....In grande agitazione – ed é umanamente comprensibile – Matteo Salvini, che vede svanire il sogno di giungere a palazzo Chigi. Ma in preda all’angoscia soprattutto Silvio Berlusconi, che aspira – senza riuscirci – ad imporre all’intera coalizione di centro-destra quella medesima museruola “europeista, liberale e moderata” che Giorgetti é riuscito – per il momento – a far indossare a Salvini e alla Lega.
A tutto ció si aggiunge una vecchia antipatia del Cavaliere nei confronti di Giorgia Meloni. Un’antipatia che risale a quando la Giorgia era Ministro della Gioventú nel quarto governo Berlusconi (2008) e, anche allora, tirava calci. Avrebbe continuato a tirare calci pure quando il PdL decise di appoggiare il governo Monti (2011), fino alla uscita dal partito unico berlusconiano ed alla creazione di Fratelli d’Italia (2012).
Ci fu poi, nel 2016, la storiaccia delle amministrative di Roma. La Meloni aveva dato la sua disponibilitá a candidarsi a Sindaco della Capitale, ma il Cavaliere pose il veto e s’inventó quella incredibile candidatura Marchini che aprí la strada alla elezione della Raggi.
L’ultimo capitolo della vicenda é di questi giorni. Per sbarrare la strada alla candidatura a Presidente del Consiglio della leader di Fratelli d’Italia, Silvio ha addirittura rispolverato il progetto di un “partito unico” del centro-destra. Progetto giá fallito a suo tempo con l’esperienza del Popolo delle Libertá (2009-2013), ma che oggi avrebbe il vantaggio – per il Cavaliere – di azzerare la graduatoria fra i segretari dei tre partiti di centro-destra, cancellando la primazía della Meloni.
Ma, naturalmente, il “partito unico” potranno farselo, al massimo, Salvini e Berlusconi. Con un facilmente prevedibile calo di consensi, a ulteriore vantaggio di Fratelli d’Italia. Non c’é bisogno della sfera di cristallo per immaginare che, nel caso di liste comuni Lega-Forza Italia, la Lega perderebbe molti voti del proprio elettorato piú radicale (anti-UE e anti-immigrazione); al contempo, Forza Italia perderebbe una forte aliquota di quell’elettorato genericamente di destra che si era innamorato del Cavaliere e che adesso, invece, subisce il fascino della Meloni.
In attesa delle elezioni, intanto, gli italiani votano – diciamo cosí – nelle librerie. “Io sono Giorgia” é al primo posto nella classifica dei libri scritti dai leader politici, con 160.000 copie vendute. Al penultimo posto il libro di Enrico Letta dal titolo criptico “Anima e cacciavite”, che – apprendiamo dalla rete – raggiunge appena le 5.000 copie. Meglio di lui, non soltanto Renzi (“Controcorrente”) e Calenda (“I mostri”), ma anche Rocco Casalino (“Il portavoce”) e Di Battista (“Contro”). Peggio del Calimero del PD é riuscito a fare soltanto il mitico Toninelli, che con il suo “Non mollare mai” ha toccato le 3.000 copie. Ma – onore al merito – il libro di Toninelli é un volume artigianale, autoprodotto, fuori dai circuiti promozionali dei grandi editori e privo di quella rete di diffusione rappresentata da tutto ció (ed é tanto) che ruota attorno al PD.
Certo, le vendite dei libri non coincidono con i voti (in quel caso FdI batterebbe il PD con un rapporto di 160 a 5), ma sono comunque un indicatore prezioso. La gente é interessata a quello che dice Giorgia. Di Enrico Letta, invece, non frega niente a nessuno...
Michele Rallo
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