É
inutile nasconderselo: fino al 27 ottobre 2019 – data delle elezioni
regionali in Umbria – la politica italiana vivrá in una specie di
limbo. E non perché la Sinistra potrebbe perdere il controllo di una
regione da sempre “rossa”, ma perché il voto umbro sará una
specie di cartina di tornasole per l’alleanza PD-M5S e, quindi, per
la tenuta del governo Giuseppi 2.
In
altri termini, ad avere un peso non sará tanto la vittoria del
candidato di destra o di quello di sinistra, quanto piuttosto la
conta di quanti elettori del PD non voteranno il cartello della
Sinistra (in odio ai grillini) e di quanti elettori grillini faranno
altrettanto (in odio al PD).
Se
le perdite saranno considerate accettabili, allora i due principali
partiti della coalizione di governo punteranno ad istituzionalizzare
una alleanza fra loro e, comunque, tenteranno di far sopravvivere
Giuseppi. Viceversa, se la legnata sará troppo forte, i due perdenti
saranno tentati dal tornare a litigare (o dal fingere di litigare),
nella speranza di essere “perdonati” da quegli elettori che li
hanno abbandonati.
Ovviamente,
i litigi (veri o falsi) potranno far saltare la maggioranza
“giuseppina”; ammesso che questa non abbia frattanto fatto
naufragio sugli scogli della manovra finanziaria, insidiata sia da
Renzi che da Di Maio. I due sono alla disperata ricerca di qualche
cosa che possa alleggerire la loro posizione rispetto all’orgia di
tasse e balzelli che caratterizza questa manovra che –
ufficialmente – dovrebbe “ridurre le tasse”. Mi permetto di
sintetizzare: premio Faccina di Bronzo 2019.
L’altra
coalizione viaggia certamente in acque piú tranquille. Tutti i
sondaggi la danno in testa nell’Umbria ex-rossa, con vantaggi che –
a seconda dei diversi istituti – vanno da un minimo di 2 punti ad
un massimo di 10. Anche se – mi permetto di aggiungere – con un
20% di elettori indecisi, ogni risultato é possibile.
Certo,
a fronte di un’alleanza governativa sempre piú divisa e rissosa,
il centro-destra dispone del valore aggiunto di una ritrovata unitá
e di una riconfermata vitalitá, come testimoniato pure dalla grande
manifestazione di Roma.
Ma
anche lí c’é qualche piccola discrasia. Berlusconi ha capito che
gli conveniva allinearsi ed ha smesso di raccontare la barzelletta di
un centro-destra moderato e anti-sovranista, che non puó esserci.
Ma, in compenso, il Salvini in versione filo-europeista e
ultra-atlantista non piace a molti. A convincere di piú, in questo
momento, é una Giorgia Meloni in grande spolvero. A piazza San
Giovanni é stata lei la mattatrice della serata. Si é presa la
scena per ben piú dei 10 minuti in scaletta ed ha conquistato la
piazza, mietendo ovazioni e cori da stadio. Dopo di lei, Salvini é
apparso un po’ impacciato, legnoso, certamente meno coinvolgente
della leader di Fratelli d’Italia.
Ma
l’attenzione generale, in questo momento, é concentrata su quanto
avviene nell’altro campo, quello del centro-sinistra. Giuseppi gira
in lungo e in largo l’Italia, nel tentativo di accreditarsi come un
premier tranquillo, di cui gli italiani possano fidarsi. Dá quasi
l’impressione di volersi preparare a presiedere un terzo governo,
nel caso questo dovesse cadere. Con chi? Non si sa, ma non credo che
per lui abbia molta importanza.
Al
momento, il suo incubo peggiore non é Matteo Salvini, ma un altro
Matteo, quel Mattacchione toscano che in queste ore imperversa alla
Leopolda. Ufficialmente il Bomba ha invitato il premier ex
giallo-verde a “stare sereno”, perché questo governo dovrá
durare fino al compimento della legislatura. In reltá, sembra che il
Pifferaio dell’Arno voglia tirare si per l’intera legislatura, ma
con un nuovo governo e con lui stesso al posto di Giuseppi.
Zingaretti,
poverino, assiste impotente. Si é fatto smontare il PD da un
discolaccio che era ormai politicamente defunto, e che invece lo ha
messo nel sacco in quattro e quattr’otto. Lui – il fratello di
Montalbano – appare inadeguato, prigioniero di quelle
forze che hanno imposto un governo di qualunque tipo purché si
evitassero le elezioni anticipate.
Eppure,
sarebbe bastato che il segretario del PD tenesse fede ai mille
giuramenti di “mai con i grillini”, per andare a elezioni
anticipate e stroncare cosí sul nascere la congiura renziana. Vero é
che le elezioni le avrebbe vinto il fronte sovranista, ma il PD – secondo tutti i sondaggi – ne
sarebbe uscito con un risultato dignitoso e, per di piú, sarebbe
venuto fuori come la forza centrale dello schieramento di sinistra.
Inoltre, dal momento che sarebbe stato lui – Zingaretti – a fare
le liste, le avrebbe depurate da una sovrabbondanza di candidati
renziani, risolvendo alla radice la concorrenza del Bomba.
E,
invece, eccolo qua a mangiare porchetta alle feste dell’Unitá e a
rilasciare dichiarazioni prive di sale e di pepe; mentre il suo
avversario – letteralmente resuscitato – vive una seconda
giovinezza politica, pontifica come un vate alla Leopolda e
maramaldeggia sulla finanziaria del povero Giuseppi.
Intanto,
la campagna elettorale in Umbria vive i suoi ultimi scampoli.
Domenica 27 ottobre 2019 si vota, e da lunedì potrebbe cambiare tutto. In Umbria, e
non solo in Umbria.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
"Come non mai in Umbria, definita l'ombelico d'Italia, si decideranno i destini politici dello Stivale. Tutte le risposte arriveranno lunedì 28 ottobre 2019..." (P.D'A.)
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