Primavere arabe:
un’intervista con Fulvio Grimaldi
Sono passati poco più di cinque anni dall’inizio delle
“primavere arabe” e tutti i Paesi che le hanno sperimentate hanno subito
sconvolgimenti che hanno cambiato drasticamente il loro volto.
La Tunisia è stata la più fortunata perché il cambio di
regime, orchestrato abilmente dalle potenze Occidentali, ha portato con se un
minimo spargimento di sangue mentre l’Egitto ha rimediato da poco allo sfacelo
dei Fratelli Musulmani con una sorta di restaurazione militare ad opera del
generale al-Sisi, il cui futuro però è ancora incerto.
Per converso, la Libia è stata interamente distrutta ed il
suo leader, Gheddafi, ucciso barbaramente. La Siria è ancora in guerra contro
milizie assassine iniettate dall’esterno, salvata solo dalla determinazione del
suo popolo migliore e dall’intervento di alleati esterni.
Abbiamo cercato di fare il punto della situazione, ponendo
alcune domande a Fulvio Grimaldi, giornalista italiano e corrispondente di
guerra che ha trascorso molto tempo in Medio Oriente. In particolare, l’ultima
riguarda la nostra Italia che ha partecipato e partecipa a tutte le recenti
guerre coloniali americane. Infatti, come già scrisse Dante secoli fa “Ahi
serva Italia, di dolore ostello, nave senza nocchiero...” c’è da chiedersi
cosa il destino riservi al nostro Paese.
1) Signor Grimaldi, vorrei iniziare l’intervista con questa domanda: come
era la Libia prima dell’intervento Occidentale?
R) A vederla, a frequentarla era un paese sereno, pacifico,
gentile, con una convivenza armoniosa tra tutte le componenti (tribù e settori
sociali), con l’eccezione di uno sparuto grumo di irriducibili integralisti
islamici, da sempre “curati” dai servizi occidentali nell’estremo oriente del
paese. Particolarmente colpiva l’atteggiamento ospitale ed equo nei confronti
degli immigrati dai paesi africani, 2,5 milioni di persone che godevano degli
stessi diritti dei cittadini libici. Sul piano dei dati, bastano quelli
dell’Indice di Sviluppo Umano dell’ONU che ponevano la Libia al primo posto nel
Continente per distribuzione della ricchezza, servizi sociali, emancipazione
delle donne, sanità, istruzione, lavoro, casa. Era un primo esempio di
democrazia diretta. Intollerabile per l’imperialismo.
2) La NATO-democrazia è
arrivata in Libia a suon di bombe. Ma che cosa è diventata adesso la ex
Jamahiriya, a distanza di 5 anni dalla guerra?
R) E’ sotto gli occhi di tutti il “caos creativo” che
l’Uccidente, la Nato, gli Usa, lasciano nei luoghi su cui non riescono ad
esercitare un dominio coloniale diretto e assoluto. Resuscitando rivalità
tribali secondo la regola del divide et
impera, iniettando nel paese il mercenariato
jihadista coltivato in Turchia e nel Golfo, hanno disgregato un’unità nazionale
che Gheddafi e il gruppo dirigente libico erano riusciti a forgiare dalla
macerie sociali ed economiche del colonialismo. Non solo, la formidabile
volontà e capacità costruttrice del leader libico aveva anche gettato le basi
per un’unità africana anticolonialista, fondata su una moneta comune,
telecomunicazioni comuni, cooperazione economica su vasta scala. E’ stato forse
questo, per l’Occidente, la sua colpa maggiore.
3) Che ne è stato del popolo libico?
R) E’ una tragedia immensa sul piano della coesione
nazionale, della situazione sociale, della frammentazione operata dagli
islamisti, usurpatori del potere a Tripoli e dagli jihadisti Isis importati.
Personalmente, però, sono convinto che nel cuore del popolo libico, non
manipolato e coinvolto negli scontri fratricidi, rimanga, insieme al rimpianto
della Jamahiriya, la consapevolezza di essere una nazione.
4) Si parla di un governo di unità nazionale e di stivali (Occidentali)
sul terreno, che ancora però non ci sono.
Secondo lei, quanto è lontana la pace in Libia?
R) Temo lontanissima. Gli avvoltoi dell’Occidente, una volta
giustificato il proprio intervento diretto con l’alibi del jihadismo,
riprenderanno il controllo di tutte le installazioni petrolifere e non le
molleranno facilmente. Cercheranno di lasciare il resto del paese, impoverito e
privato delle proprie risorse, in mano a predoni e ai Fratelli Musulmani, da
sempre forze di complemento del colonialismo.
5) Cambiando Nazione ma non scenario, la Siria ha subito le stesse
attenzioni NATO-democratiche
della Libia, per il momento con risultati diversi. Per quali motivi?
R) La Siria ha da sempre vantato una fortissima coesione
sociale, che abbracciava in un unico progetto nazionale e arabo tutte le componenti
etniche, religiose, tribali. Questo le ha permesso di dotarsi di un forte e
motivato esercito. In più l’impedimento alla No Fly Zone dovuto al veto di
Russia e Cina ha impedito la libizzazione della Siria a suon di bombe. La
fantastica resistenza di popolo, milizie e forze armate, ora al 6° anno, ha poi
avuto un sostegno decisivo dall’intervento russo, il primo e unico che ha
affiancato le truppe di Assad nei confronti dei mercenari Daish e al-Nusra.
6) L’intervento russo ha scompaginato la situazione sul campo portando
anche alla liberazione di Palmira. La Russia ha dimostrato una civiltà
superiore rispetto alle nazioni Occidentali?
R) Non so se si tratta di parlare di “civiltà”. Sicuramente,
se civiltà è anche rispetto del diritto internazionale e difesa della sovranità
e autodeterminazione dei popoli, la Russia si è dimostrata civilissima a fronte
di autentici barbari che non si fanno scrupolo di utilizzare subumani
tagliatori di teste e stupratori per conseguire i loro fini.
7) Sembra che i Russi siano prossimi a tornare. Secondo lei, quale
potrebbe essere il futuro più probabile della Siria?
R) Difficile dirlo senza la classica sfera di cristallo. Se i
russi si impegnano seriamente e fino in fondo accanto all’Esercito Arabo
Siriano e a Hezbollah, non c’è chance per i devastatori della Siria. Ora gli
aggressori stanno però giocando un’altra carta. Esaurito il compito dei
jihadisti, la manovra di spartizione della Siria viene ora affidata a un’altra
quinta colonna, i curdi. Sostenuti da finti patrioti siriani, e dall’aviazione
e da forze speciali Usa, i curdi stanno allargando il proprio dominio a terre
storicamente arabe e annunciano un’offensiva su Raqqa nel momento in cui le
forze lealiste si apprestano alla conquista della capitale di Daish. E’
evidente lo scopo di promuovere la fratturazione dello stato unitario siriano.
8) Parliamo dell’Egitto. Ci sono forze che cercano di destabilizzarlo su
vari fronti, ricorrendo ad omicidi mirati o a vili attentati aerei. Cui prodest?
R) L’Egitto e l’Algeria sono gli ultimi stati nazionali arabi
non frantumati dall’imperialismo con l’uso dei jihadisti e dei Fratelli
Musulmani loro padrini. In più sono Stati demograficamente forti e dotati di
grandi ricchezze energetiche in posizioni geostrategiche importanti. Non
possono essere tollerati dall’imperialismo e da Israele. L’attacco all’Egitto,
che si è liberato dalla tirannia dei Fratelli Musulmani non con un colpo di
Stato militare, ma con una insurrezione popolare di 33 milioni di egiziani, che
poi ha permesso l’accesso al potere di un generale disponibile a rapporti anche
con la Russia e con paesi europei, è iniziato. Si sta svolgendo con l’oscena
operazione Regeni, un operativo dell’intelligence angloamericana (Oxford
Analytica) da questi sacrificato, con l’abbattimento degli aerei russo ed
egiziano, con il terrorismo dei Fratelli Musulmani su vasta scala. Per il cui prodest bisogna guardare agli Usa,
ai britannici, all’Ue, a Israele.
9) Chi è il
generale al-Sisi? Può essere davvero la risposta ai problemi attuali
dell’Egitto?
R) Il generale Abdel
Fatah al-Sisi si è presentato come erede di Gamal Abdel Nasser, il liberatore
dell’Egitto e il promotore della liberazione panaraba. Se lo sia lo si vedrà.
Intanto ha risposto a un appello popolare vincendo largamente le elezioni e ha
liberato il paese dalla morsa integralista della quinta colonna dei Fratelli
Musulmani. Si sta adoperando per dare una soluzione nazionale e araba alla
crisi libica, contro le interferenze colonialiste della Nato, si muove con
indipendenza sullo scacchiere geopolitico, coltivando rapporti con chiunque.
Pur di farlo fuori, cercheranno di distruggere l’Egitto, a partire da campagne
di feroci diffamazioni, poi sanzioni e interventi. Successivamente toccherebbe
all’Algeria.
10) Ho un’ultima domanda per lei. Non crede che la Storia presenterà il
conto, prima o poi, anche a questa Italia che agisce con tanta leggerezza in
politica estera?
R) Me lo auguro. Ma chi potrebbe presentarlo al posto nostro?
E da noi si dorme. La Storia è fatta dagli uomini e qui siamo circondati e
rappresentati da omuncoli.
Costantino
Ceoldo – Pravda freelance
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