sabato 26 ottobre 2019

Facebook e la polizia del pensiero


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Viviamo tempi pericolosi, specialmente perché molti non se ne accorgono nemmeno.

Ho scritto su Facebook per dieci anni. Nessuno mi obbligava, nessuno mi ha mai pagato per farlo. Lo trovavo piacevole e divertente. Poi anche utile, talvolta persino importante. Ci sono sempre state delle regole, dei limiti, talvolta piuttosto ipocriti, fastidiosi o stupidi, ma il loro scopo era mantenere civile il dialogo. Ora si tenta di imporre una linea editoriale, si silenziano i contenuti scomodi, si pretende di valutare i pensieri di chi scrive e decidere quali siano “giusti” e quali “sbagliati”, quali pensieri lasciare esprimere e quali sanzionare. 


Si impone l’adesione al pensiero unico. Facebook è stato un luogo in cui esprimere e discutere pensiero alternativo, ora sta diventando rapidamente un luogo in cui viene stabilito cosa pensare, non diversamente dalle tv o dai quotidiani. Non serve più ad esprimervi, serve a programmarvi.

Eppure, questo imbastardimento di Facebook non vi condiziona come la TV: fa molto peggio. La TV impone contenuti, interpretazioni della realtà dall’esterno. Tu li ricevi, e la sua capillarità li rende potentissimi nel condizionarti, ma puoi comunque rifiutarli come esterni a te. Facebook è fatto dei *tuoi* pensieri, dei pensieri dei tuoi “amici”. Condizionare queste espressioni non è solo importi un punto di vista: è importi quale debba essere il TUO punto di vista. La censura su Facebook non riguarda i pensieri altrui, riguarda i TUOI pensieri. 


Il motivo per cui i social network erano una occasione di libertà è precisamente il motivo per cui oggi diventano la più sottile e perfida delle prigioni: li stanno usando per riprogrammare direttamente *quello che esprimete*.

Se con la teoria molti si perdono, eccovi un esempio semplice: su Facebook è ora vietato usare alcune parole specifiche. Alcune di esse sono parole “brutte e cattive”, usate spregiativamente per indicare persone omosessuali, oppure persone di colore. Voi direte: cosa c’è di sbagliato nel fatto che queste parole vengano bandite da un social network? Così smettiamo di diffonderle e di usarle! Verissimo, ma chi lo ha deciso? La differenza tra smettere di usare alcune parole ed essere costretti a non usarle è ENORME. 


Nel primo caso si CAPISCE quel che si sta facendo e si DECIDE cosa fare e cosa non fare. C’è responsabilità. Nel secondo si viene ADDESTRATI a non usare certe parole. E ad usarne altre. È quello che si fa con gli animali: li si addestra.

Ma oltre alle parole "razziste", adesso è vietato anche esprimere concetti “antiscientifici” – fermo restando che chi decida *cosa* sia scientifico o invece antiscientifico lo decide… qualcun altro. 


Ancora non vi è chiaro? Si è aperta la caccia al pensiero “socialmente pericoloso” direttamente nella vostra stessa mente. Roba da fare venire un orgasmo a Goebbels anche da morto. Roba che Orwell machetelodicoafare.

Per chi ancora faticasse ad arrivarci: le parole che usiamo decidono la percezione del mondo e di noi stessi che formiamo, dentro cui poi abitiamo. Decidono in che mondo viviamo e decidono chi siamo. Poter imporre quali parole usare e quali no, significa imporvi direttamente *chi siete*. Ed è esattamente quello che stanno facendo, qui ed ora.

Viviamo tempi pericolosi, specialmente perché molti non se ne accorgono nemmeno.

Sara Realini  


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