Le scadenze sono note. La prima é una non-scadenza: la fine di luglio, quando scatterá il “semestre bianco” durante il quale le Camere non potranno essere sciolte. Poi, a ottobre, si voterá per i sindaci delle maggiori cittá italiane, tra cui ben 6 capoluoghi di regione: Roma, Milano, Torino, Napoli, Bologna e Trieste; turno di carattere amministrativo, ma con fortissime implicazioni politiche. Terza scadenza: febbraio 2022, quando giungerá al termine il settennato di Sergio Mattarella. E nella primavera del 2023, a conclusione, si dovrebbe finalmente votare – se ci sará concesso – per il rinnovo di un Parlamento che, da tempo ormai, non riflette piú la volontá del popolo (ex) sovrano.
Ció che in questo momento si muove nelle “segrete stanze” é tutto calibrato in vista di quelle date, specie della penultima. Preliminarmente, v’é da sciogliere il rebus Mattarella. Cosa fará il Presidente alla scadenza del settennato? Si ritirerá in buon ordine, dando cosí il via alla battaglia per la successione? O accetterá di rimanere al Quirinale fino al rinnovo delle Camere? Ció permetterebbe a Draghi di continuare a guidare il governo, rimandando di un anno eventuali ambizioni quirinalizie. Ma ció consentirebbe anche al centro-destra di eleggere un “suo” Presidente della Repubblica; prospettiva che forse non riempirebbe di gioia l’attuale inquilino del Quirinale. C’é anche una terza e pur remota ipotesi, e cioé che Mattarella possa infine accettare una rielezione, ma a tempo pieno, per sette anni e non per uno.
Soltanto la prima opzione, ovviamente. darebbe il via alla battaglia per la successione. In tal caso, il candidato in pole position appare certamente Mario Draghi, specie se – da qui al febbraio dell’anno venturo – avrá dato l’impressione di saper governare benino.
Ma, fin da ora, l’eventuale candidatura di Sir Drake deve fare i conti con avversari agguerritissimi. Primo fra tutti quel Romano Prodi che si sentiva giá sul Colle piú alto nel 2013, quando un centinaio di franchi tiratori lo impallinó nel segreto dell’urna, aprendo la strada al giro supplementare di Napolitano e poi all’elezione di Mattarella. In questi giorni – trapela dal palazzo – i prodiani piú fidati sarebbero in prima fila nel tessere le lodi di Draghi. L’ex governatore della BCE viene dipinto da alcuni come un nuovo “uomo della provvidenza", uno cosí "bravo" che sarebbe un peccato toglierlo dalla Presidenza del Consiglio. Meglio lasciarlo lí, e mandare al Quirinale il Mortadella. Peraltro, i due potrebbero benissimo lavorare in tandem, come negli anni ruggenti delle privatizzazioni.
Ma sbaglierebbe chi ritenesse che la partita del Quirinale possa esaurirsi in un gioco a tre Mattarella-Draghi-Prodi. Ci sono tanti altri pretendenti, piú o meno credibili. Stando alle voci di corridoio, ad agitarsi di piú in questo momento sarebbe il ministro Dario Franceschini, titolare del pacchetto di maggioranza – diciamo cosí – di quella specie di societá per azioni che é il PD. Anzi, stando sempre ai sussurri del palazzo, un certo attivismo “interno” di Franceschiniello – come lo hanno soprannominato i maligni – farebbe parte del lavorío preparatorio alla “campagna d’inverno”, quando si apriranno ufficialmente le ostilitá per la guerra del Quirinale. Per il momento, Franceschini sembra soprattutto marcare stretto Enrico Letta, il quale appare preoccupato soltanto di spingere la Lega fuori dalla maggioranza di governo.
Anche su Letta si sprecano le malignitá. Molti si chiedono il perché della sua ossessione anti-salviniana che, se dovesse per assurdo ottenere l’esito sperato, avrebbe come unico risultato quello di azzoppare il governissimo Draghi. Quale é – arzigogolano i complottisti – l’obiettivo reale di Enrico-stai-sereno? Ovvero – obietta qualcun altro – la sua crociata “anti” cela soltanto un desolante vuoto di idee, una incapacitá congenita a elaborare una linea politica propositiva? Possibile che l’ultima frontiera della sinistra sia quella di impedire che Salvini ottenga un’ora in piú di apertura per i ristoranti?
Certo, nessuno pensa che anche Letta aspiri al Quirinale. Qualcuno, invece, ritiene che la reprimenda di Franceschini (il quale ha invocato un atteggiamento costruttivo «da parte di tutti») miri ad acquisire simpatie a destra, in vista proprio delle elezioni presidenziali.
Senza contare che non é affatto detto che a determinare l’elezione del prossimo Presidente debba necessariamente essere il centro-sinistra. Calcolando anche i delegati regionali, allo stato il centro-sinistra avrebbe soltanto 82 voti in piú del centro-destra. Il che significa che basterebbero 41 parlamentari “ballerini” (grillini in fuga, moderati in crisi d’identitá, centristi peripatetici, peones in cerca di un nuovo tetto, o simili) per sovvertire le previsioni della vigilia.
Tutto ció si innesta in un clima generale di confusione e di incertezza. É tutto un subbuglio, a sinistra come a destra. Lo squagliamento dei Cinque Stelle, stretti fra il divorzio da Casaleggio e il video-shock di Grillo. Le affermazioni di Sgarbi, secondo cui il governo Conte-bis sarebbe nato per tutelare il figlio dell’Elevato dai suoi guai giudiziari. E, a destra, l’offensiva di Giorgetti per “moderatizzare” la Lega, esponendo cosí Salvini al rischio di sorpasso da parte della Meloni.
Ecco, il meno che si possa dire é che ci troviamo di fronte ad una gran confusione, con uno scenario politico in fibrillazione costante. Chissá quante dovremo ancóra vederne, da qui al febbraio del 2022.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
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