C’era una volta il petrolio... E – va da sé – continua ad esserci. Solo che adesso diventa un po’ meno importante ogni giorno che passa. Cresce – parallelamente – l’importanza, il peso, il ruolo di una risorsa nuova, o seminuova: il GNL, ovvero Gas Naturale Liquefatto. Tecnicamente si tratta di gas metano con l’aggiunta di pochi altri ingredienti, il tutto sottoposto a un processo di condensazione che ne riduce il volume di ben 600 volte. In pratica, il gas viene – per così dire – miniaturizzato, e può essere trasportato in grandi quantità e con notevole risparmio economico a mezzo di navi “metaniere”; mandando in soffitta tutto il costosissimo apparato tradizionale: gasdotti, oleodotti, navi petroliere, eccetera. All’arrivo, prima di essere immesso nella rete di distribuzione, il prodotto viene “rigassificato”, e il gioco è fatto. In Italia – dirò per inciso – sono già operativi tre impianti di rigassificazione, e se ne progettano di nuovi. Va da sé che la produzione di Gas Naturale Liquefatto è subordinata a due condizioni: la presenza di grossi giacimenti di gas naturale di alta qualità; e l’utilizzo di una sofisticata tecnologia che consenta la trasformazione del gas in GNL.
Fatta questa breve premessa di ordine tecnico, veniamo all’aspetto che ci interessa di più, quello politico. Negli Stati Uniti esistono immensi giacimenti di gas naturale del tipo più adatto, e da circa mezzo secolo si produce GNL in quantità crescente. In quantità crescente – dicevo – ma tale tuttavia da non mettere in pericolo, finora, la produzione energetica tradizionale (petrolio e gas naturale comune). Ciò ha consentito di vendere sul mercato internazionale il surplus prodotto da Stati Uniti e Russia, e soprattutto ha permesso all’Arabia Saudita di accumulare ricchezze inestimabili.
Adesso, con l’arrivo al potere di Trump, gli Stati Uniti sembrano volersi muovere in direzione di un rapido e massiccio aumento della produzione e della esportazione di GNL. Ciò avrebbe l’effetto di impoverire automaticamente le economie di tutti i paesi produttori di petrolio, dalla Russia all’Arabia Saudita, passando per l’Iran, il Venezuela e tutti gli altri “minori”.
È troppo presto per dire quando questo scenario assumerà contorni definiti; probabilmente – secondo alcuni osservatori – già nel 2023. Naturalmente, le ripercussioni sugli equilibri internazionali potrebbero essere assai pesanti, tali da ridisegnare radicalmente gli assetti geopolitici del mondo intero.
Per quanto riguarda più da vicino il nostro settore – quello mediterraneo-mediorientale – un crollo dei prezzi del petrolio dovrebbe condurre ad un ridimensionamento del ruolo dell’Arabia Saudita. Un ruolo fin qui nefasto: primavere arabe, Libia, Siria, possibile guerra all’Iran, guerra di sterminio attualmente condotta nello Yemen, per tacere degli inquietanti interrogativi sui rapporti dei sauditi con l’universo del terrorismo fondamentalista islamico.
Ogni tanto la stampa internazionale è costretta ad occuparsi dell’Arabia Saudita: come quando il principe ereditario Mohammed Bin Salman ha fatto arrestare (o sequestrare?) oltre 200 fra gli uomini più ricchi del paese, accusati di corruzione e liberati solo dopo aver versato multe (o riscatti?) nell’ordine di miliardi; o come quando un giornalista oppositore – Jamal Khashoggi – è stato ucciso (sembra, squartato vivo) da un commando di agenti segreti nella sede dell’ambasciata saudita di Ankara. Ma, a parte casi macroscopici come questi, la sullodata grande stampa internazionale (quella che accusa il siriano Assad di essere un bieco dittatore) tace pudicamente su quanto avviene dalle parti di Riyad, ed anzi commenta con democratica emozione la magnanima decisione del principe Mohammed Bin Salman di consentire alle donne saudite di guidare l’automobile.
Come dicevo, un aumento delle esportazioni di GNL americano dovrebbe – in teoria – ridurre il peso dell’Arabia Saudita nello scacchiere a noi più vicino. E questo sarebbe certamente un fatto positivo. Purtroppo non è assolutamente detto che ciò possa avvenire. Si apprende infatti che, su input del principe Mohammed Bin Salman (sempre lui!) la compagnia petrolifera dell’Arabia Saudita, la Saudi Aramco, sarebbe orientata ad investire cifre enormi nella produzione di GNL americano. Lo riferisce “The Wall Street Journal”, citato dall’autorevole sito italiano “Start Magazine”.
L’obiettivo è chiaro: nel caso di una contrazione dei consumi mondiali di petrolio, l’Arabia Saudita dovrà continuare a macinare miliardi, attingendo a quello che con ogni probabilità sarà il business del secolo, anzi del millennio.
D’altro canto, costretto dal russiagate ad accantonare il vecchio progetto di un appeasement con la Russia di Putin, Trump sembra adesso puntare ad una alleanza di ferro con il saudita Bin Salman e con il capo della destra israeliana Netanyahu. Con una differenza: che mentre l’accordo con Putin aveva come obiettivo la pace, l’intesa con Salman e Netanyahu sembra puntare verso una nuova guerra. Vittima designata: l’Iran, colpevole di opporsi al disegno israeliano-saudita di disgregare Irak, Siria e Libano.
Speriamo bene.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.