“Queste medesime parole, Vediamo come va […] furono pronunciate dal Ministro che in seguito precisò il proprio pensiero, Volevo dire che potrebbero essere quaranta giorni, ma anche quaranta settimane, o quaranta mesi, o quarant’anni, bisogna però che non escano”. (J. Saramago, Cecità, 1995)
Diffusa a livello nazionale e più ancora locale, la “Sindrome da Divisa” - endemica nel Belpaese di provata vocazione destrorsa e fascistoide - si acutizza quale effetto collaterale di situazioni particolarmente gravi o addirittura emergenziali, inducendo nelle categorie e nei soggetti colpiti una mutazione psicofisica del tipo L’incredibile Hulk (esclusa la colorazione verdastra).
Dopo i bidelli scolastici dei bei tempi andati, con le loro strisce dorate e rosso-viola sul colletto della giacca e che incutevano terrore pure al preside, oggi la vertigine della divisa è più che mai trasversale, che tu sia nei corpi militari o civili, e ti dice che dall’alto di quella tu puoi controllare, indagare, accusare, sanzionare, sentirti Minosse che avvolge la coda intorno a sé più volte e il disgraziato va giù di altrettanti gironi d’Inferno.
E non basta, poserai in parata con sindaci e autorità, e gazzelle e volanti, e droni ed elicotteri in minaccioso volteggiare sopra i berretti. Sono soddisfazioni.
Vedi per dirne una, sabato 11 aprile vigilia di Pasqua-al-gusto-covid. Schierati per la foto di gruppo come in gita scolastica, le Polizie locali di Grottammare e di Cupra Marittima - in divisa, of course! - e i rispettivi sindaci Pierre-Gallin e Pierre-Simon (separati alla nascita, i due?): “soddisfatti di questa unione di forze […] per monitorare insieme i due territori a tutela dei cittadini” (sic) in irresponsabile assembramento (ma con mascherine, eh!): roba da sanzione immediata e conseguenze penali.
Manca, o ce lo siamo perso, il numero dell’equilibrio in piedi sulla moto in corsa, ma qualche lezione ci giunge comunque chiara dalle performance circensi gentilmente offerte.
Per esempio, un certo modo di intendere l’esercizio del potere, sintetizzabile nella filosofia del Marchese del Grillo, il noto io-so’-io-e-voi-nun-siete-un- cazzo: per il quale il controllore può violare, e passarla liscia, le stesse norme sul rispetto delle quali è tenuto a vigilare. I sudditi intendano e si adeguino.
Segue nella pratica, a mo’ di corollario, un esercizio dell’autorità che vede il tutore della legge esibirsi in prove muscolari con sacrificio di sé e sprezzo del pericolo, meglio se su obiettivo piccolo e insignificante perché lì si vince facile.
Così ecco “l’autorità” nella sua schematica divisa da poliziotto inseguire sulla spiaggia il runner ma quello corre di più, è più leggero e meglio (s)vestito e se la squaglia veloce e all’autorità le fanno la respirazione bocca a bocca.
Ecco “l’autorità” sanzionare il tizio intercettato mentre sta a 300 metri da casa propria invece che a 200 - ogni sindaco decide qual è per lui il metraggio lecito, vuoi mettere che gusto - con una supermulta che neanche al sequestrato Force Blue di Briatore. (A proposito, ci sono percentuali, sulle multe? chessò, per incentivare e motivare i tutori dell’ordine...).
Ecco, ancora, “l’autorità” perlustrare in elicottero il deserto intorno e, incurante di sperpero di pubbliche risorse, con quello abbassarsi rombante sul camminatore solitario (un untore di certo, che altro sennò?).
Ciò che conta insomma è sentirsi più in alto del miserando mortale sulla rampa di lancio del potere. Dove al gradino più basso, in attesa di decollo, ci sono i delatori, gli spioni del vicinato: se non proprio l’orwelliano “fanciullo eroe” che denuncia i genitori, è certo il “vicino eroe” che dalle serrandine abbassate vigila occhiuto e denuncia.
Quindi via via innalzandosi, ecco le “orrendamente belle” divise, le mostrine, gli alamari, le medaglie, i cappelli a due piani che non entrano nelle automobili, ecco i gradi - li vedremo presto cuciti sulle mascherine! - ed ecco i sindaci (le enormi fasce tricolori col batacchio dorato abbagliano meglio delle divise) e più su ancora, ecco i “governatori” cosiddetti: ah! l’ineffabile godimento del proprio nome dato a un’ordinanza, a una circolare più severa... Ci sono cose che non si possono comprare…
Più si sale, più il cipiglio è fiero, feroce il ghigno, minaccioso il dito puntato contro di te che, diosolosa come, tramavi contro la salute pubblica…
In questo tempo di bontà farlocca, di retoriche a buon mercato, di andratuttobene al mulino bianco, di tricolori e inni patriottardi che col contagio c’entrano come la mia gatta Pippi, di volemosebbene alla nutella da farsi venire una carie al giorno, una sensazione si affaccia chiara, fastidiosa e tenace: che l’accanimento censorio e sanzionatorio, lo zelo autoritario e non autorevole che si propaga per li rami dei poteri locali medi, piccoli e piccolissimi, non sia da parte di tutti questi che un “vendicarsi” sul cittadino-suddito delle proprie colpevoli inettitudini, frutti malati di un potere coltivato come fine a se stesso, ignaro della nozione di bene pubblico, e che nell’autoreferenzialità ha il proprio marchio di fabbrica e il proprio peccato originale.
“Disgraziatamente […] le aspettative del Governo e le previsioni della comunità scientifica andarono semplicemente a rotoli”. (J. Saramago, Cecità).
Sara Di Giuseppe faxivostri.wordpress.com letteraturamagazine.org
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