sabato 18 aprile 2020

MES - Tutto quel che dovreste sapere...




Che confusione… E quanta disinformazione sul MES. Non disinformazione generica, magari dovuta a scarsa conoscenza dei fatti; ma disinformazione sistematica, lucida, costruita a tavolino, dosando mezze verità e intere bugìe, con il preciso scopo di confondere gli ingenui, per distogliere da sé la riprovazione dell’opinione pubblica e per indirizzarla contro l’avversario.
Una cosa è certa: il MES viene ormai percepito come un cavallo di Troia tedesco, e tutti vogliono prenderne le distanze. Tutti, tranne i vertici del PD e pochi eurocrati impenitenti, capitanati – non a caso – dal solito Mario Monti, colui che affermò essere la Grecia «la manifestazione più concreta del grande successo dell’euro» [vedi “Social” del 22 marzo 2013].
Ad aprire le danze della disinformazione è stato il premier Giuseppi II, il quale non più tardi di un mese fa si era fatto intervistare dal “Financial Times” per dichiarare che «la strada da seguire è quella di aprire una linea di credito del MES per tutti gli Stati membri, in modo da aiutarli a combattere le conseguenze dell'epidemia di Covid» [vedi “Social” del 27 marzo 2020].
Dichiarazione pazzesca, che ha fatto lievitare le pulsioni anti-UE dell’opinione pubblica italiana, e che ha fatto insorgere i poveri grillini, i quali devono pur tentare di salvare quel che resta della loro faccia.
Ma ecco che, l’altro giorno, Giuseppi II si è prodotto in una brusca inversione a U, dichiarando nell’ultima (e criticatissima) conferenza-stampa “made in Casalino” che «l’Italia non ha bisogno del MES perché lo ritiene totalmente inadeguato e inadatto all’emergenza che stiamo vivendo». Poi, in evidente debito di ossigeno, ha tentato anche un triplo salto mortale: «Il MES esiste dal 2012, non è stato istituito ieri o attivato la scorsa notte, come falsamente e irresponsabilmente è stato dichiarato da Matteo Salvini e Giorgia Meloni. (…)Meloni era ministro quando il MES è stato sottoscritto, se ne assuma la responsabilità pubblica.»
Contraddizione in termini: se è vero che il MES esiste dal 2012 (governo Monti) ne deriva indubitabilmente che la Meloni (non essendo più ministro dal novembre 2011) non aveva alcuna «responsabilità pubblica» da assumersi. Peraltro, in contrasto con l’orientamento del suo partito di allora (il PDL berlusconiano) la Meloni non aveva neanche votato la ratifica parlamentare del relativo trattato.
Dopo la conferenza-stampa, ai giornalisti che chiedevano conto di questa evidente discrepanza, le solite “fonti di palazzo Chigi” dichiaravano che «le trattative furono portate avanti nel 2011 dal governo Berlusconi IV, con Meloni ministro, poi approvato alle Camere nel 2012». Versione peraltro ripresa dagli uomini del PD e dai giornalisti fiancheggiatori nei dibattiti televisivi che sono seguìti.
Versione – inutile dirlo – del tutto fantasiosa, come vedremo. Innanzitutto, se proprio vogliamo ricercare le responsabilità remote, non possiamo fermarci al 2011 o al 2012, ma dobbiamo necessariamente andare indietro nel tempo, almeno fino al 1997, quando il governo di allora (il primo gabinetto Prodi) sottoscrisse il cosiddetto “patto di stabilità”, che cristallizzava ed eternava i funesti “parametri di Maastricht”, disponendo inderogabilmente che il deficit di bilancio degli Stati-membri non dovesse superare il 3% del PIL. Era il primo cardine di quella “stabilità” che per noi (e non solo per noi) ha significato lacrime e sangue.
Successivamente, non essendo sufficiente questa disposizione a buttare sul lastrico i popoli europei, nel 2005 (al tempo del 2° governo Berlusconi) la Commissione Europea stabilì un secondo e più infame precetto: il debito pubblico degli Stati-membri doveva essere inferiore al 60% del PIL, o comunque – piccola concessione al Cavaliere e ad altri recalcitranti premier dell’Europa meridionale – doveva procedere verso quel traguardo (per noi irraggiungibile).
Orbene, erano queste le forche caudine della cosiddetta “stabilità”: deficit di bilancio al 3% del PIL, debito pubblico al 60% del PIL. Senza l’osservanza di quei due precetti, le economie dei singoli paesi non sarebbero state considerate “stabili”.
Tralasciamo alcuni passaggi intermedi ed arriviamo al 2010, l’anno in cui nei piani alti di Bruxelles si decideva di affrettare i tempi per imporre agli Stati-membri l’obbligo della farlocca “stabilità” comunitaria. La decisione non era calata brutalmente sul tavolo dell’Unione, ma camuffata con il progetto di fornire ai paesi europei uno strumento creditizio che potesse intervenire efficacemente per aiutare gli Stati in difficoltà. Il progetto veniva codificato l’anno seguente, nel luglio 2011, dandogli una forma ibrida (metà fondo finanziario e metà organizzazione internazionale) e attribuendogli una denominazione criptica: Meccanismo Europeo di Stabilità. Il riferimento al Patto di Stabilità era esplicito, anche se si tentava di camuffarlo dietro il soprannome – bugiardo – di “Fondo salva-Stati”.
Al tempo, in Italia era nuovamente al governo (per la quarta volta) Silvio Berlusconi, che non attribuiva al MES l’importanza dovuta. Sia per il solito approccio “moderato” che faceva ritenere al Cavaliere di riuscire ancora una volta a salvare capra e cavoli; sia – soprattutto – perché il MES di cui si parlava (si parlava soltanto) nel 2011 non aveva ancora le sue infami connotazioni. Connotazioni che gli sarebbero state attribuite soltanto un anno più tardi, dopo che la crisi dello spread (causata artificialmente dalle banche tedesche) ebbe prodotto il defenestramento di Silvio Berlusconi, considerato indisponibile ad attuare in Italia una politica di “lacrime e sangue”.
Contrariamente a quanto affermato dalle imprecisate “fonti di palazzo Chigi”, quindi, non fu il 4° governo Berlusconi a «portare avanti le trattative per il MES» nel 2011, ma il governo Monti nel 2012.
Per ciò che è seguito a quegli eventi, non voglio ripetermi, e perciò rimando a quanto ho già scritto su queste stesse pagine. Ricordo in particolare due articoli: “Italia a sovranità limitata, grazie al MES” (8 febbraio 2013) e “MES: tutto è cominciato col governo Monti” (6 dicembre 2019).
Preferisco, piuttosto, dedicare alcune riflessioni agli ultimi sviluppi. Spiegare perché – almeno a mio sommesso parere – anche questo mezzo-MES “incondizionato” non sarebbe altro che l’ennesimo agguato tedesco contro gli interessi italiani.
Per capire quale perfida manovra si celi dietro questa nuova campagna per imporci il MES, bisogna fare un po’ mente locale. Dunque, il Coronavirus ha prodotto la attuale emergenza economica, dovuta alla necessità di far fronte alle spese immediate per sopperire alle carenze dei vari servizi sanitari nazionali (disastrati dalle “riforme che l’Europa ci chiede”); ma, soprattutto, ha posto le premesse per una emergenza economica ben più ampia, che si paleserà nei prossimi mesi, quando ci sarà bisogno di far ripartire le economie nazionali, azzoppate da tre mesi (almeno) di paralisi.
Ebbene, soprattutto per questa seconda crisi i paesi dell’Europa latina e mediterranea hanno richiesto alla cosiddetta Unione cosiddetta Europea di dar vita ad un aiuto concreto della collettività degli Stati-membri in favore dei paesi UE maggiormente in difficoltà.
È stato a questo punto che si è scatenato l’inferno: i tedeschi ed i loro valvassori hanno notificato di non essere disponibili a garantire i prestiti di cui Italia, Spagna ed altri “sudisti” avrebbero avuto bisogno. Se Roma, Madrid o Lisbona volevano dei prestiti per sopravvivere, se li garantissero da soli. Come? Con il MES. Quindi, con la minaccia di fare la fine della Grecia.
A proposito – apro una parentesi – proprio in questi giorni la Grecia, dopo aver già venduto il porto di Atene ai cinesi, è stata costretta a vendere anche il suo secondo porto, quello di Salonicco. A chi? Indovinate un poco, proprio a tedeschi e francesi.
Torniamo a noi. Di fronte alla ondata di antieuropeismo seguìta alla cafonata dei tedeschi (gli olandesi sono soltanto dei prestanome) madame Merkel ha cercato di aggiustare il tiro. Nel suo piccolo, nel suo piccolissimo, anche Giuseppi – lo abbiamo visto – ha fatto macchina indietro. No, i buoni tedeschi non vogliono impiccarci come hanno fatto con i greci, e quindi – dalla solita mediazione ad usum delphini – è venuto fuori il miracoloso “pacchetto” che l’Unione Europea ha messo in campo per l’emergenza Coronavirus.
Il cosiddetto pacchetto (in realtà un “pacco” nella accezione peggiore del termine) prevede un totale di 365 miliardi per l’intera Europa. Montante modestissimo, più o meno quanto la Kanzlerin ha stanziato per sostenere le industrie tedesche. E non è tutto, perché il pacco è stato confezionato con arte, in una “logica di pacchetto” che non riesce a nascondere gli obiettivi reali della manovra. Dunque, tre quarti del totale (240 miliardi su 365) è rappresentato da un cosiddetto “MES incondizionato”: e vedremo poi cosa si celi dietro il termine “incondizionato”. Per il resto, si tratta dei soliti specchietti per le allodole, un po’ come gli aiuti “poderosi” promessi in Italia da Giuseppi.
Dunque, ai 240 miliardi del “MES incondizionato”, dovrebbero aggiungersi 100 miliardi del SURE (per contribuire alla cassa integrazione nei vari Stati) e 25 miliardi di un fondo di garanzia della Banca Europea degli Investimenti che – secondo le pie intenzioni dei proponenti – dovrebbe generare prestiti alle imprese europee per 200 miliardi. Un po’ come da noi l’intervento dello Stato a garanzia dei prestiti erogati dalle banche dovrebbero trasformare i pochi spiccioli degli aiutini governativi in una manovra “poderosa” da 400 miliardi.
E questo – i 365 miliardi dell’UE – per tutta l’Europa. La quota parte dell’Italia, se mai dovesse essere accolto l’infame pacchetto, non arriverebbe forse ai 50 miliardi, fra somme liquide, contributi alla cassa integrazione, e garanzie alle banche per erogare prestiti.
Che dire? È evidente che il favoloso “pacchetto” è soltanto l’incarto che avvolge un MES tanto più pericoloso perché ufficialmente incondizionato, almeno se dovesse essere utilizzato soltanto per le spese di carattere sanitario legate alla pandemia.
Ora, a parte il fatto che a noi ed agli altri paesi “non stabili” servono soldi (molti) per far ripartire l’economia dopo la crisi, e non gli spiccioli (pochini) per comprare alcol e mascherine, il punto essenziale è un altro: la scelta se entrare o non entrare nel MES. Se entriamo, se attiviamo il meccanismo, saremo in ogni caso legati a questo marchingegno infernale. Chi ci garantisce dalle mosse future della Germania, che potrebbe tentare di incaprettarci con il commissariamento della nostra economia tramite i soliti figli di troika? Una Germania – non si dimentichi – che dal punto di vista economico è nostra nemica, che vuole aggredire il risparmio degli italiani, che vuole “grecizzare” l’Italia con il volenteroso aiuto di qualche Tsipras di casa nostra.
Chiedere l’attivazione del MES, di qualunque tipo di MES, sarebbe folle. Sarebbe folle e, in aggiunta, sarebbe ingiustificato. Perché – anche se tutti sembrano averlo dimenticato – invece che attivare il MES, l’Italia potrebbe emettere BTP acquistati “senza limiti” – lo ricorda Liturri sull’autorevole “Start Magazine” – dalla Banca Centrale Europea.
L’Unione Europea, se non altro, ha disattivato temporaneamente i vincoli assurdi del Patto di Stabilità. Per quale dannato motivo, dunque, dobbiamo necessariamente infilarci nel trappolone di madame Merkel?
Dobbiamo piuttosto denunciare il trattato di adesione al MES e chiederne lo scioglimento. E chiedere anche – particolare non trascurabile – la restituzione dei 14 miliardi di euro che abbiamo versato fino a questo momento. Prima che qualcuno ci chieda di versare altri 111 miliardi, la rimanenza di quei 125 miliardi che il chiarissimo professor Monti ha garantito al MES in nome nostro nel lontano 2012.
Possibile che l’onda lunga di questa follìa debba ancora durare?
Michele Rallo  - ralmiche@gmail.com

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1 commento:

  1. Commento di Giorgio Mauri: "Conclusione sacrosanta. "Dobbiamo piuttosto denunciare il trattato di adesione al MES e chiederne lo scioglimento. E chiedere anche – particolare non trascurabile – la restituzione dei 14 miliardi di euro che abbiamo versato fino a questo momento. Prima che qualcuno ci chieda di versare altri 111 miliardi, la rimanenza di quei 125 miliardi che il chiarissimo professor Monti ha garantito al MES in nome nostro nel lontano 2012."

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