Diciamola semplice. Licenziare piloti russi o direttori d'orchestra russi, bloccare la partecipazione di musicisti russi a competizioni internazionali, interrompere la collaborazione con scienziati russi al Cern, buttare fuori da kermesse cinematografiche documentaristi russi, tagliare i rapporti accademici con docenti russi, escludere libri russi dagli stand, ecc. ecc. non sono sanzioni. Sono razzismo istituzionale.
La cultura russa è una delle maggiori tradizioni culturali prodotte da questo pianeta e questo atteggiamento ostracizzante da parte di istituzioni - spesso istituzioni culturali (sic!) - è semplicemente umiliante per chi le prende.
Qui siamo arrivati ad un punto di non ritorno.
Già, perché l'Occidente liberaldemocratico è da tempo in crisi con innumerevoli punti di rottura, perché non essendosi preso cura di rafforzare le proprie basi democratiche ha lasciato progressivamente le redini dei paesi ad un'unica libertà, quella del capitale. Altrove, con tradizioni democratiche meno consolidate o assenti, le limitazioni generali delle libertà hanno incluso anche le libertà del capitale, consentendo ad altri interessi sociali rispetto a quelli di mercato di avere spazio.
Tuttavia finora avevamo ragioni per apprezzare il buono che le libertà occidentali garantivano. L'Occidente liberaldemocratico poteva vantare rispetto a paesi di minore tradizione democratica un discreto spazio di valorizzazione per una pluralità di voci e di contributi culturali, e questo ne costituiva un elemento di attrattiva, e in qualche misura, un contraltare rispetto allo strapotere delle istanze mercatiste. (Non illudiamoci, naturalmente, forti limitazioni delle voci dissenzienti ci sono sempre state anche in Occidente, ma più limitate e tendenzialmente più morbide che altrove.)
Dobbiamo invece oggi riconoscere di essere arrivati ad una fase nuova, inaugurata con le idiozie del politicamente corretto e della cancel culture, ed ora sdoganata ad ogni livello: la fase in cui le credenze ortodosse delle fasce globaliste, benestanti e ossequienti degli interessi economici sovranazionali rifiutano di riconoscere legittimità a qualunque altra visione, che si tratti del common sense popolare dei ceti meno privilegiati, o che si tratti di tradizioni culturali allotrie.
Quella manciata di trivialità benpensanti, di frasario giornalistico e di automatismi pavloviani che passano in queste fasce sociali per "cultura" sono diventate un'ortodossia intollerante e incapace di maneggiare mentalmente alcunché li trascenda.
Così ora in Occidente siamo arrivati al capolinea: mentre la libertà di movimento e di manipolazione sociale assegnata agli interessi del capitale è oramai illimitata, la motilità e diffusione dell'eterodossia culturale è compressa, marginalizzata, espulsa. Ci resta la libertà di recarci a fare shopping (e anch'essa comunque accessibile a gruppi sempre più ristretti).
Andrea Zhok, filosofo e accademico
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