherani sanguinari, saranno lasciati in piena tranquillità a opprimere i rispettivi popoli, godendo, nel fare ciò, del nostro più cordiale appoggio e sostegno. Questo dettaglio – lo ricordo di passaggio – viene sempre dimenticato dagl’intellettuali amanti dei diritti umani che ci stanno intorno e a fianco. E, se glielo fai ricordare, si irritano accusandoti di cambiare discorso. Infatti uscire dalla narrazione del mainstream significa, per loro “cambiare discorso”. E, a pensarci bene, per chi conosce solo la narrazione del mainstream, uscirne anche solo per un attimo significa cambiare discorso.
Ma procediamo oltre. A questo punto il paese astratto che stiamo considerando si trova già in piena guerra civile. Il movimento di protesta ha già ricevuto le necessarie istruzioni per l’uso per colpire i “talloni d’Achille” di quel determinato regime. Perchè Gene Sharp sa perfettamente che ogni regime ha i suoi talloni d’Achille che, se bene individuati e colpiti, potranno farlo crollare di schianto. Da qualche parte, possibilmente in un paese confinante, si trova già un’avanguardia bene organizzata, bene collegata con l’interno, bene integrata con il sistema informativo occidentale, capace di usare al meglio i social networks (tutti sotto il controllo e la guida dei centri di analisi occidentali). Non sarà mica stato casuale se,all’inizio del 2011, poco dopo l’avvio della cosiddetta “primavera araba”, Obama e Hillary Clinton convocarono proprio i chief executive officers dei principali social network, di Google, Facebook, Yahoo and companies? Per la verità quest’ultima è una evoluzione tecnologica che Gene Sharp non include nel suo manuale. Il libro è stato scritto prima che essa diventasse utilizzabile su larga scala e, sotto questo profilo, appare datato.
Ma il manuale di Sharp ha un pregio indubbio, quello di aiutarci a capire bene i meccanismi tradizionali, quelli che sono stati usati negli ultimi decenni e che – si può essere certi - non usciranno di moda. Adesso in Siria, superata la fase dell’innesco della guerra civile, non c’è più nemmeno bisogno di fingere che, a combattere, siano solo i pacifici dimostranti armati oppositori del regime di Bashar el-Assad. Ora si dice apertamente che centinaia di agenti americani, sotto la guida di David Petraeus, attuale direttore della Cia, sono impegnati a reclutare, in Iraq, miliziani delle tribù di confine perchè vadano a combattere in Siria. La stessa cosa avviene attraverso la frontiera turca, dove agiscono i contingenti militari provenienti da Bengasi di Libia, comandati dai leader fondamentalisti islamici che, con l’aiuto della Nato, hanno abbattuto il regime libico. E, dalla frontiera libanese, agiscono le bande del deputato di Beirut Jamal Jarrah, reclutatore di mercenari per conto dell’Arabia Saudita, uomo che fa da cerniera tra il pincipe Bandar, da un lato, e dall’altro – attraverso il nipote Ali Jarah – i servizi segreti israeliani.
Come dire: da un lato i dollari a camionate, dall’altro i migliori consiglieri militari e i più evoluti sistemi di intelligence di tutto il Medio Oriente. Si aggiungano le bande di commandos che già da mesi operano dentro i confini siriani, con l’obiettivo specifico di uccidere Bashar e i suoi più stretti collaboratori, di collocare bombe, di far saltare gli oleodotti.
Sarebbe evidente, il tutto, se i pubblici occidentali lo sapessero. Ma non lo sanno, perchè la cronaca è scritta all’incontrario. E i “diritti umani” della popolazione siriana sono già stati avvolti nello stesso sudario in cui è imbavagliata ogni verità. Ma gl’intellettuali occidentali, insieme ai giornalisti, e assieme a una certa dose omeopatica di pacifisti, credono di sapere. L’esistenza del sudario non riescono nemmeno a immaginarla. Sentenziano con l’aria di farci sapere che “a loro non la si fa”. Pensano di essere più intelligenti – avendo letto qualche romanzo giallo, o perfino avendolo scritto – dei professionisti che lavorano a tempo pieno per conto di un Potere che non sta giocando a carte.
Così, m’è venuto in mente, usando un altro gioco, di provare una mossa del cavallo. Cioè di andare a vedere, in retrospettiva, cosa avvenne, una ventina d’anni fa, in Lituania. Anche lassù, molto lontano dal Medio Oriente, ci fu un inizio di guerra civile, quando l’Unione Sovietica stava per crollare. I lituani volevano l’indipendenza, e avevano diritto di chiederla. C’era un genuino movimento popolare che si batteva per questo. Fu sufficiente un inizio. Poi tutto si concluse con la sconfitta dell’Impero del Male. Ci furono una ventina di morti a Vilnius, quando le truppe russe e il KGB occuparono la torre della televisione. L’accusa cadde su Gorbaciov, sui russi, i cattivi di turno, che furono accusati di avere sparato a sangue freddo sulla folla.
Quell’episodio è diventato il momento fondante della Repubblica indipendente di Lituania, ora uno dei 27 paesi dell’Unione Europea. Ma adesso sappiamo che tutta quella storia fu scritta da altre mani, ben diverse da quelle del “popolo lituano”.
Lo racconta ora Audrius Butkevičius, che divenne poi ministro della difesa della repubblica, e che, quel 15 gennaio 1991, organizzò la sparatoria.
Fu una operazione da servizi segreti, predisposta, a sangue freddo, con l’obiettivo di sollevare la popolazione contro gli occupanti.
Chiedo al lettore di sopportare la lunga citazione dell’intervista che venne pubblicata nel maggio-giugno 2000 dalla rivista “Obzor” e che è stata recentemente ripubblicata sul giornale lituano “Pensioner”. Sarà una fatica non inutile, perchè coronata da una preziosa scoperta, che ci aiuterà a capire diverse cose del libro di cui stiamo parlando.
«Non posso giustificare il mio operato di fronte ai familiari delle vittime – dice Buzkiavicius, che allora aveva 31 anni – ma davanti alla storia io posso. Perchè quei morti inflissero un doppio colpo violento contro due cruciali bastioni del potere sovietico, l’esercito e il KGB. Fu così che li screditammo. Lo dico chiaramente: sì, sono stato io a progettare tutto ciò che avvenne. Avevo lavorato a lungo all’Istituto Einstein, insieme al professor Gene Sharp, che allora si occupava di quella che veniva definita la difesa civile. In altri termini si occupava di guerra psicologica. Sì, io progettai il modo con cui porre in situazione difficile l’esercito russo, in una situazione così scomoda da costringere ogni ufficiale russo a vergognarsi. Fu guerra psicologica. In quel conflitto noi non avremmo potuto vincere con l’uso della forza. Questo lo avevamo molto chiaro. Per questo io feci in modo di trasferire la battaglia su un altro piano, quello del confronto psicologico. E vinsi».
Spararono dai tetti vicini, con fucili da caccia, sulla folla inerme. Come hanno fatto in Libia, come hanno fatto in Egitto, come stanno facendo in Siria.
Adesso avete capito. Gene Sharp era là, in spirito. Fu lui che insegnò a Buzkiavicius come vincere, “trasferendo la lotta sul piano psicologico”. Peccato che, lungo la strada, morirono 22 persone innocenti. Ma, “di fronte alla storia”, cosa pretenderanno i nostri difensori dei diritti umani?
Il libro di Sharp va dunque letto sotto un’altra luce. Ed è, sotto questa luce, un’opera geniale. E’ stato scritto proprio per le giovani generazioni, che sono ormai totalmente prive di ogni memoria storica, già omologate dalle televisioni, ora intrappolate nei social network, che non hanno mai fatto politica, che sono digiune di ogni forma di organizzazione. Per questo è scritto con sconcertante semplicità, per essere compreso da un ragazzo o una ragazza della scuola media: per introdurli nella lotta politica e psicologica rese possibili dai tempi moderni, ma in modo tale che siano strumenti non in grado di capire ciò che fanno e per chi lavoreranno. E’ un manuale per organizzare la “sovversione dall’interno”, di tutti i paesi “altri” rispetto all’America e all’Europa; per armare, con la “non violenza” le quinte colonne che devono far cadere tutti i regimi che sono esterni al “consenso washingtoniano”.
Questa operazione ha un solo “tallone d’Achille”. Che si potrebbe vedere, come fosse fosforescente, non appena si strappasse il tendaggio principale: l’assioma indiscutibile che “noi siamo la democrazia”. Perché capiremmo tutti che la ribellione “non violenta”, che suggerisce Sharp, può essere diretta contro i nostri oppressori “democratici”, che hanno trasformato la democrazia in una cerimonia manipolatoria e senza senso. Potremmo anche noi attuare tutti i suggerimenti di Sharp: dileggiare i funzionari del regime, fare marce, boicottare certi consumi, esercitare la non collaborazione generalizzata, attuare la disobbedienza civile.
In realtà, a ben pensarci, grazie professor Sharp, lo stiamo già facendo. Solo che non abbiamo, a sostenerci, i mercenari pagati con i denari dell’America. E possiamo anche noi citare, come fa Sharp, il deputato irlandese Charles Stewart Parnell (1846-1891) : “Unitevi, rafforzate i deboli tra voi, organizzatevi in gruppi. E vincerete”.
Solo che questa nostra democrazia è molto più subdola delle dittature. E dobbiamo sapere che, quando cominceremo ad abbatterla, per costruirne una vera, magari tornando alla nostra Costituzione, non avremo nessun aiuto dall’esterno.
Giulietto Chiesa
Come si abbattono i Regimi di Gene Sharp - Recensione di Giulietto Chiesa
Raramente scrivo recensioni. In genere, quando non sono costretto a farlo da ragioni di convenienza, o per soddisfare le pretese di autori molto insistenti, scrivo di libri che mi piacciono, o che intendo proporre ad altri lettori perchè li ritengo utili, o perchè offrono angoli visuali originali.
In questo caso il libro in questione non mi è piaciuto per niente. Anzi l’ho trovato irritante. Il suo autore è sostanzialmente un poveraccio (intellettualmente parlando s’intende), che esce come un pulcino inzuppato di ideologia – intesa come falsa coscienza – dalla lavatrice del pensiero unico. Un esegeta, dunque, della Matrix in cui ha vissuto, del tutto incapace di vedere i suoi confini. Una specie di protagonista da “Truman show”, ma privato di ogni possibilità di redenzione.
Perchè ne scrivo, dunque? Perchè – come avrebbe detto Leonardo Sciascia – il contesto che rappresenta è straordinariamente interessante, ricco di informazioni su come si pensa, cosa si pensa, come si agisce nei centri della sovversione, quei posti dove vengono elaborate le vere strategie e tattiche rivoluzionarie dei tempi moderni. Tempi in cui, per essere precisi, le rivoluzioni le fa il Potere, non i rivoluzionari d’un tempo, non i mitici anarchici, non i popoli, non i partiti, non i soviet, o comunque si siano chiamati in passato, fino al secolo XX incluso.
E qui è subito opportuna una serie di notazioni non a margine. Forse utile per quei lettori che ancora pensano, appunto, con le categorie dei tempi andati; di quelli che, non essendosi aggiornati, non avendo fatto alcuno sforzo per capire quali cambiamenti sono intervenuti nei rapporti di forza, nelle dinamiche economiche e sociali, nei sistemi di informazione e comunicazione, nelle tecnologie della manipolazione, continuano ad applicare le teorie rivoluzionarie dell’epoca delle lotte di classe così come fu descritta, e creata, a partire dalla rivoluzione francese.
Ma queste note a margine, che sono la ragione vera per cui scrivo queste righe, potrebbero forse servire anche per coloro che rivoluzionari non sono, e non intendono essere, ma che semplicemente non hanno mai provato a cimentarsi intellettualmente con il problema del Potere. E, essendo totalmente impreparati a farlo, non sono capaci di capire come il Potere agisce per mantenere se stesso. Con quale ferocia, un Potere – ferocia tanto più grande quanto più grande è questo potere – usa gli strumenti dei quali dispone. Il Potere non è mai “dilettante”. E’ un mestiere. E agisce sempre per la vita o per la morte.
Ora gl’intellettuali sono spesso inclini a ragionare proiettando sugli altri la loro visione del mondo. Quando lo fanno sulle persone prive di potere commettono sempre dei guai, ma talvolta questi guai sono di secondaria importanza, perchè le persone normali non hanno potere. Ma quando questa proiezione si esercita nei confronti del Potere, essa può divenire esiziale, sia per chi la fa (cioè per gl’intellettuali stessi), sia per chi ci crede, cioè per i lettori dei loro libri, dei loro scritti, dei loro articoli, delle loro conferenze.
Se dunque tu cercherai di descrivere una lotta politica del Potere contro i suoi antagonisti come se fosse una partita di scopone, probabilmente finirai male (soprattutto se sei dalla parte degli oppositori al Potere). Il quale non gioca a carte, se si sente in pericolo: liquida, squalifica, esclude, se necessario uccide. Questo dettaglio sfugge alla gran parte degl’intellettuali e a quasi tutti i giornalisti. Quelli, tra questi ultimi, cui non sfugge, di regola si mettono dalla parte del Potere e così smettono di giocare a carte anche loro. Gli altri, i maggiormente stupidi, continuano a giocare a carte, essendo spesso utili a impedire a tutti gli altri di capire cosa fa il Potere. Questo spiega perfettamente perchè il libro di Gene Sharp è stato scritto: per loro.
Ovvio che con quelle categorie interpretative autoreferenti, non solo non si può vincere niente, ma non è più nemmeno possibile capire chi attacca e chi si difende, dov’è il campo di battaglia, chi sono i contendenti. Quando si discute con questi orfani della ragion politica non è difficile rendersi conto, per esempio, che questo vacuum quasi assoluto di analisi porta spesso costoro a pensare di essere all’offensiva su inesistenti tenzoni, mentre stanno subendo sconfitte clamorose nei campi reali dove la battaglia è in corso, ma dove loro non ci sono. Appunto perché sono altrove. I mulini a vento sono ciò che vedono questi Don Chisciotte modernissimi. La differenza tra loro e il loro prototipo consiste in un solo, enorme dettaglio. Quello della Mancia sognava per conto proprio. Questi sono stati ipnotizzati dal Potere, e vengono condotti per mano dove questo vuole.
Il libro è, in sostanza, la descrizione di come l’Impero, morente, diventa sovversivo per difendersi. E’ un manuale della “rivoluzione regressiva”: l’unica rivoluzione esistente, che segnerà gli ultimi decenni che precedono il crash finale di questo sistema. Il quale, non avendo più futuro, è costretto a pensare a ritroso.
E lo fa utilizzando l’ultimo strumento che ha a disposizione: le tecnologie. E’ per questo che riesce ad apparire moderno agli occhi di milioni di giovani, che – immersi come sono nella Grande Piscina dei Sogni e delle Menzogne – non riescono a guardare “fuori” e a vedere la complessità della manipolazione cui sono soggetti.
L’autore si chiama Gene Sharp e non è un ragazzino, visto che è classe 1928. Come abbia vissuto fino ai giorni nostri è faccenda non misteriosa. Basta guardare su Wikipedia la sua modesta carriera di sovversivo.
In questa specialità emerge al termine di una lunga vita nell’ombra, pubblicando un libro il cui titolo originale – “From Dictatorship to Democracy” – richiama subito alla memoria Francis Fukuyama, quello della “fine della storia”. L’editore italiano è Chiarelettere, per altri aspetti benemerito, ma in questo caso completamente abbacinato anch’esso dall’ideologia imperiale.
I confini di Matrix, come sappiamo, sono vasti e appiccicosi. Nell’ultima di copertina l’editore italiano ci informa che Sharp “è ritenuto tra i principali ispiratori delle rivoluzioni che stanno sconvolgendo il mondo arabo”. Definizione riduttiva. In realtà Gene Sharp (diciamo la sua scuola di pensiero, sebbene chiamarla in questo modo faccia correre qualche brivido nella schiena) è l’ispiratore di tutte le esportazioni della democrazia americano-occidentale dell’ultimo trentennio. Di quelle innescate e vinte, come di quelle tentate e perse. E’ bene ricordarlo, perchè nonostante il Potere sia l’unico rivoluzionario esistente, non è detto che le rivoluzioni che tenta le vinca tutte. Qualche volta le perde. Comunque Sharp è il profeta, appunto, delle “rivoluzioni regressive”. Per questo merita tutta l’attenzione da parte nostra, di noi che siamo le sue vittime, i suoi bersagli.
Lui, di sè, dice: “Ero a Tien an men quando i carri armati ci sono venuti addosso” (La Repubblica, 17 febbraio 2011). Capito dove stava? Forse era lui quel giovanotto che fermò la colonna dei carri armati sotto l’Hotel Pechino. A quanto pare fu dappertutto. C’era lui dovunque sorgessero le rivoluzioni , come i funghi, specie dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Sicuramente Gene Sharp era anche quel rude picconatore che sgretolava a martellate il famoso Muro di Berlino. E’ stata la sua tavolozza a fornire i colori delle varie rivoluzioni del ventennio passato, da Belgrado a Tirana, a Pristina a Kiev, a Tbilisi. Quando Gene Sharp non era presente di persona, sembra di capire che “ispirava” da lontano.
Il libro risulta tradotto in quasi trenta lingue, sicuramente in arabo, in russo e in cinese. E si capisce il perché, leggendolo. Perché le centrali sovversive guardano già a Mosca e San Pietroburgo, a Pechino e Shanghai. Si capisce anche che contenga qualche contraddizione, come accade a tutti i bestsellers. La tesi centrale del libro è che ogni dittatura può essere abbattuta, “purchè la ribellione nasca dall’interno”. Ovvero: purchè sembri che essa nasca dall’interno.
Viene in mente subito la Libia. E, ai giorni nostri, la Siria, o anche la Russia.
Infatti Gene Sharp spiega subito che, per nascere dall’interno, se non ci arriva da sola, la ribellione, deve “essere ispirata” da qualcuno. Ecco: il libro di Sharp è un manuale per formare gli “ispiratori”. Per questo – ma Sharp non lo dice – è sufficiente avere molti soldi, a decine e centinaia di milioni. Infatti, queste ribellioni avvengono di regola – così è stato fino ad ora – nei luoghi dove i redditi sono bassi, più bassi, e dove il denaro è l’arma principale per “ispirare”. Senza questo “differenziale” di ricchezza, non c’è ispirazione che tenga. E il primo suggerimento da dare agl’ingenui che non conoscono il Potere è proprio quello di chiedersi: come mai gl’«ispirati» che Gene Sharp cerca sono tutti nei paesi che soffrono di quel differenziale?
Non sarà che, ad essere «ispirati», sono gl’intellettuali dei paesi più poveri? Con i proventi di quel differenziale si possono finanziare centinaia e migliaia di borse di studio, di grants per professori universitari, che accorreranno nelle università britanniche, americane, francesi, tedesche, nei think-tank occidentali, dove verranno educati in piena libertà ad amare solo i valori occidentali, e dove vedranno aprirsi autostrade per le loro carriere future. In patria dopo la vittoria, all’estero in caso di sconfitta. E’ così che si delinea il provvidenziale aiuto dall’esterno. C’è, per questo, e opera da decenni, una possente rete di istituzioni specificamente ad esso destinate, costruite, finanziate. Da “Giornalisti senza frontiere”, solo per fare qualche esempio, ai vari Carnegie Endowment for International Peace, agli Avaaz che raccolgono firme a tutto spiano, e che a volte sembrano davvero delle centrali missionarie, moralizzatrici, libertarie, ecologiche, verdi, comunque molto colorate. Ci sono, per questa bisogna, radio come Free Europe, Radio Liberty, Deutsche Welle e via elencando. Ci sono televisioni satellitari, una marea di siti web, che sono impinguate di piccoli eserciti di “ispiratori” dall’esterno, che trasmettono incessantemente, foraggiano, spingono, descrivono le lotte per i diritti umani, per la democrazia; che fissano le scadenze delle rivoluzioni, delle “primavere”, degli aneliti alla libertà d’impresa, al mercato.
Se, per esempio – com’è accaduto recentemente – il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite deve votare una risoluzione di condanna del governo siriano che troverà il veto di Russia e Cina, ecco che l’”ispirazione” giungerà puntuale a muovere tutti i media occidentali perchè annuncino stragi in diverse città siriane. Mancheranno fonti attendibili e conferme, ma basterà per questo pubblicare i dati forniti da Avaaz, non si sa come raccolti, oppure quelli di Al Jazeera e di Al Arabiya, la cui attendibilità è ormai pari a quella della CNN, cioè uguale a zero. Non insisterei su tutti questi noiosi dettagli se non avessi assistito di persona alle modalità con cui sono state finanziate e organizzate le rivoluzioni colorate in Jugoslavia, in Ucraina, in Georgia, in Cecoslovacchia, e prima ancora con il meraviglioso prototipo di Solidarność in Polonia, che ebbe come “ispiratore” principale, sotto il profilo ideologico e finanziario, niente meno che il Vaticano del – per questo – beatificato Karol Wojtyła.
Operazioni che, nel centro d’Europa, continuano tutt’ora attorno all’”ultima dittatura”, quella di Aleksandr Lukašenko in Bielorussia, accerchiata dalle radio e dalle televisioni che, pagate dall’Unione Europea, trasmettono dai territori appena conquistati del Prebaltico e della Polonia.
Naturalmente – sarà opportuno ricordarlo per prevenire le geremiadi di coloro che mi accuseranno di sostenere i dittatori più o meno sanguinari – in molti di questi casi le repressioni sono esistite ed esistono. Naturalmente la corruzione e la palese assenza di democrazia di alcuni di quei regimi esistono e sono esistite. Naturalmente esistono e sono esistite forme di resistenza dei diritti umani che meritano tutta la nostra solidarietà. Esse esistono, combattono in condizioni impari contro un Potere che è più forte di loro. Ed è appunto su di esse che si esercita l’”ispirazione” di cui scrive Gene Sharp. Ed essa può fare conto sulla potenza sterminata del denaro, quando è sterminato; ma anche sull’ingenuità dei destinatari. I quali, costretti come sono sulla difensiva, sono straordinariamente penetrabili alle forme più sottili, più innocenti, più “giustificabili”, di corruzione. E’ appunto maneggiando questa trappola che agiscono gl’”ispiratori” come Gene Sharp e i finanziatori che sono appollaiati sulle sue spalle.
Dunque la prima cosa che occorre fare, per capire cosa è successo e succede in tutti i paesi che si trovano dalla parte bassa del differenziale di ricchezza, è osservare l’evoluzione che si verifica proprio nei movimenti di ribellione: cioè come essi sono prima della cura cui vengono sen’altro sottoposti dagl’”ispiratori”, e poi dopo. Questa analisi rivelerebbe curiose somiglianze tra la trasformazione che fu subita, per esempio, da movimenti come “Otpor”, a Belgrado e nella ex Jugoslavia, e la rinomata e ormai defunta “Rivoluzione Aarancione” in Ucraina. Si parte da qualche vecchio ciclostile, e si arriva con un contratto di insegnamento magari a Harvard. Resistere è difficile, per non dire impossibile. All’inizio sono “ispirazioni”, poi diventano ordini, ai quali è impossibile resistere. E più il differenziale è alto, più è facile trovare decine, poi centinaia, poi migliaia di sinceri, sincerissimi “ispirati”.
Hic Rhodus, hic salta. E’ qui che bisogna avere il coraggio e la forza di distinguere i diritti sacrosanti che vengono violati, dai profittatori politici esterni (o anche interni) che li utilizzano per fini di conquista. C’è un criterio abbastanza semplice per distinguere. Basta conoscere chi finanzia. Se, per esempio, ci sono buone ragioni per pensare che sia l’Arabia Saudita a comprare armi e a assoldare eserciti, ecco che si può stare certi che, appoggiando una data rivolta, non si lavora al servizio della democrazia e dei diritti, bensì si sostiene la barbarie e l’oppressione.
Ti mostreranno il contrario, naturalmente. E’ il loro mestiere. Lavorano per questo, ben pagati, 24 ore al giorno, tutti i giorni. Esempi preclari di questa circostanza sono l’UCK del Kosovo e la rivolta siriana. Nel primo caso fu un intero esercito a essere organizzato, finanziato, istruito, appoggiato da fiumi di denaro provenienti da Riyād, da Washington, da Berlino, dalla Nato. E non è un caso se il governo di Pristina che ne è emerso è un covo di criminali, le cui mani insanguinate vengono strette ora con calore a Bruxelles, in pieno ludibrio di ogni diritto umano e di ogni principio europeo di libertà e di rispetto dei diritti umani.
L’altro esempio è ora sotto i nostri occhi in Siria, dove l’evidenza mostra un intreccio complesso ma trasparente di aiuti esterni, ai ribelli provenienti da Israele, dalla Turchia, dall’Arabia Saudita, dagli Stati Uniti d’America. Non sono singole unità, sono centinaia, e poi migliaia di stipendi, di prebende, di consiglieri, di esperti. E poi, quando non bastassero i consigli e si dovesse fare ricorso alla forza, è la volta degli eserciti mercenari. E, quando essi vanno al potere e vincono, segue una lunga scia di sangue, di violenze, di vendette, di illegalità e di soprusi. E, dunque, si può essere certi che, in caso di caduta del regime di Bashar el-Assad, quello che verrà dopo non sarà certamente il trionfo della libertà e dei diritti umani. Si veda il caso, di nuovo, della Libia appena liberata dal “sanguinario” dittatore Gheddafi e in preda a masnade criminali che erano già tali prima che il conflitto cominciasse e che ora sono divenute padrone.
Insomma basta applicare l’antica regola del cui prodest. Che non è criterio certo al 100%, ma che funziona, in politica, quasi sempre. Ovviamente usando norme di cautela elementari, come quella di stare sempre attenti che gli organizzatori delle provocazioni le costruiscono sempre utilizzando alla rovescia proprio il principio del cui prodest. Così, quando vi capiterà di trovarvi di fronte a un attentato terroristico qualunque, basterà che analizziate bene – per disinnescarlo - il cui prodest che vi viene offerto su un piatto d’argento. Per esempio quando qualcuno assassinasse Vittorio Arrigoni, e voi sentiste da tutti i mass media, all’unisono, la rivendicazione di un non meglio identificato “gruppo salafita”, con tanto di sito internet e musichetta rivoluzionaria araba, dovreste immediatamente pensare che gl’ispiratori sono stati – faccio un esempio a caso - i servizi segreti israeliani.
L’edizione italiana di Gene Sharp mette in caratteri minori il titolo inglese e offre una nuova titolazione: “Come abbattere un regime”, e come sottotitolo offre un condensato ideologico da cento tonnellate di peso: “Manuale di liberazione non violenta”. Come non applaudire? Qui, sommersi nella melassa libertaria, si possono intravvedere diversi contenuti complementari. Il primo è chiarissimo: noi siamo la democrazia, la libertà e la verità. Dunque abbiamo il diritto, se non addirittura il dovere, si insufflarla sugli altri. Meglio se negli altri. Chiunque si opponga al trionfo dei nostri ideali è parte del “Male”.
I dittatori sono tutti brutti e cattivi, e sono tutti gli altri: quelli che contrastano il Bene. Chi non li combatte con sufficiente convinzione è un alleato del Male.
Perchè esistano i dittatori, da dove vengano, come si siano formati, se abbiano qualche legittimità, se siano stati un prodotto della storia, chi li ha portati al potere, se siano stati nostri amici e alleati, se siano capi di stato o di governo riconosciuti dalle Nazioni Unite, se abbiano quindi diritti riconosciuti dalla comunità internazionale, se abbiano ragioni da rivendicare, di carattere storico o di emergenza, tutte queste sono questioni che non meritano di essere neppure prese in considerazione. Essi infatti sono “oppressori di popoli”. I quali popoli, ipso facto, vengono sussunti all’interno del nostro sistema di valori. Essi, cioè, hanno i nostri desideri, i nostri impulsi, i nostri bisogni, le nostre aspirazioni. La storia, le diverse storie dei popoli vengono, come per incanto, cancellate. E, come passo successivo immediato, occorre immaginare per loro conto quale dovrà essere la forma di governo che essi devono avere.
Il secondo contenuto implicito è questo: loro, i dittatori, sono violenti; noi, i democratici, dobbiamo essere non violenti. Purchè, naturalmente, il dittatore non riesca a mantenere soggetto il suo popolo. Nel caso ci riesca, poichè noi abbiamo deciso che può farlo solo grazie alla violenza, allora saremo autorizzati a esercitare a nostra volta la violenza. O, per meglio dire, saremo autorizzati a “ispirare” l’uso della violenza da parte degli oppressi contro il “dittatore” che, nel frattempo avremo già definito “sanguinario”, autore di “massacri indiscriminati”. E, giovandoci del differenziale a nostro favore, incluso quello mediatico, saremo riusciti a far diventare dominante la nostra narrazione degli eventi in tutto il mondo esterno.
Dunque, se vi sarà violenza, questa sarà interamente da attribuire alla “sacrosanta” reazione popolare alla “repressione” del dittatore. S’intende che questa “sacrosanta” reazione popolare sarà armata e organizzata mediante il differenziale di armi, munizioni, organizzazione, informazione, tecnologia. Ma saranno comunque i pacifici manifestanti per la libertà a usare le armi contro il sanguinario dittatore e i suoi scherani. E i morti saranno tutti, indistintamente pacifici cittadini, la popolazione civile innocente. Va da sé, inutile ricordarlo, che effettivamente la popolazione civile morirà in grande quantità. L’essenziale è che i racconti e i filmati assegnino la responsabilità degli eccidi esclusivamente al dittatore sanguinario e ai suoi scherani. Che magari sono effettivamente scherani e sanguinari, ma che avranno la malasorte di essere considerati gli unici criminali che agiscono sul terreno.
Sarà utile non dimenticare che, mentre noi - che stiamo sulla parte alta del differenziale, e che leggiamo le cronache dalle nostre alture - applaudiremo alla rivolta pacifica dei popoli oppressi presi di mira dai dittatori efferati che abbiamo preso di mira, altri dittatori, proprio lì a fianco, insieme ai loro scherani sanguinari, saranno lasciati in piena tranquillità a opprimere i rispettivi popoli, godendo, nel fare ciò, del nostro più cordiale appoggio e sostegno. Questo dettaglio – lo ricordo di passaggio – viene sempre dimenticato dagl’intellettuali amanti dei diritti umani che ci stanno intorno e a fianco. E, se glielo fai ricordare, si irritano accusandoti di cambiare discorso. Infatti uscire dalla narrazione del mainstream significa, per loro “cambiare discorso”. E, a pensarci bene, per chi conosce solo la narrazione del mainstream, uscirne anche solo per un attimo significa cambiare discorso.
Ma procediamo oltre. A questo punto il paese astratto che stiamo considerando si trova già in piena guerra civile. Il movimento di protesta ha già ricevuto le necessarie istruzioni per l’uso per colpire i “talloni d’Achille” di quel determinato regime. Perchè Gene Sharp sa perfettamente che ogni regime ha i suoi talloni d’Achille che, se bene individuati e colpiti, potranno farlo crollare di schianto. Da qualche parte, possibilmente in un paese confinante, si trova già un’avanguardia bene organizzata, bene collegata con l’interno, bene integrata con il sistema informativo occidentale, capace di usare al meglio i social networks (tutti sotto il controllo e la guida dei centri di analisi occidentali). Non sarà mica stato casuale se,all’inizio del 2011, poco dopo l’avvio della cosiddetta “primavera araba”, Obama e Hillary Clinton convocarono proprio i chief executive officers dei principali social network, di Google, Facebook, Yahoo and companies? Per la verità quest’ultima è una evoluzione tecnologica che Gene Sharp non include nel suo manuale. Il libro è stato scritto prima che essa diventasse utilizzabile su larga scala e, sotto questo profilo, appare datato.
Ma il manuale di Sharp ha un pregio indubbio, quello di aiutarci a capire bene i meccanismi tradizionali, quelli che sono stati usati negli ultimi decenni e che – si può essere certi - non usciranno di moda. Adesso in Siria, superata la fase dell’innesco della guerra civile, non c’è più nemmeno bisogno di fingere che, a combattere, siano solo i pacifici dimostranti armati oppositori del regime di Bashar el-Assad. Ora si dice apertamente che centinaia di agenti americani, sotto la guida di David Petraeus, attuale direttore della Cia, sono impegnati a reclutare, in Iraq, miliziani delle tribù di confine perchè vadano a combattere in Siria. La stessa cosa avviene attraverso la frontiera turca, dove agiscono i contingenti militari provenienti da Bengasi di Libia, comandati dai leader fondamentalisti islamici che, con l’aiuto della Nato, hanno abbattuto il regime libico. E, dalla frontiera libanese, agiscono le bande del deputato di Beirut Jamal Jarrah, reclutatore di mercenari per conto dell’Arabia Saudita, uomo che fa da cerniera tra il pincipe Bandar, da un lato, e dall’altro – attraverso il nipote Ali Jarah – i servizi segreti israeliani.
Come dire: da un lato i dollari a camionate, dall’altro i migliori consiglieri militari e i più evoluti sistemi di intelligence di tutto il Medio Oriente. Si aggiungano le bande di commandos che già da mesi operano dentro i confini siriani, con l’obiettivo specifico di uccidere Bashar e i suoi più stretti collaboratori, di collocare bombe, di far saltare gli oleodotti.
Sarebbe evidente, il tutto, se i pubblici occidentali lo sapessero. Ma non lo sanno, perchè la cronaca è scritta all’incontrario. E i “diritti umani” della popolazione siriana sono già stati avvolti nello stesso sudario in cui è imbavagliata ogni verità. Ma gl’intellettuali occidentali, insieme ai giornalisti, e assieme a una certa dose omeopatica di pacifisti, credono di sapere. L’esistenza del sudario non riescono nemmeno a immaginarla. Sentenziano con l’aria di farci sapere che “a loro non la si fa”. Pensano di essere più intelligenti – avendo letto qualche romanzo giallo, o perfino avendolo scritto – dei professionisti che lavorano a tempo pieno per conto di un Potere che non sta giocando a carte.
Così, m’è venuto in mente, usando un altro gioco, di provare una mossa del cavallo. Cioè di andare a vedere, in retrospettiva, cosa avvenne, una ventina d’anni fa, in Lituania. Anche lassù, molto lontano dal Medio Oriente, ci fu un inizio di guerra civile, quando l’Unione Sovietica stava per crollare. I lituani volevano l’indipendenza, e avevano diritto di chiederla. C’era un genuino movimento popolare che si batteva per questo. Fu sufficiente un inizio. Poi tutto si concluse con la sconfitta dell’Impero del Male. Ci furono una ventina di morti a Vilnius, quando le truppe russe e il KGB occuparono la torre della televisione. L’accusa cadde su Gorbaciov, sui russi, i cattivi di turno, che furono accusati di avere sparato a sangue freddo sulla folla.
Quell’episodio è diventato il momento fondante della Repubblica indipendente di Lituania, ora uno dei 27 paesi dell’Unione Europea. Ma adesso sappiamo che tutta quella storia fu scritta da altre mani, ben diverse da quelle del “popolo lituano”.
Lo racconta ora Audrius Butkevičius, che divenne poi ministro della difesa della repubblica, e che, quel 15 gennaio 1991, organizzò la sparatoria.
Fu una operazione da servizi segreti, predisposta, a sangue freddo, con l’obiettivo di sollevare la popolazione contro gli occupanti.
Chiedo al lettore di sopportare la lunga citazione dell’intervista che venne pubblicata nel maggio-giugno 2000 dalla rivista “Obzor” e che è stata recentemente ripubblicata sul giornale lituano “Pensioner”. Sarà una fatica non inutile, perchè coronata da una preziosa scoperta, che ci aiuterà a capire diverse cose del libro di cui stiamo parlando.
«Non posso giustificare il mio operato di fronte ai familiari delle vittime – dice Buzkiavicius, che allora aveva 31 anni – ma davanti alla storia io posso. Perchè quei morti inflissero un doppio colpo violento contro due cruciali bastioni del potere sovietico, l’esercito e il KGB. Fu così che li screditammo. Lo dico chiaramente: sì, sono stato io a progettare tutto ciò che avvenne. Avevo lavorato a lungo all’Istituto Einstein, insieme al professor Gene Sharp, che allora si occupava di quella che veniva definita la difesa civile. In altri termini si occupava di guerra psicologica. Sì, io progettai il modo con cui porre in situazione difficile l’esercito russo, in una situazione così scomoda da costringere ogni ufficiale russo a vergognarsi. Fu guerra psicologica. In quel conflitto noi non avremmo potuto vincere con l’uso della forza. Questo lo avevamo molto chiaro. Per questo io feci in modo di trasferire la battaglia su un altro piano, quello del confronto psicologico. E vinsi».
Spararono dai tetti vicini, con fucili da caccia, sulla folla inerme. Come hanno fatto in Libia, come hanno fatto in Egitto, come stanno facendo in Siria.
Adesso avete capito. Gene Sharp era là, in spirito. Fu lui che insegnò a Buzkiavicius come vincere, “trasferendo la lotta sul piano psicologico”. Peccato che, lungo la strada, morirono 22 persone innocenti. Ma, “di fronte alla storia”, cosa pretenderanno i nostri difensori dei diritti umani?
Il libro di Sharp va dunque letto sotto un’altra luce. Ed è, sotto questa luce, un’opera geniale. E’ stato scritto proprio per le giovani generazioni, che sono ormai totalmente prive di ogni memoria storica, già omologate dalle televisioni, ora intrappolate nei social network, che non hanno mai fatto politica, che sono digiune di ogni forma di organizzazione. Per questo è scritto con sconcertante semplicità, per essere compreso da un ragazzo o una ragazza della scuola media: per introdurli nella lotta politica e psicologica rese possibili dai tempi moderni, ma in modo tale che siano strumenti non in grado di capire ciò che fanno e per chi lavoreranno. E’ un manuale per organizzare la “sovversione dall’interno”, di tutti i paesi “altri” rispetto all’America e all’Europa; per armare, con la “non violenza” le quinte colonne che devono far cadere tutti i regimi che sono esterni al “consenso washingtoniano”.
Questa operazione ha un solo “tallone d’Achille”. Che si potrebbe vedere, come fosse fosforescente, non appena si strappasse il tendaggio principale: l’assioma indiscutibile che “noi siamo la democrazia”. Perché capiremmo tutti che la ribellione “non violenta”, che suggerisce Sharp, può essere diretta contro i nostri oppressori “democratici”, che hanno trasformato la democrazia in una cerimonia manipolatoria e senza senso. Potremmo anche noi attuare tutti i suggerimenti di Sharp: dileggiare i funzionari del regime, fare marce, boicottare certi consumi, esercitare la non collaborazione generalizzata, attuare la disobbedienza civile.
In realtà, a ben pensarci, grazie professor Sharp, lo stiamo già facendo. Solo che non abbiamo, a sostenerci, i mercenari pagati con i denari dell’America. E possiamo anche noi citare, come fa Sharp, il deputato irlandese Charles Stewart Parnell (1846-1891) : “Unitevi, rafforzate i deboli tra voi, organizzatevi in gruppi. E vincerete”.
Solo che questa nostra democrazia è molto più subdola delle dittature. E dobbiamo sapere che, quando cominceremo ad abbatterla, per costruirne una vera, magari tornando alla nostra Costituzione, non avremo nessun aiuto dall’esterno.
Giulietto Chiesa
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