Miliardi veri. Non una gran pioggia, in veritá. Piuttosto una pioggerellina primaverile, timida, esile, di quelle che giungono al suolo ma non penetrano nel terreno e non alimentano le colture.
Giá il governicchio di Giuseppi II aveva speso i suoi bravi miliardi (di debiti). E adesso il governissimo di Sir Drake calca la mano: 32 miliardi di euro solo con il Decreto Sostegni. Applausi dalla sinistra (al governo), mentre dalla destra (al governo) Salvini alza l’asticella e chiede un ulteriore scostamento di bilancio «per almeno altri 50 miliardi».
Il guaio, peró, é che questa pioggerellina primaverile, se non é certo bastevole a resuscitare interi comparti economici azzerati dalle chiusure a tappeto, é comunque tale da accendere una forte ipoteca sul futuro della nostra economia nazionale (e su quello di tanti altri paesi europei). Il perché é evidente: perché questi soldi – seppur pochi – non li abbiamo, e dobbiamo quindi farceli prestare da “mercati” di vario genere: siano quelli arcigni dell’alta finanza internazionale, o siano anche – si spera – quelli, considerati amici, degli organismi europei.
Dico “si spera” perché quei famosi 209 miliardi “dell’Europa” non si sono ancóra visti. L’ultima notizia di stampa li dava – una decina di giorni fa – bloccati dalla occhiuta Corte Federale tedesca, fermamente intenzionata ad accertare se, al di lá di ogni possibile dubbio, il Recovery Fund possa celare una qualche forma di “condivisione del debito” con altri paesi europei. Se cosí dovesse apparire, allora nein, niente aiutini all’Italia né agli altri paesi latini. Paesi latini che sono stati buoni solo quando c’é stato bisogno, nel 1990, di abbonare i debiti della Germania dell’ovest per consentire che la riunificazione con la Germania dell’est avvenisse senza traumi.
Ma, quand’anche quei 209 miliardi dovessero arrivare (e credo che alla fine arriveranno) saranno ben poca cosa, a fronte del fiume di denaro occorrente per rimborsare i milioni di italiani gettati sul lastrico dalle chiusure in conto Covid. Per tacere di quel mare di denaro (non un semplice fiume) che sarebbe necessario per far “ripartire” interi comparti economici, rasi al suolo da una politica di chiusure assolutamente miope.
Che poi questi 209 miliardi – quando arriveranno – sarebbero “dell’Europa” in senso molto relativo. Noi, infatti, dovremo sborsare la nostra quota che – come per tutte le spese dell’Unione – ammonta al 12% del totale. Attenzione, non il 12% dei 209 miliardi destinati a noi, ma il 12% dei 750 miliardi dell’intero Recovery Fund: cioé – scusate se é poco – qualcosa come 90 miliardi.
E, se i 209 miliardi fossero un regalo, detratti i 90 miliardi della nostra contribuzione, il saldo per noi sarebbe comunque positivo (209 -90 = 119). Ma non é cosí, perché dei 209 miliardi solo 82 sarebbero contributi a fondo perduto, essendo i restanti 127 dei prestiti che dovranno essere restituiti a iniziare dal 2027. In pratica, dovremo incassare 82 miliardi e uscirne 90, con un saldo negativo – quindi – di 8 miliardi di euro.
A fronte di questi 8 miliardi, potremo ottenerne 127 in prestito e – sostengono di euroentusiasti – “a tasso agevolato”. Ma quando mai... Non so a quale tasso esattamente ci saranno prestati i 127 miliardi; ma, se vi aggiungiamo gli 8 miliardi di cui sopra, vedremo che l’interesse reale sará attorno al 10%. Altro che “agevolato”. Senza contare che i 127 miliardi della quota prestiti del Recovery Fund andranno comunque ad aggiungersi al nostro gagliardo debito pubblico: siamo giá a 2.600 miliardi e veleggiamo allegramente verso i 2.700, piú o meno i 135% del nostro PIL.
Un debito pubblico alto non é, di per sé, la fine del mondo. A patto, naturalmente, che conviva con una economia nazionale solida. Il Giappone – si pensi – ha un debito sovrano superiore al 200% del proprio PIL; ma la cosa non provoca sconquassi.
Per noi, invece, un debito cosí elevato é un vero e proprio dramma. Per due motivi: primo, perché la nostra economia non é solida; secondo, perché siamo vincolati ai “parametri” dell’Unione Europea. Per il primo punto non c’é bisogno di dettagliare: basta guardarsi attorno, specialmente in tempi di Covid. Sul secondo punto, invece, varrá la pena di spendere qualche parola.
Infatti le regole, le stupide regole ragionieristiche dell’Unione Europea, oltre a stabilire che il deficit di bilancio degli Stati-membri non superi il 3% del PIL, impongono che il debito pubblico dei singoli Stati rimanga al di sotto del 60% del PIL. Senza l’osservanza di quei due precetti, l’economia di un Paesi non puó essere considerata “stabile”. Da qui, la previsione di una lunga congerie di correttivi (MES compreso) che mirano a costringere gli Stati-membri a marciare a tappe forzate verso i parametri fissati dalla dittatura finanziaria europea. A qualunque prezzo; ivi compreso il massacro sociale ed una tassazione senza limiti.
Ove i governi nazionali non dovessero essere in grado di attuare una politica economica “adeguata”, si aprirebbe la strada verso il commissariamento da parte di una autoritá di controllo europea; autoritá che si assumerebbe il cómpito di imporre una politica economica lacrime e sangue che possa “stabilizzare” il paese inadempiente. É quanto é avvenuto in Grecia, con la dittatura economica della Troika.
Orbene, quando é esplosa la crisi del Covid, la Commissione Europea ha magnanimamente sospeso le regole della “stabilitá”, autorizzando gli Stati-membri ad attuare “scostamenti di bilancio” che li mettessero in grado di affrontare l’emergenza. Ma – si badi – la sospensione é solamente temporanea e di breve durata. Dopo di che, gli Stati dovranno tornare alla marcia forzata verso una “stabilitá” del tutto artificiale (e spesso irraggiungibile).
Ecco perché la politica di Draghi é destinata a fallire. Non nell’immediato ma nel futuro prossimo, quando l’Italia dovrá riprendere la marcia forzata verso la “stabilitá” imposta dai tedeschi e dai loro valvassori del Nord Europa.
Come uscire da questo cul de sac? Semplice: continuando a spendere i miliardi necessari, i moltissimi miliardi necessari per affrontare la crisi di oggi e quella di domani, ma con denaro emesso “a credito” dallo Stato italiano, e non imprestato “a debito” dai mercati. Ovvero – piaccia o non piaccia – riappropriandoci, almeno in parte, della nostra sovranitá politica ed economica.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.