domenica 24 novembre 2013

Depravazione finanziaria – Dare un prezzo alla biodiversità per poterla distruggere a pagamento



Il mercato finanziario ha trovato un nuovo grosso affare: dare un prezzo alla biodiversità e metterla in commercio. Una invenzione mostruosa contro cui è nata, pochi giorni fa a Bruxelles, una coalizione internazionale di associazioni e movimenti.
“Il mostro di Lochness e l’omonimo lago, famosi in tutto il mondo, sono in vendita da qualche giorno su ebay.” Questa la provocazione dei gruppi della società civile europea che accoglie con le sue proteste a Edimburgo il primo Forum mondiale sul Capitale Naturale…
MA LA NATURA NON E’ VENDITA! Si è tenuto il 21-22 novembre a Edimburgo il primo Forum mondiale sul capitale naturale. L’obiettivo delle banche, che lo promuovono, è dare un prezzo alla natura e ai servizi degli ecosistemi. Sono 140 le organizzazioni della società civile riunite qualche settimana fa a Bruxelles,  che hanno firmato una dichiarazione per dire “No alle compensazioni sulla biodiversità” (http://no-biodiversity-offsets.makenoise.org/italiano/ ) e creato un contro-forum (http://naturenotforsale.org/) sui Beni Comuni Naturali. A Edimburgo, vari attivisti accorsi da tutta l’Europa, tra cui anche gli italiani di Re:Common, hanno inscenato una protesta in occasione dell’apertura dei lavori…”
(P.D’A.)


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Natura bond
di Rebecca Rovoletto
Nel mondo anglosassone è detto biodiversity offsetting, o ecosystem offsetting: è il nuovo strumento di cui si sta dotando il mercato finanziario globale per mettere definitivamente le mani sugli ecosistemi e la vita che essi ospitano. Al confronto, la privatizzazione dell’acqua sembra una quisquilia…
Si tratta di un nuovo passo operativo per rendere effettivo l’approccio ideologico che chiamiamo finanziarizzazione della natura: rispetto ai danni all’ambiente causati dai grandi progetti infrastrutturali (energetici e trasportistici) o estrattivi che si stanno avviando in Europa, le istituzioni finanziarie e diversi governi, Regno Unito in testa, stanno proponendo l’introduzione del concetto della “compensazione traslata” del danno ambientale, in particolare di habitat protetti e biodiversità.
Un principio ben diverso da quello esistente di compensazione: se la ratio della Via (Valutazione di impatto ambientale), è quella di causare il minor danno possibile, evitare le zone protette e attuare forme di compensazioni in loco, il nuovo meccanismo permette al costruttore di realizzare l’opera in ogni caso, semplicemente “calcolando” il danno arrecato ad ambiente/habitat/ biodiversità e investendo nella tutela di un territorio ubicato altrove con caratteristiche simili a quello distrutto. Parallelamente, si sta creando un mercato di titoli collegati alla biodiversità e agli habitat naturali da avviare alla compravendita, come per qualsiasi altro titolo di investimento altamente speculativo. Insomma, una pratica del tutto simile a quella in atto da anni dei famigerati crediti di carbonio, che permette alle aziende responsabili del danno di dichiararsi investitori nella protezione dell’ambiente, con conseguente ritorno d’immagine e greenwashing dei loro prodotti e servizi. La protezione dell’ambiente si trasforma in un sottoprodotto commerciale.
Il paradosso è che le più grandi aberrazioni in tema di ambiente vengono concepite proprio in occasione dei grandi vertici internazionali, spacciati per momenti di bilancio e autocritica, per ricercare soluzioni alle drammatiche emergenze dell’umanità e del pianeta. Già il Protocollo di Kyoto aveva sostenuto la logica dei “permessi di inquinamento” che ha partorito i citati crediti di carbonio, ma il momento topico per quello che sta avvenendo in materia di habitat risale al giugno 2012. In occasione del vertice di Rio +20, viene fatta recapitare la “Dichiarazione sul Capitale Naturale e sui Servizi resi da un ecosistema”, elaborata dai grandi attori del settore finanziario mondiale. Ecco i due artificiali pilastri concettuali sui quali si regge la nuova narrazione del “mercato delle indulgenze ambientali”: capitale e servizi.
“Il Capitale Naturale comprende gli asset [beni patrimoniali e merci] naturali della Terra (suolo, aria, flora e fauna) e i servizi degli ecosistemi forniti da questi, che rendono possibile la vita umana. I beni e i servizi degli ecosistemi del Capitale Naturale ogni anno ammontano a trilioni di dollari e sono il cibo, le fibre, l’acqua, la salute, l’energia, la sicurezza climatica e altri servizi essenziali per ognuno. Né questi servizi, né la base del Capitale Naturale che li fornisce, sono valutati adeguatamente in paragone al capitale sociale e finanziario. Nonostante siano fondamentali per il nostro benessere, il loro uso quotidiano rimane quasi non registrato all’interno dei nostri sistemi economici. Usare il Capitale Naturale in questo modo non è sostenibile.”
Che gli esseri viventi “quotidianamente” respirino, bevano, mangino, si riscaldino, si proteggano senza rendere conto al sistema economico è insomma “insostenibile”… Non esiterei a paragonarla a una dichiarazione di guerra al pianeta e ai suoi abitanti, a mezzo di un ribaltamento del pensiero e del linguaggio che impone una sofisticata e sordida anschluss semantica della Natura al mondo del Mercato. E questo sta avvenendo mentre ovunque nel mondo ci si batte per la difesa dei territori, per la sovranità alimentare e l’accesso alla terra, per il diritto alla gestione e tutela dei beni comuni naturali da parte delle comunità.
Il 25 e 26 ottobre scorsi si è svolto a Bruxelles un primo incontro di lavoro, organizzato dal fronte delle avanguardie indipendenti che si occupano di analizzare e smascherare le manovre dei mercati finanziari ai danni dell’ambiente e dell’uomo. A Bruxelles si sono riunite oltre 30 organizzazioni di rilevanza nazionale e internazionale: in testa FERN, ATTAC, Re:Common, World Rainforest Movement, Carbon Trade Watch; diverse associazioni del Regno Unito, della Spagna (che ha appena varato la legge sull’habitat banking), della Francia, della Polonia, dell’Olanda; presenti anche accademici, gruppi e comitati territoriali, compresi il movimento No TAV valsusino e Opzione Zero veneziano. Si è approfondito il tema, confrontando i casi pilota esistenti e le modifiche legislative in corso e ponendo le basi per organizzare azioni a tutti i livelli.
Qui il manifesto-appello http://no-biodiversity-offsets.makenoise.org/italiano/ già sottoscritto da numerose organizzazioni contrarie a qualsiasi tentativo di includere l’offsetting della biodiversità nel quadro normativo, negli standard e nelle politiche pubbliche – in vista di una campagna internazionale cui ha già aderito anche l’African Alliance for Rangeland Management and Development.
Il prossimo passaggio sarà già il 21 novembre prossimo a Edimburgo quando verrà costituito il Forum on Natural Commons ( www.naturenotforsale.org), negli stessi giorni e nella stessa città in cui si riuniranno le Nazioni Unite, i governi e le istituzioni finanziarie nel primo Forum Mondiale sul Capitale Naturale, per pianificare il modo di “assegnare un prezzo alla natura” e favorirne la mercificazione.
Già, perché nel sistema globalizzato non c’è istituzione normalizzata che non sostenga questa visione, dall’UNESCO al WWF, il quale ha sottoscritto la Dichiarazione di Rio (http://www.naturalcapitaldeclaration.org/support-from-other-stakeholders/) e sposato questa falsa soluzione in un’ottica di investimento di capitali finanziari in alcune riserve protette, a discapito però di tutte le altre aree aggredite, il che apre scenari inimmaginabili.
La natura è unica e complessa ed è impossibile misurarne la biodiversità, allora come e chi stabilisce il valore di un ecosistema? Alcuni ecosistemi hanno impiegato centinaia o migliaia di anni per raggiungere il loro stato attuale: possono essere riproducibili? Che valore hanno e che fine fanno gli abitanti (umani e non umani), la sussistenza, le economie, la cultura? La natura ha un ruolo sociale, spirituale e di sostegno per le comunità, che definiscono il proprio territorio sulla base di interrelazioni tradizionali con la terra e la natura: come si può pensare di sfollare una comunità verso un altro luogo?
Domande oziose, certo. Per il Mercato il valore si riduce al prezzo calcolato da discutibili software. Infatti i golem tecnologici del Mercato stanno già risolvendo anche questi dettagli, come si vede in questo sito (http://www.environmentbank.com/), che mette addirittura a disposizione un simulatore di calcolo di soli 3 (dico 3!) parametri generici per stimare il valore della biodiversità e trasformarlo in crediti di natura: basta con un click. Il calcolatore è destinato ai proprietari di beni naturali (terreni, foreste, ecc.) che vogliono immettere sul mercato finanziario titoli legati ai propri possedimenti e offrirli come offset. Nasceranno istituti per certificare i valori degli habitat, società di rating per stabilire le classifiche degli investimenti più redditizi, broker e intermediari per un mercato dalle infinite e infernali potenzialità.
I casi studiati dimostrano come si tratti di una pratica che incentiva lo sfruttamento delle risorse naturali e mina la pianificazione di normative atte a prevenire la distruzione. La logica dell’offsetting della biodiversità separa le persone dall’ambiente e dai territori in cui vivono, marginalizzandole fino a minacciare lo stesso diritto alla vita. Ecco alcuni esempi di politiche e progetti in corso, relativi al biodiversity offsetting:
Brasile: il nuovo codice forestale permette ai proprietari di terre di distruggere territorio forestale contro l’acquisto di “certificati di riserve ambientali” emessi dallo stato e commercializzati alla Borsa Verde di Rio (BVRio), il “mercato di titoli verdi” creato di recente dal governo brasiliano.
Istituzioni finanziarie pubbliche come la Banca Mondiale, l’International Finance Corporation (IFC, il ramo della Banca mondiale che presta alle imprese private) e la Banca europea per gli Investimenti (BEI) stanno cercando di includere l’offsetting della biodiversità nei propri standard e nella pratica, come strumento per “compensare” il danno permanente causato dalle grandi infrastrutture che queste stesse istituzioni finanziano.
Il governo del Regno Unito sta cercando di introdurre l’offsetting nel proprio quadro normativo. I suoi proponenti stanno interferendo nei processi legislativi, compromettendo l’iter decisionale democratico e indebolendo le voci delle comunità.
Notre Dame des Landes, Francia: il progetto di aeroporto che dovrebbe sorgere in un’area di oltre 1000 ettari di zona umida, dove l’attività agricola ha permesso di mantenere il paesaggio tradizionale e la biodiversità. L’offsetting è stato richiesto dalla normativa francese, ma l’azienda Biotope ha definito una nuova metodologia basata sulle “funzioni” dell’ecosistema e non sugli ettari di territorio, proponendo che il costruttore, l’azienda Vinci, provvedesse all’offsetting di soli 600 ettari. Da 40 anni l’opposizione degli abitanti ha permesso di bloccare il progetto e ha messo in discussione lo schema di offsetting. La Commissione europea sta intervenendo.
Strategia europea 2020 sulla biodiversità: l’Ue sta considerando di dotarsi di una legislazione sull’offsetting, che includa la creazione di una “banca degli habitat” per consentire l’offsetting di specie e habitat naturali all’interno dei confini europei. Lo scopo è quello di annullare la “perdita netta” (no net loss) della biodiversità, obiettivo assolutamente diverso da quello precedentemente perseguito di garantire “nessuna perdita” (no loss).
La Banca mondiale ha finanziato il mega progetto di estrazione mineraria di nichel e cobalto Weda Bay in Indonesia. Operatore del progetto è l’azienda mineraria francese Eramet (http://wedabaynickel.com/), parte del programma “business e biodiversità” (BBOP – Business and Biodiversity Offsets Program: http://www.business-biodiversity.eu/default.asp?Menue=133&News=43). Il progetto è in attesa di ricevere altri finanziamenti dalla Banca mondiale, dalla Banca asiatica di sviluppo, dalla Banca giapponese per la cooperazione internazionale (JPIC), dalle francesi Coface e Agenzia di sviluppo (AFD) proprio per il programma di offsetting. Gli impatti sulle persone e sul territorio sono enormi e il progetto è contestato dalle comunità indonesiane e da organizzazioni della società civile internazionale.
È chiaro che ci troviamo di fronte a un giro di boa fondamentale nella folle corsa che sta sistematizzando il paradigma della finanziarizzazione globale della natura, all’interno del noto orizzonte sviluppista-speculativo e della retorica mistificante che si appella alla sostenibilità e alla salvaguardia, alla partecipazione e all’equità. Un paradigma dalle profonde implicazioni, queste sì, davvero eversive dell’ordine naturale del creato.
(Fonte: http://www.democraziakmzero.org/2013/11/08/natura-bond/)

1 commento:

  1. Grazie Paolo delle preziose informazioni che ci rendi note e del lavoro di ricerca ed elaborazione sulle stesse.
    Davvero un abbraccio,
    Cristiano

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