Si svolgerà dal 24 al 26 giugno 2016, a San Lazzaro di Savena (BO), la
“costituente comunista” che porterà a termine il processo di risurrezione del
PCI revisionista.
Confluiscono in questo progetto il P”C”dI, settori di Rifondazione “Comunista”,
alcune associazioni, intellettuali e militanti di altre organizzazioni, o senza
partito, che non hanno saputo né voluto fare i conti seriamente e fino in fondo
con l’eredità del moderno revisionismo.
Questa ri-rifondazione (la prima fu quella del 1991 di Cossutta, Garavini e
Libertini, miseramente fallita) avviene nel nome dell’abbandono delle categorie
fondamentali del socialismo scientifico.
La teoria marxista dello Stato, la prospettiva della rivoluzione e della
dittatura del proletariato, per fare degli esempi, sono assenti nei documenti
politici, sostituite dalla partecipazione allo Stato borghese, dalla teoria
dell’evoluzione pacifica e della coalizione con la classe dominante.
La questione essenziale del potere viene vista unicamente come ampliamento
degli spazi della democrazia borghese.
In economia, la ricetta per uscire dalla crisi del capitale è il minestrone
riscaldato keynesiano, l’intervento e il controllo pubblico dell’economia
capitalistica, la nazionalizzazione borghese di alcune aziende strategiche. Ci
si ferma alla critica del neoliberismo, riproponendo il capitalismo
monopolistico di Stato. La razionalizzazione capitalistica viene concepita come
“alternativa al presente stato di cose”. Ma il socialismo è tutt’altra cosa!
L’orizzonte strategico rimane completamente interno alla Costituzione democratico–borghese
del 1948. Il cuore del programma politico è il “welfare state” borghese, mentre
si alimentano le solite illusioni socialdemocratiche e si addita un non meglio
precisato “governo democratico” (il vecchio centrosinistra rimesso a nuovo?)
come sbocco politico.
Insomma, più sono mature le premesse materiali del socialismo e più quest’obiettivo
viene sfumato e ritenuto lontano.
Sul piano internazionale si spaccia la pericolosa tesi secondo cui bisogna
appoggiarsi su un imperialismo per combatterne un altro. L’atteggiamento nei
confronti dei cosiddetti “paesi emergenti” è antimarxista, perché non si basa
su un’analisi dei rapporti di produzione predominanti all’interno di questi
paesi.
Invece di praticare in modo coerente l’antimperialismo ci si limita all’antinordamericanismo
e si butta a mare la solidarietà proletaria internazionale in nome della difesa
dell’imperialismo cinese (contrabbandato per socialismo) e russo.
L’orizzonte dei moderni revisionisti è il “mondo multipolare”, non il mondo
socialista e comunista. E riguardo l’UE non dicono una parola chiara per
l’uscita da questa istituzione imperialista, antidemocratica e guerrafondaia (ma
avanzano solo una mezza “ipotesi di uscita dall’euro”).
Anche la posizione assunta sulla teoria del “socialismo del XXI secolo” e sul
ruolo dei cosiddetti governi “alternativi” dell’America Latina – che nella
maggioranza dei casi hanno servito gli interessi dei monopoli e dei capitalisti,
limitandosi a rinegoziare la dipendenza dall’imperialismo - è rivelatrice di un
approccio che non ha nulla di marxista-leninista, ma tutto di riformista e di
socialdemocratico.
Il quadro è sufficientemente chiaro: la differenza non è nei dettagli, ma
nei principi e nella concezione fondamentale del comunismo.
A San Lazzaro risorgerà il vecchio revisionismo sotto le spoglie del “togliattismo
e del berlinguerismo del XXI secolo”. Un’opzione che si distingue dalle altre
opzioni revisioniste e socialdemocratiche solo per adoperare il nome e il
simbolo del “PCI 2.0”, per recuperare vecchie e fallimentari tesi riformiste
(“la via italiana al socialismo”, etc.) con nuovi argomenti.
Il “socialismo” di cui parlano i risuscitatori del PCI revisionista non ha nulla
a che vedere con l’abolizione dei
rapporti borghesi di produzione, col socialismo proletario, che è possibile
solo in via rivoluzionaria. E’ solo una terminologia che serve a per coprire
l’obiettivo di miglioramenti economici e politici da realizzare sul terreno
degli attuali rapporti di produzione, tramite il cretinismo parlamentare, senza
intaccare il rapporto fra capitale e lavoro salariato.
Il succo della questione è che i moderni revisionisti si proclamano
comunisti solo per sabotare la lotta rivoluzionaria per il potere, per opporsi
al marxismo-leninismo, per far sopravvivere il capitalismo più a lungo
possibile.
Quello che uscirà dalla “assemblea costituente” non è altro che l’ennesimo
tentativo di aggregazione del revisionismo in crisi e frantumato, per tornare a
galla dopo il crack di Rifondazione e la stagnazione del PCdI, aggrappandosi al
mito e al logo del PCI con i soliti intenti elettoralisti.
In ogni caso, i risuscitatori di San Lazzaro non potranno ricreare le
condizioni storiche e politiche che portarono alla realizzazione del più grande
partito revisionista dell’occidente capitalistico.
La scarsa levatura di certe operazioni revisioniste e opportuniste,
l’incollaggio a freddo di pezzi sulla base di una “cultura affine”, non devono però
farci sottovalutare la pericolosità dell’operazione “rilancio”.
Quello che ci preoccupa è il ritardo del fattore soggettivo nel nostro
paese, il disarmo ideologico e politico della classe operaia, gli ostacoli che
vengono posti alla sua azione reale.
La ricostituzione del PCI revisionista tende infatti: a) ad accrescere il
disorientamento di quella parte – ancora purtroppo maggioritaria - della classe
operaia che ha temporaneamente perduto la volontà di farla finita col
capitalismo; b) a dare uno sbocco politico illusorio a quella parte della
classe operaia che conserva o addirittura accresce la sua volontà di abbattere
il capitalismo.
In questo senso l’operazione di San Lazzaro rappresenta un problema in più,
specie per gli operai avanzati che ancora non riescono a sbarazzarsi della
influenza nociva del revisionismo o che si lasciano ingannare dai simboli
esibiti dai dirigenti di questo partito.
A
questi operai diciamo: abbiamo davanti agli occhi la parabola fallimentare del
revisionismo kruscioviano e brezneviano, del togliattismo, dell’eurocomunismo,
etc.; abbiamo visto a quale grave sconfitta hanno condotto il socialismo, il movimento
comunista e operaio. I dirigenti del PCI risuscitato non hanno fatto
minimamente i conti con il moderno revisionismo, che per loro esiste solo da
Bertinotti in poi. Nelle loro tesi non c’è neanche l’ombra di un bilancio
dell’esperienza storica compiuta, delle cause della restaurazione del
capitalismo in URSS, della degenerazione del PCI in partito socialdemocratico,
della vittoria della controrivoluzione. Navigano nelle stesse putride acque di
allora e procederanno lungo la stessa rotta disastrosa. Perché seguirli? Quale
fiducia possiamo riporre in questi dirigenti?
L’esperienza storica dimostra che finché non ci si distacca nettamente e definitivamente
dai rappresentanti dell'opportunismo e del revisionismo non è possibile uscire dalla
debolezza, dalla confusione e dalla dispersione che caratterizza oggi il movimento
operaio, non è possibile dar vita a una coerente politica di classe e non si
può seguire nessuna prospettiva di trasformazione rivoluzionaria della società.
Nell’attuale situazione italiana il compito dei marxisti-leninisti, dei
proletari d’avanguardia, dei sinceri rivoluzionari è denunciare queste “nuove” e
insidiose manifestazioni dell’opportunismo di destra, raddoppiando gli sforzi
per avvicinare la costruzione di un solo e forte Partito comunista, basato sui
principi del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario.
Oggi come ieri, lo smascheramento senza pietà del revisionismo e del
riformismo in tutte le sue varianti e manifestazioni, la separazione aperta e
senza equivoci dei comunisti dalle correnti influenzate dalla borghesia e dalla
piccola borghesia esistenti nel movimento operaio, la lotta contro di esse, si presentano
come una necessità assoluta e urgente per riprendere la via della lotta
rivoluzionaria per il socialismo e il comunismo.
Dobbiamo fare quello che indicava con grande chiarezza Gramsci: “Prima dividersi, ossia dividere l'ideologia
rivoluzionaria dalle ideologie borghesi (socialdemocrazia di ogni gradazione);
poi unirsi, ossia unificare la classe operaia intorno all'ideologia rivoluzionaria”.
L’unificazione di tutti i gruppi comunisti, dei singoli comunisti e dei
migliori elementi del proletariato in un unico e forte partito indipendente e
rivoluzionario basato sui principi del marximo-leninismo e
dell’internazionalismo proletario, che sappia mettersi alla testa della classe
operaia e di tutti i lavoratori sfruttati, è il primo compito da adempiere nel
nostro paese.
Piattaforma Comunista – per il
Partito Comunista del Proletariato d’Italia
.....................