domenica 31 maggio 2020

Contrordine compagni: "Giuseppe Conte non si tocca!"


Conte non si tocca; Scendiamo in Piazza - About | Facebook

Contrordine, compagni – avrebbe detto Guareschi – Giuseppi non si tocca. E cosí, nel giro di qualche settimana, gli appelli a Mario Draghi perché accorresse a salvare l’Italia sono spariti dalle prime pagine dei giornaloni romani e milanesi, Colao é tornato ad essere un Carneade qualunque, e gli ex-candidati “di riserva” sono proprio scomparsi dai radar. Nessuno ironizza piú sulle incredibili conferenze-stampa all’ora dei telegiornali, cosí come nessuno avanza piú dubbi sulla costituzionalitá della raffica di DPCM che il Conte Tacchia ha sventagliato durante l’emergenza pandemica.

Il quadro é indubbiamente cambiato. E cambiamenti del genere non avvengono mai per caso. Cosa puó essere successo? Chissá... Forse é servito a qualcosa il colloquio privato avuto con il Papa [vedi “Social” del 24 aprile]; un colloquio «non breve», i cui contenuti non sono stati resi noti. Personalmente, ho avuto l’impressione che Giuseppi, sentendo ormai sul collo il fiato dei candidati-successori, fosse andato a cercare protezione in quel Vaticano che – stando a molte voci di corridoio – é il suo effettivo punto di riferimento politico.

Certo, la pista vaticana ha una sua credibilitá. Ma non é la sola. Nei corridoi si sussurra anche di una pista americana, fattasi particolarmente calda proprio in questi giorni, quando – stando a voci insistenti che giungono da oltre Atlantico – Trump si appresterebbe a far esplodere la bomba di un clamoroso Spygate, anzi di un Obamagate.

Di che si tratta? L’argomento é complesso, e forse meriterebbe un articolo ad hoc. In sintesi: dopo anni d’indagini, l’amministrazione americana avrebbe raggiunto la prova che, durante gli ultimi mesi della sua presidenza, Barack Obama avrebbe ordito una congiura per contrastare prima il candidato Trump, e poi il presidente Trump (eletto ma non ancóra insediato). Il tutto, utilizzando in maniera illegittima i vertici – tutti obamiami – dei vari servizi segreti (CIA, FBI e molti altri “minori”) perché venisse imbastita la falsa accusa di una collusione pre-elettorale fra lo staff di Donald Trump e il governo russo. Era il cosiddetto Russiagate, iniziato con l’imputazione strumentale del Consigliere per la sicurezza nazionale di Trump, generale Michael Flynn, l’uomo che avrebbe dovuto normalizzare i servizi di sicurezza USA, eliminando dai vertici gli elementi maggiormente compromessi con il sistema di potere obamiano-clintoniano.

Peraltro, esauritosi lo sgangherato filone di un Russiagate chiaramente farlocco, il pensionato Obama – stando sempre alle indiscrezioni di stampa – avrebbe continuato a tramare contro il Presidente, giovandosi sempre dei suoi uomini nei servizi, ma anche della cassa di risonanza dei media riconducibili a certi poteri forti del Deep State USA. Ultimo episodio di questa ininterrotta campagna di diffamazione planetaria sarebbe stato – riferisce l’informatissimo sito di Maurizio Blondet – la recente campagna tendente a ridicolizzare la gestione trumpiana della crisi del Coronavirus.

In mezzo – mi permetto di aggiungere – potrebbe esserci stato anche l’ultimo tentativo di sottoporre Trump a impeachment per l’affare ukraino che riguarda il figlio di Joe Biden, giá vicepresidente con Obama ed attualmente candidato democratico alla presidenza.

Questi – in stringatissima sintesi – gli aspetti essenziali dello Spygate che Trump si prepara a far deflagrare. Oramai sarebbe questione di settimane, forse di giorni. Poi l’ex capo dell’FBI, James Comey, potrebbe essere trascinato in tribunale – e con lui i vecchi vertici di altri servizi segreti – per rispondere di crimini penalmente rilevanti. Né si puó escludere che in tribunale finisca lo stesso Obama. Staremo a vedere.

Ma cosa c’entra tutto ció con le vicende di casa nostra e con la permanenza di Giuseppi a capo del governo? E – aggiungo un altro interrogativo – l’incombente Obamagate potrebbe avere una connessione con un altro fatto assai strano verificatosi in questi ultimi giorni? Mi riferisco – tanto per non restare nel vago – al misterioso comportamento di Renzi, giunto a un pelo dal votare la sfiducia al ministro Bonafede (con conseguente crisi di governo) e poi prodottosi in una repentina quanto spericolata retromarcia.

Ebbene, queste due storie – apparentemente cosí distanti – potrebbero avere un punto di contatto. Infatti, le stesse insistenti voci che preannunciano imminenti e clamorosi sviluppi giudiziari negli USA, riferiscono anche di una connection fra servizi segreti “occidentali” che sarebbe servita a fabbricare prove false da utilizzare per creare dal nulla il Russiagate. Orbene, uno dei filoni di questa connessione fra servizi – sembra addirittura la principale – porterebbe dritto dritto in Italia.

Qui da noi, al tempo degli ultimi anni di Obama, c’era il governo Renzi (febbraio 2014 - dicembre 2016) e súbito dopo il governo Gentiloni (dicembre 2016 - marzo 2018). Ora, verrebbe da pensare che i nostri servizi, ove effettivamente fossero stati in qualche modo coinvolti nella vicenda del Russiagate, avessero seguíto gli ordini provenienti dalle autoritá di governo. Autoritá che – si ricordi – pendevano dalle labbra di Barack Obama, considerato come il massimo riferimento dei cosiddetti “progressisti” del mondo intero.

Matteo Renzi, in particolare, era un fan sfegatato del Presidente USA. Ed era – non si dimentichi – lo stesso Renzi che aveva come principale collaboratore quel Marco Carrai che era in rapporti strettissimi con Michael Ledeen, noto frequentatore dei servizi segreti di mezzo mondo. Quel Marco Carrai – aggiungo – che nel 2017 il Vispo Tereso avrebbe voluto nominare Consulente per la sicurezza informatica del DIS, il dipartimento che coordina i servizi d’informazione italiani. La nomina di Carrai – ricordo – venne bloccata dall’alto, si disse su pressione dei servizi americani dell’era Trump [«Boschi, Lotti, Carrai: ecco il Giglio Magico» su “Social” del 26 maggio 2017].

Pochi mesi prima – sempre durante il governo Renzi – era scoppiato in Italia il caso dei fratelli Occhionero [«La guerra degli hacker a Washington e a Roma» su “Social” del 20 gennaio 2017]. Qualcuno forse lo ricorderá. Si era all’inizio del 2017, quando negli USA il Presidente eletto Donald Trump attendeva di insediarsi e Barack Obama era ancora in carica. In quei giorni – riferivo su queste stesse pagine – «negli Stati Uniti è in corso una battaglia al calor bianco fra l’apparato spionistico che fa capo alla cordata Obama-Clinton ed i pochissimi elementi dei servizi che sono sopravvissuti all’azione epuratrice dell’intelligence “democratica”, con alcuni di questi “resistenti” che sono riusciti a barricarsi negli uffici dell’FBI».

Ebbene, proprio in quei giorni «apprendiamo che è stata l’FBI a mettere la polizia italiana sulle tracce di quei fratelli Occhionero che avrebbero hackerato i computer di tutta la Roma “che conta”. E apprendiamo, ancora, che le informazioni così ottenute non sono state archiviate in Italia, ma dirottate su capienti server, allocati – indovinate un po’? – negli Stati Uniti d’America. Non mi stupirei – a questo punto – se domani venisse fuori che gli Occhionero fossero utilizzati direttamente o indirettamente dalla CIA, e che la loro scoperta sia stato un colpo basso del Bureau ai cugini della Agency».

La mia impressione – allora – fu che fosse giá in corso un colossale regolamento di conti all’interno dei servizi americani, e che l’Italia fosse un teatro privilegiato di quel redde rationem.

Impressione rafforzata nell’autunno scorso, quando sono giunti a Roma per la seconda volta (c’erano giá stati ad agosto) il Capo del dipartimento di Giustizia USA, William Barr, e il Procuratore generale John Durham. Si trattava di una missione ufficiale, per raccogliere prove relative ad una indagine penale che – riferiscono le poche fonti che hanno attenzionato la vicenda – copre un ampio arco di tempo: dall’inizio del 2016 (campagna elettorale per le presidenziali) alla primavera del 2017 (formalizzazione dell’indagine sul Russiagate). Missione – quella di Barr e Durham – seguíta subito dopo da una visita a Roma del direttore della CIA, Gina Haspel.

All’epoca, il governo Conte bis s’era appena insediato, e Giuseppi gestí la questione in prima persona, approfittandone – a parere di qualcuno – per acquisire meriti nei confronti della nuova amministrazione americana. Secondo l’autorevole “Start Magazine”, il premier Conte «della gestione di un dossier così scottante avrebbe fatto una polizza di assicurazione contro le manovre di Renzi». Oggi, infatti, leggo su “Dagospia”, «gli americani stanno indagando sul ruolo del governo Renzi (estate 2016) nel tentativo di far fuori il puzzone impiccandolo ai fantomatici rapporti coi russi».

Non so se queste ricostruzioni siano esatte o meno. É peró indubbio che – secondo un altro sito che sembra avere notizie di prima mano, “Inside Over” – gli inquirenti americani ebbero contatti diretti con i vertici dei servizi segreti italiani, acquisendo «prove decisive» per l’inchiesta.

Al centro della connection italiana ci sarebbe una strana universitá privata o semiprivata, la Link University, e soprattutto un suo docente maltese, tale Joseph Mifsud, da qualche mese svanito nel nulla. Mifsud sarebbe l’uomo-chiave della storiaccia del Russiagate, “fabbricato” – giura qualcuno – proprio in Italia. Un’altra connessione parallela porterebbe in Ukraina (qualcosa a che vedere con i Biden?), da dove – secondo quanto dichiarato dall’avvocato di Mifsud e rilanciato dal sito “Dagospia” – doveva arrivare un cospicuo finanziamento per la Link University (che peró smentisce).

Naturalmente, non é detto che questi fatti, notizie, semplici indiscrezioni siano tutti collegati ai recenti sviluppi della politica interna italiana. Fatto sta che alcuni episodi di contorno alla vicenda Renzi-Bonafede-Conte potrebbero far credere di si. Mi riferisco – in particolare – al colloquio che il premier, nella imminenza del voto sulla sfiducia a Bonafede, ha avuto con Maria Elena Boschi, depositaria delle richieste di Renzi per sotterrare l’ascia di guerra. Ebbene, sembra che al primo punto di tali richieste vi fosse la nomina del fedelissimo Ettore Rosato a Sottosegretario alla presidenza con delega ai servizi segreti. Richiesta che – secondo quanto trapelato da palazzo Chigi – non sarebbe stata accettata dal premier, che detiene personalmente quella delega e che non ha assolutamente intenzione di cederla a chicchessia.

Naturalmente, non so se da parte di Conte ci sia stata una controproposta e se tale controproposta – in via del tutto ipotetica – abbia avuto attinenza o meno con la materia dei servizi. So soltanto che Renzi non ha votato la sfiducia a Bonafede, e che Giuseppi è ancora a palazzo Chigi, con la delega ai servizi segreti ben stretta fra le sue mani.

Intanto, pare che la “tempesta atlantica” – come la chiamano i bene informati – stia attraversando i cieli dell’oceano, diretta proprio in Italia.

Michele Rallo - ralmiche@gmail.com

di MICHELE RALLO - Mes: il "no" di Spagna, Grecia e Portogallo ...



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