Fino
a qualche settimane fa, pochissimi in Italia conoscevano il nome di
Klaus Regling, colui che é il dominus
incontrastato del MES. Fino a qualche settimana fa, dicevo. Perché
il 24 marzo scorso il sito Dagospia – solitamente assai bene
informato – in piena bagarre su MES si / MES no, pubblicava un
virgolettato attribuita a Regling, secondo il quale «Italia
e Spagna devono inginocchiarsi».
In
Italia il PD e gli altri piccoli fan del cosiddetto “fondo salva
Stati” erano costernati. Ma súbito giungeva a rinfrancarli una
dichiarazione ufficiale della portavoce del Consiglio
d’amministrazione del MES, che smentiva nel modo piú assoluto che
il suo Presidente – Regling per l’appunto – avesse mai
pronunciato la frase incriminata. «Chiunque
conosca Klaus Regling –
concludeva la portavoce – sa
che non utilizza mai un linguaggio del genere.»
Ad
essere poco credibile, quindi, era la terminologia della citazione.
Ma – mi permetto di aggiungere – sapendo come la pensi il
soggetto, non sarebbe affatto da escludere che questa sia, nella
sostanza, la sua idea circa l’applicazione delle regole del MES.
Regling,
infatti, é uno dei piú irriducibili “falchi” tedeschi, un
estremista del rigorismo piú miope, un fondamentalista della linea
“lacrime e sangue” da imporre a quegli spendaccioni dell’Europa
meridionale che non apprezzano adeguatamente le delizie della
dittatura finanziaria del Quarto Reich. Il semplice fatto di aver
posto uno come lui al vertice del MES é stata una evidente
provocazione da parte della cancelliera Merkel. E, in effetti, il
ruolo di Klaus Regling nella crisi del debito greco é stato di una
durezza incredibile. Peraltro, senza neanche eccellere dal punto di
vista professionale, stando almeno a Yanis Varoufakis, che lo ha
pubblicamente apostrofato come “ignorante”, “incapace” e
“mediatore fallito” [Wikipedia].
Orbene,
questo personaggio cosí austero e severo, questa specie di
Torquemada delle finanze, questo arcigno teorizzatore del massacro
sociale si é fatto, dopo l’affare dell’inginocchiatoio, cosí
bonaccione, cosí rassicurante, cosí accomodante, cosí umano –
direbbe Fantozzi – da convocare una conferenza-stampa
internazionale per rassicurare tutti sul MES “senza condizioni” e
per fare gli occhi dolci agli ipotetici destinatari della generositá
teutonica: italiani, spagnoli, greci e portoghesi. Si é spinto
addirittura a ipotizzare quanti miliardi di interessi i quattro
governi “sudisti” potrebbero risparmiare in dieci anni,
ricorrendo agli aiuti del MES – ma solo per la sanitá – e non ad
altri prestiti. La palma – manco a dirlo – spetterebbe all’Italia
che, per gli imperscrutabili calcoli del cerbero prussiano, verrebbe
a risparmiare ben 7 miliardi. Chissá perché, dato che la Spagna
beccherebbe solo un paio di miliardi, e meno ancora la Grecia e il
Portogallo.
Chissá
perché, dicevo. Ma una risposta, forse, si potrebbe anche azzardare.
Perché é l’Italia – e non la Spagna o il Portogallo –
l’obiettivo della manovra di spoliazione orchestrata dal Quarto
Reich. Perché é l’economia italiana – pur cosí impoverita –
a infastidire l’economia tedesca, il settore manifatturiero
tedesco, la siderurgia tedesca, l’export tedesco. Perché é la
residua ricchezza italiana (la nostra forte riserva aurea, il nostro
patrimonio culturale e ambientale, la qualitá della nostra
produzione agricola, la miriade di piccole aziende di alto profilo,
l’ENI, l’ENEL, i trasporti, eccetera) che la Germania vuole
acquisire. Perché é la ricchezza individuale degli italiani (i
depositi bancari e le proprietá immobiliari) che la Kanzlerin
vuole di fatto espropriare, destinandola a garanzia del debito
pubblico dello Stato. Questa, comunque, é soltanto una mia maliziosa
opinione. Ma, come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato, ma
il piú delle volte si indovina.
Ma
riprendiamo il filo del discorso. Dunque, si diceva dell’offensiva
buonista del falco tedesco... In Italia, naturalmente, piddini e
affini si sono sciolti in brodo di giuggiole, grati per la magnanima
benevolenza del braccio armato dell’Unione Europea, commossi fino
alle lacrime per la generosa disponibilitá (ma solo per i primi due
anni) ad imporci una sorveglianza soltanto “attenuata”.
Dagli
altri paesi invitati a servirsi del MES, invece, è arrivata una
bordata di secchi “no”. I governi di Madrid, Lisbona e Atene si
sono detti lieti della possibilitá di accedere agli aiuti del MES,
hanno ringraziato commossi, ma hanno dichiarato di preferire far
debiti con chiunque altro, piuttosto che con herr
Regling e con il suo benefico “fondo salva Stati”.
Posizione
corale, espressa all’unísono da tutti e tre i paesi. Anche dalla
martoriata Grecia, che pure di danaro liquido avrebbe bisogno piú di
tutti gli altri, visto che per il 2020 registrerá probabilmente una
riduzione del 10% del suo giá esangue PIL. Eppure da Atene hanno
risposto che «attualmente
non ne abbiamo bisogno».
Stessa
risposta anche dalla Spagna e dal Portogallo, che negli anni scorsi
hanno avuto delle occasioni d’incontro “minori” – diciamo
cosí – con il MES. Importi modesti, tali da poter essere
restituiti facilmente e puntualmente, nulla di paragonabile al caso
greco. Ma il ricordo della sequela di imposizioni a cui non si poteva
dire di no (i tagli alle pensioni, la riduzione degli stipendi, la
tassazione alle stelle, la spesa pubblica falcidiata, le
privatizzazioni imposte con il coltello alla gola, ed altre mille
angheríe) sono bastati a sbarrare la strada ad ogni ipotesi di MES,
sia pure ufficialmente (e bugiardamente) “incondizionato”.
Madrid
e Lisbona hanno perció dichiarato di «non
avere problemi di accesso ai mercati finanziari»
(anche se pagando maggiori interessi) e quindi – mi permetto di
interpretare – di non sentire affatto il bisogno di consegnarsi
agli aguzzini del MES.
Una
riflessione aggiuntiva. Ricorderete che un paio di settimane fa,
esibendosi in una delle sue spericolate prestazioni di arrampicata
sugli specchi, Giuseppi II ebbe a dichiarare che per le esigenze
italiane il MES era “inadeguato”, ma che lui non si opponeva per
non fare uno sgarbo alla Spagna, che del MES era in trepida attesa.
Adesso,
dunque, il “no, grazie” di Madrid appare diretto non soltanto a
Klaus Regling, ma anche a Giuseppi Conte. Il quale ultimo, cosí,
viene diplomaticamente mandato a quel paese, con l’invito ad
astenersi per il futuro dal tentare di utilizzare la Spagna per
togliere le sue castagne dal fuoco di un governo ingovernabile.
Il
punto, infatti, é proprio quello. Il problema per Giuseppi non é
tanto il MES, quanto il rimanere attaccato alla poltrona di Palazzo
Chigi. Per ottenere ció, deve a tutti i costi disinnescare la bomba
del contrasto fra il PD (espressione del piú piatto
collaborazionismo con Bruxelles) e i Cinque Stelle (il cui elettorato
é anti-MES a spada tratta).
Una
rottura sul MES sarebbe deflagrante, e non potrebbe non segnare la
fine di questo esecutivo. Giuseppi sarebbe finalmente nesso alla
porta, e si aprirebbe la strada a un governo di salute pubblica a
guida Draghi, o alle elezioni anticipate in autunno.
Il
Conte Tacchia (come lo chiama qualcuno) ha ormai pochissimo tempo per
scongiurare queste due funeste (per lui) soluzioni. Deve
assolutamente convincere i Cinque Stelle a dire “si” – o almeno
“ni” – al MES. E i Cinque Stelle devono decidere se perdere
definitivamente la faccia o se mantenere un minimo di dignitá.
Scelta non facile, perché nella seconda ipotesi – quella piú
dignitosa – rischierebbero le elezioni anticipate e, per molti di
loro, l’addio a Montecitorio e a Palazzo Madama.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.