mercoledì 30 novembre 2016

Storie di papi (gli ultimi) - La commedia del bergoglio: "Poca religione, molta scena (di massa)..." Ed il mistero delle dimissioni di paparatzy


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Siamo a metà febbraio 2012  - Papa Ratzinger  non aveva ancora ancora  annunciato le sue dimissioni, ma erano nell'aria, c'erano state minacce di attentati  accompagnate  da una campagna mediatica proveniente dagli USA che lo accusava di varie nefandezze.

La mia  prima ipotesi, avanzata allora,  era relativa alla minaccia, fatta dai "fratelli maggiori" di far  scoppiare uno scandalo epocale sul Vaticano a causa della pedofilia dei sacerdoti di cui il Papa ne sarebbe stato in parte complice avendo cercato di coprirla con ogni mezzo o addirittura avendo partecipato attivamente alla partita...

La seconda potesi (per  me la più credibile),  è quella economica, ovvero la lotta all'ultimo sangue per scardinare il potere finanziario vaticano condotta dagli stessi "fratelli maggiori" (quelli che controllano la finanza mondiale e tutte le banche centrali del mondo) contro l'unico potentato bancario autonomo rimasto, quello dello IOR vaticano, che gestisce buona parte di traffici illeciti ed il riciclaggio di denaro sporco. Inoltre il vaticano è il maggior detentore mondiale di ricchezze in immobili e nasconde una quantità abnorme di oro e metalli preziosi sia nei sotterranei vaticani che in tutte le chiese del mondo. Una ricchezza che secondo i "fratelli maggiori" deve cambiar padrone, utilizzando la consolidata tattica del "divide et impera"...

Il che significa che il vaticano sotto ricatto e manovrato da un nuovo papa, "sensibile ai desiderata del nwo" si frantumerà e le sue ricchezze passeranno di mano (nella rapaci mani di chi sappiamo). Una volta effettuata la rapina e screditato il potere di convincimento delle masse della chiesa cattolica, che ancora ha un certo peso, il dominio del mondo sarà cosa fatta,  con tanto di ciliegina sulla torta,  se dovesse attuarsi la così detta "chiesa universale sincretica" con sede centrale a Gerusalemme... (non dimentichiamo la promessa di Trump di fare di Gerusalemme la capitale unica del sionismo).

Però il vecchio proverbio dice: "Il diavolo fa le pentole ma non i coperchi"... Staremo a vedere.

Paolo D'Arpini
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Articolo in sintonia:

Ratzinger “deposto” da un complotto gestito dai servizi segreti anglosassoni, con anche la collaborazione di Gianroberto Casaleggio. Obiettivo: insediare in Vaticano l’attuale pontefice “modernista”. Un piano del massimo potere, gestito da personaggi come George Soros e ora messo in pericolo dalla vittoria di Trump. Lo sostiene Federico Dezzani, che evoca “padrini occulti” dietro al pontificato di Bergoglio, di cui profetizza l’imminente declino.
Nonostante il flop del Giubileo e «il sostanziale fallimento dell’Anno Santo», Papa Francesco oggi accelera la svolta modernista: crea nuovi cardinali a lui fedeli e concede a tutti i sacerdoti la facoltà di assolvere l’aborto. «Forse Bergoglio ha fretta, perché sa che il contesto internazionale che lo ha portato sul Soglio Petrino si è dissolto con l’elezione di Donald Trump», scrive Dezzani, secondo cui furono «l’amministrazione Obama e George Soros» a introdurre il gesuita argentino, «in forte odore di massoneria», dentro le Mura Leonine. Bergoglio? Sarebbe «la versione petrina di Barack Hussein Obama», in coerenza col “cesaropapismo”, grazie al quale il potere civile estende la propria competenza al campo religioso, così da plasmare la dottrina «secondo le esigenze del poteretemporale».

Una pratica bizantina, ancora viva nell’Occidente moderno? Senz’altro: «La Chiesa di Roma subisce, dalla notte dei tempi, gli influssi del mondo esterno: re francesi, imperatori tedeschi, generali corsi e dittatori italiani hanno sempre cercato di ritagliarsi una Chiesa su misura». Dopo il 1945, il Vaticano è stato «inglobato come il resto dell’Europa Occidentale nell’impero angloamericano», subendone l’influenza politica, economica e ideologica: «Quanto avviene alla Casa Bianca, presto o tardi, si ripercuote dentro le Mura Leonine». Se poi il potere temporale si sente particolarmente forte e ha fretta di imporre la propria agenda alla Chiesa cattolica, «indebolita da decenni di secolarizzazione della società e in preda ad una profonda crisi d’identità», a quel punto – sostiene Dezzani – spinge più a fondo la “modernizzazione” dello Stato pontificio «cosicché il Papa “si dimetta”, come un amministratore delegato qualsiasi, e gli azionisti di maggioranza possano nominare un nuovo “chief executive officer” della Chiesa cattolica apostolica romana, sensibile ai loro interessi».

Ratzinger “licenziato” dalla Casa Bianca? «Durante la folle amministrazione di Barack Hussein Obama, periodo durante cui l’oligarchia euro-atlantica si è manifestata in tutte le sue forme, dal terrorismo islamico all’immigrazione selvaggia, dagli assalti finanziari alle guerre per procura alla Russia – continua Dezzani nel suo blog – abbiamo assistito a tutto: comprese le dimissioni di Benedetto XVI, le prime da oltre 600 anni (l’ultimo pontefice ad abdicare fu Gregorio XII nel 1415), e alla nascita di un ruolo, quello di “pontefix emeritus”, sinora mai attribuito ad un Vicario di Cristo vivente». L’interruzione del pontificato di Joseph Ratzinger, seguita dal conclave del marzo 2013 che elegge l’argentino Jorge Mario Bergoglio, è una vera e propria “rivoluzione”: «Ad un pontefice “conservatore” come Benedetto XVI ne succede uno “progressista” come Francesco, a un difensore dell’ortodossia cattolica succede un modernista che vuole “rinnovare” la dottrina millenaria della Chiesa». Non solo: «Ad un Papa che aveva ribadito l’inconciliabilità tra Chiesa Cattolica e massoneria ne subentra uno che è in fortissimo odore di libera muratoria».

E ad un pontefice «sicuro che solo nella Chiesa di Cristo c’è la salvezza» segue «un paladino dell’ecumenismo», talmente ardito da dichiarare ad Eugenio Scalfari nel 2013: «Non esiste un Dio cattolico, esiste Dio». Per Dezzani, il fondatore della “Repubblica”, «ben introdotto negli ambienti “illuminati” nostrani ed internazionali», in effetti «è un’ottima cartina di tornasole per afferrare il mutamento in seno alla Chiesa», strettamente sorvegliato dall’élite di potere. Si passa dall’editoriale “Da Pacelli a Ratzinger, la lunga crisi della Chiesa” del maggio 2012, dove Scalfari ragiona a distanza sul pontificato “lezioso” di Ratzinger, rinfacciandogli una scarsa apertura alla modernità, a Lutero ed all’ecumenismo, al dialogo tête-à-tête del novembre 2016, dove Scalfari discetta amabilmente con Bergoglio di “meticciato universale”, «tema tanto caro alla massoneria», interprete del sincretismo culturale che è alla base della modernità stessa, alla cui creazione proprio il network libero-muratorio contribuì, a partire dal ‘700.

Federico Dezzani si concentra su Bergoglio, che considera «la versione petrina di Barack Obama», al punto che «si potrebbe sostenere che sia stato il presidente americano ad installare il gesuita ai vertici della Chiesa»? Sarebbe un’affermazione «soltanto verosimile», precisa, visto che «sono gli stessi ambienti che hanno appoggiato Barack Obama (e che avevano investito tutto su Hillary Clinton nelle ultime elezioni) ad aver preparato il terreno su cui è germogliato il pontificato di Bergoglio». In altre parole, è il milieu «della finanza angloamericana, di George Soros e dell’establishment anglofono liberal». Se si riflette sugli ultimi tre anni di pontificato, continua Dezzani, l’azione del Papa sembra infatti ricalcata sull’amministrazione democratica. Obama si fa il paladino della lotta al surriscaldamento globale, culminata col Trattato di Parigi del dicembre 2015? Bergoglio risponde con l’enciclica ambientalista “Laudato si”. Obama «ed i suoi ascari europei, Merkel e Renzi in testa», incentivano l’immigrazione di massa? Bergoglio «ne fornisce la copertura religiosa, finendo coldedicare la maggior parte del pontificato al tema». Ancora: Obama legalizza i matrimoni omosessuali? «Bergoglio si spende al massimo affinché il Sinodo sulla famiglia del 2014 si spinga in questa direzione».

Gli “automatismi” continuano, estendendosi anche al welfare. La Casa Bianca vara una discussa riforma sanitaria che incentiva l’uso di farmaci abortivi? «Bergoglio allarga all’intera platea di sacerdoti, anziché ai soli vescovi, la facoltà di assolvere dall’aborto». Ma è possibile «insediare in Vaticano» un pontefice «in perfetta sintonia con l’amministrazione democratica di Obama» e, sopratutto, «espressione degli interessi retrostanti», che Dezzani definisce «massonici-finanziari»? E’ il tema della ricostruzione di Dezzani, che parte dalla “resa” di Ratzinger. Se si vuole attuare un “regime change”, il primo passo è «sbarazzarsi della vecchia gerarchia». Dinamica classica, «già vista in Italia con Tangentopoli, che spazzò via la vecchia classe dirigente italiana spianando la strada ai governi “europeisti” di Amato e Prodi». In Germania, la Tangentopoli tedesca «decapitò la Cdu e favorì l’emergere della semi-sconosciuta Angela Merkel». A Firenze, lo scandalo urbanistico sull’area Castello «eliminò l’assessore-sceriffo Graziano Cioni e avviò la scalata al potere di Matteo Renzi». O ancora, in Brasile, dove «lo scandalo Petrobas ha causato la caduta di Dilma Rousseff e la nomina a presidente del massone Michel Temer».

Stesso schema, sempre: «Accuse di corruzione (fondate o non), illazioni infamanti, minacce, sinistre allusioni, carcerazioni preventive, battage della stampa, false testimonianze, omicidi: qualsiasi mezzo è impiegato per “scalzare” i vecchi vertici indesiderati». In Vaticano, nel mirino finirono «Ratzinger e il suo seguito di cardinali conservatori, da defenestrare a qualsiasi costo per l’avvento di un pontefice modernista». Ed ecco, puntale, lo scandalo “Vatileaks”, cioè lo smottamento – lungamente incubato – che ha condotto al ritiro di Ratzinger. L’analisi di Dezzani parte dagli Usa. Aprile 2009: Obama è insediato alla Casa Bianca da appena tre mesi «e con lui quell’oligarchia liberal decisa a sbarazzarsi di Benedetto XVI». In Italia esce “Vaticano SpA”, il libro di Gianluigi Nuzzi che “grazie all’accesso, quasi casuale, a un archivio sterminato di documenti ufficiali, spiega per la prima volta il ruolo dello Ior nella Prima e nella Seconda Repubblica”. Ovvero: «Mafia, massoneria, Vaticano e parti deviate dello Stato sono il mix di questo bestseller che apre la campagna di fango e intimidazione contro Ratzinger».

L’autore, secondo Dezzani, «è uno dei pochi giornalisti italiani ad essere in stretti rapporti con il solitamente schivo Gianroberto Casaleggio: Nuzzi ottiene nel 2013 dal guru del M5S una lunga intervista e, tre anni dopo, partecipa alle sue esequie a Milano». Nuzzi è una prestigiosa “penna” del “Giornale”, di “Libero” e del “Corriere della Sera”: è lecito supporre che «confezioni “Vaticano SpA” e il successivo bestseller “Vatileaks”, avvalendosi delle fonti passategli dagli stessi ambienti che si nascondo dietro Gianroberto Casaleggio ed il M5S»? Ipotetici, veri manovratori: «I servizi atlantici e, in particolare, quelli britannici che storicamente vivono in simbiosi con la massoneria». Il biennio 2010-2011 vede Ratzinger «assalito da ogni lato dalle inchieste sulla pedofilia, il tallone d’Achille della Chiesa cattolica su cui l’oligarchia atlantica può colpire con facilità», infliggendo ingenti danni. “Scandalo pedofilia, il 2010 è stato l’annus horribilis della Chiesa cattolica” scrive nel gennaio 2011 il “Fatto Quotidiano”.

È lo stesso periodo in cui l’argentino Luis Moreno Ocampo, primo procuratore capo della Corte Penale Internazionale ed ex-consulente della Banca Mondiale, valuta se accusare il pontefice Ratzinger di crimini contro l’umanità, imputandogli i “delitti commessi contro milioni di bambini nelle mani di preti e suore ed orchestrati dal Papa”. Poi arriva il 2012, ancora con gli americani in prima linea. Lo rivela Wikileaks, svelando l’esistenza di un documento «indispensabile per capire le trame che portano alla caduta di Ratzinger». È il febbraio 2012 quando John Podesta, futuro capo della campagna di Hillary, scrive a Sandy Newman un’email intitolata: “Opening for a Catholic Spring? just musing…” ossia: “Preparare una Primavera cattolica? Qualche riflessione…”. Già allora, Podesta era «un papavero dell’establishment liberal», capo di gabinetto della Casa Bianca ai tempi di Bill Clinton, nonché fondatore del think-tank “Center for American Progress”, «di cui uno dei principali donatori è lo speculatore George Soros». E Sandy Newman? Creatore di potenti think-tanks progressisti (“Voices for Progress”, “Project Vote!”, “Fight Crime: Invest in Kids”) in cui si fece le ossa, fresco di dottorato, il giovane Obama.

Scrive Newman: «Ci deve essere una Primavera cattolica, in cui i cattolici stessi chiedano la fine di una “dittatura dell’età media” e l’inizio di un po’ di democrazia e di rispetto per la parità di genere». E Podesta: «Abbiamo creato “Cattolici in Alleanza per il Bene Comune” per organizzare per un momento come questo, ma non ha ancora la leadership per farlo. Come la maggior parte dei movimenti di “primavera”, penso che questo dovrà avvenire dal basso verso l’alto». Lo scambio di email hacketrato ora da Wikileaks, aggiunge Dezzani, si inserisce perfettamente nel contesto degli ambienti anglosassoni liberal, «gli stessi dove si discute da anni della necessità di un Concilio Vaticano III che apra a omosessuali, aborto e contraccezione». 

Il mondo ha bisogno di un nuovo Concilio Vaticano, scrive nel 2010 un membro del “Center for American Progress”, che parla apertamente di una “primavera cattolica” «che ponga fine alla dittatura medioevale della Chiesa, sulla falsariga della “primavera araba” che ha appena sconquassato il Medio Oriente».

Di lì a poche settimane, continua Dezzani, «parte infatti la manovra a tenaglia che nell’arco di una decina di mesi porterà alla clamorose dimissioni di Benedetto XVI: è il cosiddetto “Vatileaks”, una furiosa campagna mediatica che attaccando su più fronti (Ior, abusi sessuali, lotte di palazzo, la controversa gestione della Segreteria di Stato da parte del cardinale Bertone) infligge il colpo di grazia al già traballante pontificato del conservatore Ratzinger, dipinto come “troppo debole per guidare la Chiesa”». L’intero scandalo, insiste Dezzani, poggia sulla fuga di notizie, «un’attività che dalla notte dei tempi è svolta dai servizi segreti». Notizie «trafugate» sono quelle che consentono a Nuzzi di confezionare il secondo bestseller, il libro-terremoto che esce nel maggio 2012: “Sua Santità. Le carte segrete di Benedetto XVI”, poi tradotto in inglese dalla CasaleggioAssociati con l’emblematico titolo “Ratzinger was afraid: The secret documents, the money and the scandals that overwhelmed the pope”.

Chi è la fonte di Nuzzi, il cosiddetto “corvo”? «Come nel più banale dei racconti gialli, è il maggiordomo, quel Paolo Gabriele che funge da capro espiatorio per una macchinazione ben più complessa», sostiene Dezzani. Notizie “trafugate” sarebbero anche quelle che compaiono sul “Fatto Quotidiano”, utili a dimostrare che lo Ior, gestito da Ettore Gotti Tedeschi, per il giornale di Travaglio «non ha alcuna intenzione di attuare gli impegni assunti in sede europea per aderire agli standard del Comitato per la valutazione di misure contro il riciclaggio di capitali», né di «permettere alle autorità antiriciclaggio vaticane e italiane di guardare cosa è accaduto nei conti dello Ior prima dell’aprile 2011». Gotti Tedeschi, ricorda Dezzani, verrà brutalmente licenziato dallo Ior il 25 maggio, lo stesso giorno dell’arresto del maggiordomo Gabriele, «così da alimentare il sospetto che i “corvi” siano ovunque, anche ai vertici dello Ior, Gotti Tedeschi compreso».

Notizie “trafugate”, infine, sarebbero anche gli stralci pubblicati da Concita De Gregorio su “La Repubblica” e da Ignazio Ingrao su “Panorama” nel febbraio 2013, «estrapolati da un presunto dossier segreto e concernenti una fantomatica “lobby omosessuale in Vaticano”: sarebbe la gravità di questo documento, secondo le ricostruzione della stampa, ad aver convinto Ratzinger alle dimissioni». Si arriva così all’11 febbraio 2013: durante un concistoro per la canonizzazione di alcuni santi, Benedetto XVI, visibilmente affaticato, comunica in latino la clamorosa rinuncia al Soglio Pontificio. «Fu costretto alle dimissioni sotto ricatto? Era effettivamente spaventato?». Ratzinger smentisce nel modo più netto. Di recente ha ribadito che «non si è trattato di una ritirata sotto la pressione degli eventi o di una fuga per l’incapacità di farvi fronte». E ha aggiunto: «Nessuno ha cercato di ricattarmi».

L’11 febbraio 2013, Ratzinger aveva affermato di «non essere più sicuro delle sue forze nell’esercizio del ministero petrino». Lo si può capire: era «fiaccato da tre anni di attacchi mediatici, piegato dallo scandalo “Vatileaks”». Così, l’anziano teologo – 86 anni – ha scelto le dimissioni. Tutto calcolato? «Le disgrazie del “conservatore” Ratzinger ed il massiccio cannoneggiamento che ha indebolito i settori della Chiesa a lui fedeli, spianano così la strada ad un Papa modernista, che attui quella “Primavera cattolica” tanto agognata dall’establishment angloamericano», scrive Dezzani. «Il Conclave del marzo 2013 (durante cui, secondo il giornalista Antonio Socci, si verificano gravi irregolarità che avrebbero potuto e dovuto invalidarne l’esito), sceglie così come vescovo di Roma l’argentino Jorge Mario Bergoglio: primo gesuita a varcare il soglio pontificio, dai trascorsi un po’ ambigui ai tempi della dittatura argentina». Duro il giudizio di Dezzani: «La ricattabilità è un tratto saliente dei burattini atlantici, da Angela Merkel a Matteo Renzi». Inoltre, il nuovo vescovo di Roma «è salutato con gioia dalla massoneria argentina, da quella italiana e dalla potente loggia ebraica del B’nai B’rith, che presenzia al suo insediamento».

Lo stesso Bergoglio è un libero muratore? «Più di un elemento di carattere dottrinario, dal diniego che “Dio sia cattolico” all’ossessivo accento sull’ecumenismo, fanno supporre di sì», sostiene Dezzani. «Ma è soprattutto l’amministrazione democratica di Barack Obama e quella cricca di banchieri liberal ed anglofoni che la sostengono, a rallegrarsi per il nuovo papa». Bergoglio è il pontefice che «attua nel limite del possibile quella “Primavera Cattolica” tanto agognata (matrimoni omosessuali, aborto e contraccezione)». 

E’ il Papa che «sposa la causa ambientalista», che «fornisce una base ideologica all’immigrazione indiscriminata», che «sdogana Lutero e la riforma protestante». Ancora: è il pontefice che «sostanzialmente tace sulla pulizia etnica in Medio Oriente ai danni dei cristiani per mano di quell’Isis, dietro cui si nascondono quegli stessi poteri (Usa, Gb e Israele) che lo hanno introdotto dentro le Mura Leonine». È anche il primo Papa ad avere l’onore di parlare al Congresso degli Stati Uniti durante la visita del settembre 2015, prodigandosi per «sedare i malumori nel mondo cattolico americano contro la riforma sanitaria Obamacare».

L’ultimo clamoroso intervento di Bergoglio a favore dell’establishment atlantico, continua Dezzani, risale al febbraio 2016, quando il pontefice etichettò come “non cristiana” la politica anti-immigrazione di Donald Trump. Un «incauto intervento», che per Dezzani rivela «il desiderio di sdebitarsi con quel mondo cui il pontefice argentino deve tutto», ma c’era anche «la volontà di mettere al riparo la sua opera di “modernizzazione” della Chiesa». La vittoria di Hillary Clinton, cioè della candidata di George Soros e dell’oligarchia euro-atlantica, «era infatti la conditio sine qua non perché la “Primavera Cattolica” di Bergoglio potesse continuare». Al contrario, «la sua sconfitta ha smantellato quel contesto geopolitico su cui Bergoglio ha edificato la traballante riforma progressista della Chiesa», sostiene sempre Dezzani. «Come François Hollande, come Angela Merkel e come Matteo Renzi, Jorge Mario Bergoglio, benché vescovo di Roma, oggi non è altro che il residuato di un’epoca archiviata». Dezzani lo considera «un figurante senza più copione, fermo sul palco, ammutolito ed estraniato, in attesa che cali il sipario».

«Ultimo sussulto», da parte di Bergoglio, per «blindare la sua opera», il conferimento a tutti i sacerdoti della facoltà di assolvere dal peccato dell’aborto. A ciò si aggiunge «una terza infornata di cardinali (più di un terzo del collegio cardinalizio è ora formato da prelati a lui fedeli), così da imprimere un connotato “liberal” anche al futuro della Chiesa di Roma». Ma, per Dezzani, «è ormai troppo tardi», perché «la ribellione dentro la Chiesa alla sua “Primavera Cattolica” è iniziata». Quattro cardinali hanno di recente sollevato gravi contestazioni al documento “Amoris Laetitiae”, con cui Bergoglio ha chiuso i lavori del Sinodo sulla Famiglia, «contestazioni cui il pontefice non ha ancora risposto». E soprattutto: «Alla Casa Bianca non c’è più nessuno a proteggerlo. Anzi, c’è un presidente in pectore che, forte del voto della maggioranza dei cattolici americani, ne gradirebbe forse le dimissioni sulla falsariga di Benedetto XVI».
Un’analisi buia, estrema e sconcertante. In premessa, Dezzani la definisce “verosimile”. Poi però la sottoscrive senza più incertezze: per Bergoglio, dice, «la fine si avvicina».


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lunedì 28 novembre 2016

Spot degradanti per il "sì" del governo in carica per mantenere i privilegi acquisiti e conquistarne di ulteriori dopo il referendum

Il Partito Della vergogna



“Fino a una settimana  sapevamo che bastava un Si per curare il cancro, poi che la stessa medicina era una magica soluzione per i bambini diabetici e ora a Palazzo Chigi hanno scoperto che la stessa pillola serve anche per curare l’epatite. 

L’uso inumano e spregevole della malattia e del dramma per la campagna referendaria basterebbe  a definire il livello morale del governo, ma sarebbe insufficiente a descrivere la realtà perché le affermazioni sull’effetto taumaturgico del Sì sulla sanità italiana è una tale gigantesca bugia che nemmeno riescono a trattenersi dal dimostrare apertamente, ancor prima delle urne, la vacuità delle loro chiacchiere, come dimostra la cancellazione  dei 50 milioni per fronteggiare l’emergenza sanitaria provocata dai veleni dell’Ilva.

Questi vogliono a tutti i costi privatizzare la sanità, è chiaro come il sole anche se certamente non lo rivelano, ma è impressionante come un sistema informativo ormai al soldo, insegua ciecamente  la menzogna insita in questi spot degradanti di governo: infatti con la riforma del titolo V° si vuole far credere di voler riunificare la sanità riportando allo Stato le disposizioni generali di tutela della salute ed eliminando così le disparità. Ma in realtà questo è già previsto dalla Costituzione attuale e incarnato nei protocolli sui livelli essenziali di assistenza che stabilisce gli standard di cura. 

Al contrario la manipolazione guappo-renziana della Carta fondamentale non tocca per nulla il vero problema, ovvero lo squilibrio in termini di finanziamenti e di risorse organizzative tra le varie regioni e aree del Paese. Queste cose  dipendono invece dal governo e Renzi potrebbe farlo domani se proprio la cosa lo interessasse.

Ma se in giro ci sono delle carogne per le quali ci vorrebbe una Norimberga, fanno davvero pena i poveracci in senso morale e intellettuale che applaudono a queste enormità, che fanno finta di credere agli argomenti inesistenti, ad ogni clamorosa bugia, a quell’atmosfera maligna, incompetente, furba e ottusa rappresentata da Renzi e dai suoi ministri, si fa per dire. Il quale tra l’altro, mentre chiede riforme per la governabilità utilizzando gli argomenti che abbiamo visto, lascia trasparire in un modo palese la sgovernabilità democratica di cui è portatore, ovvero tutto il retroterra di affari, di menzogne, di piduismo, di voto di scambio, di gestione autocratica grazie all’occupazione del parlamento, di totale subalternità tranne che nell’assegno di mantenimento politico che lui e la sua banda si sono dati. 

Il tutto incartato nell’albagia cretina  dei politogi alla Cazzola che addirittura chiede  il colpo di stato dei carabinieri in caso di sconfitta. Fa pena il partito del guappo che con suprema irresponsabilità ha portato il paese allo scontro e dunque al baratro, scambiando le proprie convenienze di poltrona e di tangente con quelle della comunità nazionale, stracciando il patto sociale.

Così è fin troppo chiaro che qualora vincesse il Si, il Paese finirebbe per spaccarsi completamente e in maniera molto più radicale e profonda che all’epoca di Berlusconi, portando al disastro anche economico e spero vivamente anche molti culi al caldo del sì.   

Solo una vittoria netta del No potrà evitare questo baratro, non solo salvando la Costituzione, ma anche sconfessando un Parlamento formatosi in base a una legge elettorale dichiarata anticostituzionale e tutte le deiezioni viventi o semi viventi come certi emeriti, che ha creato nel frattempo”. (*)

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(*) fonte Simplicissimus  

domenica 27 novembre 2016

L'islam fondamentalista porterà alla fine del mondo... secondo un report vaticano


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L' islam fondamentalista potrà portare il mondo sull' orlo di una
catastrofe totale. La previsione non appartiene al solito scenario
dietrologico catastrofista, appunto, oppure alle dichiarazioni di
folli intolleranti. È invece quello che si legge nel Rapporto sulla
libertà religiosa nel mondo 2016, curato dall'associazione pontificia
Aiuto alla Chiesa che soffre. I numeri e le testimonianze presentati
dal voluminoso rapporto parlano chiaro. Ma ancora più chiara è la voce
di padre Jacques Mourad, che ha scritto la prefazione del libro. Il
religioso era stato rapito in Siria da guerriglieri dell' Isis il 21
maggio 2015 e tenuto prigioniero a Raqqa, la città che il Califfato si
è scelto per «capitale». Per 83 giorni il sacerdote ha vissuto con l'
idea di poter morire da un momento all'altro. Ora scrive: «Il nostro
mondo vacilla sull'orlo della completa catastrofe, dal momento che
l'estremismo minaccia di spazzar via tutte le tracce della diversità
dalla nostra società. Ma la religione ci insegna il valore della
persona umana, il bisogno di rispettarci l' un l' altro come un dono
di Dio».

Dal Rapporto, che prende in esame il periodo giugno 2014-giugno 2016,
in 23 Paesi ci si rende colpevoli di totali e violente violazioni del
diritto alla libertà religiosa. In 7 Paesi (Iraq, Arabia Saudita,
Somalia, Corea del Nord- maglia nera in assoluto, Nigeria del sud,
Afghanistan, Siria) le violenze sono talmente gravi, efferate, da non
poter neppure essere inquadrate in ulteriori categorie nonostante gli
aggravamenti. Ma il fenomeno allarmante è proprio quello legato alle
violenze a sfondo religioso, descritto come «iper-estremismo
islamico», di progressiva radicalizzazione, che si diffonde e colpisce
senza confini e usa i social per reclutare nuovi adepti, con livelli
di crudeltà che non hanno precedenti. Che appunto, come scrive padre
Mourad, hanno un impatto devastante sul mondo intero.

Concetto rimarcato alla presentazione del Rapporto l’altra settimana a
Roma, con Alfredo Mantovano e Alessandro Monteduro, rispettivamente
presidente e direttore di ACS-Italia, il cardinale Mauro Piacenza,
Giuliano Amato, nella sua veste di giudice della Corte Costituzionale,
Marco Tarquinio, direttore di Avvenire. E soprattutto la testimonianza
di monsignor Jacques Behnan Hindo, arcivescovo siro-cattolico della
diocesi di Hassakè in Siria, per intenderci, dove si trova Raqqa. Il
vescovo ha usato parole molto dure e chiare: «L' islam moderato non
esiste, lo pensate solo voi in Occidente. Quando l' islam diventa
debole accetta ogni cosa, quando è forte azzera ogni differenza. Non
accetta il confronto. Certo, capisco che bisogna convivere. Ma la
verità non si può nascondere». Tuttavia, riconosce monsignor Hindo, in
riferimento alla Chiesa, «Roma per noi fa quello che può. E io mi
sento comunque il vescovo di tutti, nella mia terra. Assolvo perfino
alle funzioni di sindaco, cerco di tenere le strade pulite...».

Caterina Maniaci


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giovedì 24 novembre 2016

Ritiro della patente cristiana a chi non accoglie clandestini in casa propria



MEMENTO HAEC OPINIO LIBERE COGITATA EST QVI NESCIT AVT TIMET ABHORRERE POTEST SED NVLLA HYSTERICA PASSIO ACCIPIENDA EST

ULTIME PERENTORIE DICHIARAZIONI EX SEDICENTE FACENTE FUNZIONE VESCOVO ROMA BERGOGLIO PRESCRIVONO MODALITA’ INTIMIDATORIA CATECHISMO BASSA LEGA NON POTERSI NESSUNO FREGIARE APPELLATIVO CRISTIANO QUALORA NON SUPINAMENTE PRONO ACCOGLIENZA INCONDIZIONATA SPESE PROPRIE QUALUNQUE INDIVIDUO PRESENZA NON RICHIESTA INTRODOTTOSI PRODITORIAMENTE TERRITORIO STATO ITALIANO COMPLICITA’ MARINA MILITARE ANTI ITALIANA ET PRETENDENTE PERTANTO MANTENIMENTO TEMPO INDETERMINATO CONTO CONTRIBUENTE ITALIANO STOP RISULTA ERGO SECONDO LOGICA SOPRA ESPOSTA TALE RITIRO PATENTE CRISTIANITA’ COMPORTARE INEVITABILMENTE AUTOMATICO DECADIMENTO OBBLIGO COGENTE VERSAMENTO QUOTA OTTO PER MILLE EX PARTE COLORO OGGETTO REVOCA PATENTE CRISTIANITA’ SOPRA INDICATA MODALITA’ ASSETTO VARIABILE STOP

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Commento di Giorgio Vitali:

"Cogliendo la proposta di Buonconte Montefeltro anch'io sostengo la necessità di NON gratificare (non lo faccio da tempo) la chiesa abusivamente cristiana ROMANA del contributo dell'8 x 1000. Laudetur Priapus!"

martedì 22 novembre 2016

Una riforma "altra", diversa da quella di renzi


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Se Renzi non fosse un burattino nelle mani del potere finanziario e delle
burocrazie europee, non si sarebbe mai sognato di progettare una riforma
costituzionale: avrebbe continuato a giocherellare con la sua immagine, con
l’album delle sue figurine. Invece, gliel’hanno ordinato, e lui obbedisce.
Penso che nemmeno questa volta la riforma passerà – a meno di clamorosi
brogli: hanno assoldato legioni di scrutatori “embedded” – poiché il popolo
italiano è stanco e sfiduciato, e non è scorretto “vendicarsi” sul
referendum, poiché quando le leggi elettorali sono delle truffe
incostituzionali, si combatte come si può, anche a suon di sberleffi
(pensate cos’hanno fatto gli americani ad Hillary!).*

*Eppure, una riforma del Parlamento e delle amministrazioni periferiche
sarebbe necessaria: siamo certi che, se il popolo avvertisse davvero che si
tratta di una consultazione (e non di un voto basato su ricatti e frustate,
come al solito) risponderebbe diversamente, poiché gli italiani – almeno in
larga parte – non sono degli stupidi. Proviamoci va, tanto siamo certi che
non ci ascolteranno mai, ma qualcuno che ascolta ci sarà, ed a noi basta.*

*Gli scopi di una vera riforma devono essere due: risparmi sui costi
inutili ed una maggior efficienza verso i cittadini, cosa fattibilissima e,
proprio nello spirito del dibattito democratico che Renzi non attua, il
quadro che seguirà spero che servirà come base di discussioni, ovviamente
motivate.*

*Il Parlamento*

*Fino al 1990 (circa) il sistema era bloccato dalla Guerra Fredda e dalla
divisione in blocchi: Camera e Senato erano delle fotocopie, e dunque il
sistema reggeva, anche se era inutilmente duplicato. Oggi, siamo al
parossismo: per composizione, sono quasi due diversi parlamenti e ciò
deriva da leggi elettorali sconsiderate. In questo quadro spadroneggiò un
Presidente-padrone – Napolitano – ed oggi regge solo per la presenza del
muto Mattarella: la “riforma” l’hanno già attuata e il Parlamento non conta
più niente, il vero potere è del governo, grazie all’uso sconsiderato del
decreto-legge. Non servono due Camere, né serve creare una camera dedicata
alle amministrazioni locali, poiché – inevitabilmente – entrerebbe in
conflitto con la camera “nazionale”. Piuttosto, serve una Camera che lavori
e, per lavorare bene, ha bisogno del costruttivo apporto della Corte
Costituzionale e di un Presidente dotato di parola: doppia lettura per ogni
legge, inframmezzata da un’analisi dei costituzionalisti – per evitare di
avere parlamenti e leggi incostituzionali, come oggi avviene – quindi
recepire, nella seconda lettura, i “paletti” costituzionali e valutare
anche le note a margine, non obbligatorie. In circa sei mesi una legge
sarebbe pronta: una buona legge, che non sarebbe necessario emendare il
giorno dopo, soprattutto se si tornasse a legiferare per comparti omogenei,
non inserendo un comma sugli allevamenti di mucche da latte nella riforma
dell’esame di maturità. Sui numeri e sugli eletti del Parlamento, torneremo
dopo.*

*Le Regioni*

*Fino al 1980 circa, le Regioni non esistevano: inserite nel 1970, solo
dopo un decennio iniziarono a far sentire il loro peso. Quasi sempre
funesto. Proprio ieri sera parlavo con un funzionario regionale, il quale
mi confessava che le Regioni – pur dovendo amministrare vasti territori –
sono schiave di una incommensurabile forza centripeta. Se il 100% vige a
Milano, a Brescia è soltanto più un 50%, mentre in Valcamonica quasi si
perdono le opportunità, le notizie…pur vivendo nel Web 3.0. Inutile: ogni
livello cerca d’ottenere qualcosa per sé, per la propria parte politica o
affaristica (spesso multi-partitica) ma, soprattutto, sul proprio
territorio. Ovvio che il territorio dove sorge il capoluogo è il più
avvantaggiato: ne abbiamo visto i frutti, in termine di malaffare, sotto
tutti i cieli. Sinceramente, non riesco a trovare un solo vantaggio, una
sola opportunità in più offerta dalle Regioni, anche se tutte fossero
equiparate a quelle autonome. E’ il sistema che non funziona: le Regioni
hanno canali diretti con l’UE e li adoperano per dirottare fondi destinati
verso l’occupazione e la piccola impresa verso i vari carrozzoni
controllati dalla politica. In questo senso, sono un vero e proprio danno:
l’unica soluzione è gettare via il bambino insieme all’acqua sporca, senza
ripensamenti.*

*Le Province*

*Siamo giunti al parossismo: dopo avere strombazzato ai quattro venti
l’eliminazione delle Province, nel 2016 si sono tenute – lo dico per coloro
che non se ne sono accorti – le Elezioni Provinciali. Elezioni di “Secondo
livello”, le chiamano, ovverosia i sindaci ed i consiglieri comunali votano
una sorta di Presidente della Provincia con gli assessori – senza
emolumenti, per carità! (e i gettoni di presenza? A quanto ammontano?) – i
quali avranno il compito…di gestire l’azzeramento delle Province! Per
quando? Non si sa: immaginiamo non prima del 2050… Se volete, leggete il
mio ultimo articolo e capirete che razza di sordida cloaca siano diventate
le amministrazioni provinciali “rinate”: non per questo, però, l’impianto
napoleonico è da buttare. Per come stanno le cose oggi, però, c’è da
buttare il bambino, l’acqua del bagnetto e spaccare pure la vaschetta.*

*I Comuni*

*Non so da quanto tempo non vi recate in Comune: non un grande Comune,
cittadine di qualche migliaio d’abitanti o poco più. Un tempo, c’erano un
paio d’impiegati all’anagrafe, il vigile od il messo, un’impiegata
all’amministrazione, il geometra, il segretario o poco più. Osservate oggi.
Decine e decine di persone che volteggiano, girano, salgono e scendono
scale, cercano qualcuno, telefonano, fotocopiano, consultano, lavorano al
computer…ma cosa fanno? Il lavoro glielo trovano – sicuro – con tutto
l’ambaradan di nuove leggi e leggine che mutano ogni mese…ma…a cosa serve
tutto quello sciame di api operaie ronzanti? In fin dei conti, e mi
dispiace dirlo per chi crede di svolgere un’attività socialmente utile,
servono a mantenere una base elettorale sicura, tramite il favore, la
raccomandazione, il posto sicuro. Per questa ragione i Comuni hanno piante
organiche sempre più ampie.*

*In Italia, ci sono quasi 10.000 comuni. Una decina sono città di rango
internazionale, altre duecento circa hanno importanza nazionale poiché sedi
d’industrie, città d’arte, snodi ferroviari, porti, località turistiche,
ecc. Circa 9.000 Comuni sono, in gran maggioranza, borghi agricoli dove
l’agricoltura sta morendo per mancanza…d’agricoltori! A differenza della
Francia e della Germania – che hanno pressappoco un agricoltore sotto i 35
anni contro un altro 65enne, un rapporto di sostituzione di 1:1 – in Italia
il rapporto è di 8:1, ossia 8 vecchi per un giovane. Inutile ricordare che,
ogni anno che passa, si riducono le superfici coltivate ed i boschi
avanzano, inesorabili: ciò è dovuto, principalmente, alla mancanza d’idee,
poiché le idee fanno impresa, generano ricchezza. E, non dimentichiamo, la
ricchezza – sia essa legno o grano, oro o pirite – si trova nel territorio,
non in piazza Navona.*

*L’ampiezza di un Comune non supera le decine di chilometri quadri: estrema
frammentazione del territorio (per ragioni storiche), fra i più densamente
popolati del pianeta. Oltre il confine, segnato a volte da un fiume, altre
da un semplice cartello affisso nella pianura c’è un altro Comune, magari
differente per Storia e monumenti, ma identico per territorio, per bisogni,
per possibilità. Il Comune, oggi, non ha fondi da destinare a nulla, se non
alla propria sopravvivenza: le frane richiedono anni di lavoro, perché
bisogna aspettare che la Regione stanzi, che la Provincia approvi…e così
via. E le transenne restano, perché i fondi devono andare al sostegno
elettorale, che gli frega a loro se noi bestemmiamo, fermi al semaforo
della frana.*


*Un tentativo di riunire più Comuni, per lo più accanto ad aree urbane, fu
portato a termine durante il Fascismo, ma non in molte realtà: l’esempio
genovese è forse il più “classico” come esempio, laddove i comuni di
Voltri, Pegli, Sestri, Pra, Nervi…eccetera…divennero la “grande” Genova.
Nessuno, però, ha mai immaginato di riunire più Comuni distanti da una
città in realtà amministrative autonome, realtà omogenee per territorio ed
attività economiche: un’intera vallata, ad esempio, oppure una porzione di
pianura fra due fiumi. Cosa porterebbe?*

*Quanto costano oggi*

*Ogni lavoratore o pensionato paga, annualmente, circa 700 euro per le
amministrazioni locali (Regioni e Comuni): siccome gli occupati sono 22
milioni 498 mila ed i pensionati 15,8 milioni (fonte: ISTAT), paghiamo per
queste istituzioni circa 26 miliardi l’anno. Cifre da legge Finanziaria:
tanto per fare un paragone, il governo Renzi ha stanziato, quest’anno, 7
miliardi per le pensioni, che è uno dei maggiori stanziamenti dell’attuale
legge. Ma non finisce qui. Mancano le Province, che si approvvigionano
tramite una quota sulle assicurazioni auto più le onnipresenti multe,
diventate un vero cespite anche per i Comuni: ci sono Comuni che
inseriscono nel bilancio di previsione la quota percentuale di quanto
dovranno aumentare nell’anno successivo! Il “crimine” previsto,
quantificato e tollerato. Bolli, tasse, addizionali, TARES, TARSU, TOSAP…è
difficilissimo stimare quanto costano queste amministrazioni, poiché – ad
esempio – in quello delle Regioni c’è da conteggiare la Sanità, in quello
delle (ex?) Province gli interventi di manutenzione delle scuole…qualcuno
ipotizza addirittura un costo totale di 90 miliardi l’anno…ma non ci sono
cifre certe…è proprio necessario?*

*Premetto che le ipotesi che seguiranno sono pensate per l’attuale
situazione, vale a dire la presenza dell’UE anche se, personalmente, credo
che uscire dall’Europa e dall’Euro sarebbe la prima e più necessaria
medicina: non perché un impianto europeo sia disdicevole, ma nelle mani di
questa gente – e per come è stato pensato e realizzato – è una vera
iattura.*

*Ipotesi di discussione*

*Accorpando in gruppi di 15-20 Comuni i circa 9.000 piccoli comuni
italiani, si otterrebbero 450-600 unità territoriali – Comunità, Distretti,
Comprensori, Dipartimenti, mini-province…chiamateli come desiderate – le
quali avrebbero a disposizione (osservando le attuali piante organiche)
almeno 100-200 dipendenti fra impiegati, operai, vigili, ecc, quali
sarebbero i vantaggi? Venti cantonieri che spingono una carriola
raggiungono gli stessi obiettivi di venti cantonieri – provvisti dei
necessari macchinari – che riparano una frana? Od una perdita d’acqua?
Oppure tagliano alberi caduti? Lo stesso dicasi per gli impiegati, i
vigili, ecc: si potrebbero ottenere non dei risparmi di scala, bensì dei
vantaggi di scala. Senza dimenticare che, per gli aspetti amministrativi,
già oggi (vedi Germania) è possibile inviare e ricevere documenti via
Internet, comodamente da casa.*


*Ogni Comunità avrebbe un Consiglio ed un Presidente, ed eleggerebbe un
parlamentare ogni cinque anni: una sola giornata elettorale ogni 5 anni,
fine delle elezioni ogni anno. Se ci pensate, la pratica delle elezioni
“frazionate” è soltanto una necessità degli attuali partiti: quella di
controllare continuamente i rapporti di forza. I costi delle elezioni? E
che gliene importa a loro? Nei vecchi Comuni rimarrebbero un modesto
ufficio per le pratiche più comuni: anagrafe e poco altro e le Pro Loco,
organismi nati dal basso dove si creano, con la sperimentazione per la
valorizzazione del territorio, i futuri amministratori e politici. I comuni
di “cintura” alle grandi città diventerebbero quartieri della città stessa,
ovviamente.*


*Ogni Comunità dovrebbe essere dotata di una piccola astanteria (10-15
posti letto) per le emergenze, mentre la Sanità “maggiore” – i grandi
ospedali – tornerebbero sotto lo Stato: riflettiamo che, prima della
riforma, mantenevamo un Poggiolini (l’ispettore dei farmaci con i lingotti
d’oro sotto il divano), oggi ne manteniamo venti, uno per Regione.
Inserendo come capoluogo la cittadina più grande e popolosa, le scuole già
ci sarebbero: sarebbe poi compito delle amministrazioni occuparsi di
completare gli iter formativi, secondo le esigenze. Molto importante creare
una giustizia locale per il “piccolo cabotaggio”: incidenti di varia
natura, piccoli furti, sfratti, separazioni, confini, ecc. lasciando i
compiti più difficili, le inchieste ecc. nelle mani dei giudici nei grandi
tribunali: tornerebbe, rivisitata, la figura del pretore, giudice
monocratico e, nella nuova riforma, unico grado di giudizio (al massimo, un
ricorso ad un altro pretore). La giustizia spicciola, grosso modo, funziona
così in Gran Bretagna.*


*Dal punto di vista fiscale, sarebbe necessario un ribaltamento delle
attuali prassi: stabiliti i costi generali dello Stato (ossia Difesa,
Giustizia, Sanità, Scuola) – anno per anno, e dando potere esecutivo alla
Corte dei Conti di limitare gli “incrementi” – tutte le altre entrate
rimarrebbero alla Comunità. In questo modo, le Comunità avrebbero fondi
propri per gli investimenti sul territorio, oppure potrebbero optare per un
ridimensionamento del prelevo fiscale. Le grandi città, all’opposto,
vedrebbero frazionata la loro gestione: pur mantenendo un Consiglio
Comunale (per il controllo e la supervisione generale), il vero potere
(ossia i soldi) andrebbero nelle mani delle Circoscrizioni, ovvero dei
quartieri, in base alla popolazione residente. In questo modo, non ci
sarebbero più quartieri poco popolati che fanno la parte del leone e
quartieri-dormitorio che si dividono le briciole. Anche in questo caso,
vigerebbe il federalismo fiscale sopra esposto, mentre tutte le leggi
elettorali sarebbero proporzionali, senza nessun premio di maggioranza e
con uno sbarramento al 3%.*

*Il nuovo Parlamento*


*Il Parlamento, rimasto unica camera di rappresentanza, dovrebbe lavorare,
e parecchio. Una settimana lavorativa di cinque giorni (Lunedì-Venerdì),
non come oggi (Martedì-Giovedì): per contrappeso, la quarta settimana del
mese rimarrebbe chiuso, cosicché i parlamentari possano tornare nei collegi
ed ascoltare le novità, le richieste, i bisogni…partecipando, in veste
d’uditori, alle riunioni del Consiglio di Comunità. Oltre al referendum
abrogativo – senza quorum (c’è forse un quorum per le elezioni?) – sarebbe
necessario il referendum propositivo: 500.000 firme, ma un anno di tempo
per raccoglierle, ed il parlamento sarebbe obbligato ad esaminarlo subito,
non infilarlo nel cassetto “ricordi e depositi” come fanno per le leggi
d’iniziativa popolare. Sarebbero da riformare anche i regolamenti
parlamentari, l’abuso del decreto-legge nella formazione delle leggi e
molto sulla Giustizia, ma sono argomenti che esulano da questa trattazione.*

*Conclusioni*

*A qualcuno sembrerà l’uovo di Colombo, ad altri un sistema irrealizzabile,
ad altri ancora una schifezza: provate a ragionare, io propongo un sistema
che dimezza i costi centrali e sopprime due amministrazioni locali su tre.
Carlo Bertani - http://carlobertani.blogspot.it  - http://carlobertani.blogspot.it

sabato 19 novembre 2016

Cominciamo a tremare - Donald Trump promette di scardinare l'accordo sul nucleare con l'Iran (per accontentare israele)


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Avevo scritto della disfida elettorale tra Trump e Clinton che si trattava di scegliere tra la padella e la brace, ed infatti ora si sente il rossore delle braci coperte del vincitore Trump che cominciano ad abbrustolire le carni dei nemici di sion. 

Come si poteva sperare che l'America si convertisse e la smettesse  nella sua politica predatoria, come si poteva sperare che tra la Clinton venduta ai sionisti ed ai mercanti di armi ed il Trump che ha promesso ad Israele di fare di Gerusalemme la capitale riconosciuta, potesse esserci una qualsiasi differenza nella politica estera?   

Nella sequenza di aggressioni agli stati islamici che infastidivano israele, dopo aver distrutto l'Iraq, la Libia e la Siria, manca solo l'Iran ed il suo tempo ora sembra arrivato... Israele non ha mai nascosto l'intenzione di aggredire l'ostile suo vicino, che non accetta l'invasione  e la martirizzazione del popolo Palestinese perpetrata dall'ente sionista.  

Alla prima buona occasione sion avrebbe fatto tutto da solo  ma ora con Trump al potere  Netanyahu può agire, come è sua abitudine, per interposta persona (per non sporcarsi le mani)... A fare il lavoro sporco ci penserà il nuovo capo della CIA designato da Trump: Mike Pompeo. Egli prima ancora di salire sulla cadrega ha già dichiarato che la sua finalità è quella di scardinare l'accordo sul nucleare siglato  tra Iran ed  Obama.  

Riporta il Weekly Standard: "Mike Pompeo,  il parlamentare che Trump  ha designato a capo della Cia, parlamentare  repubblicano,  ha uno scopo nella vita: “Non vedo l’ora di smantellare questo accordo disastroso con il più grande Stato sponsor del terrorismo del mondo”. Riferendosi all’accordo sul nucleare, concluso da Obama. 

Paolo D'Arpini



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Articolo collegato:

The election of Donald Trump signals bad news for the Iran nuclear deal, Barack Obama's signature foreign policy initiative. Calling it "the worst deal ever negotiated," the author of The Art of the Deal has threatened to tear up the Joint Comprehensive Plan of Action on day one of his presidency.

Supporters of the agreement and Obama allies warn that shredding the deal will only benefit Iranian hardliners, the very people it was supposed to restrain. "The big winner in the aftermath of a Trump victory is Iran's Supreme Leader," Suzanne Maloney, an Iran expert at the Brookings Institution, told Reuters. Ali Khamenei, she explained, "will be able to walk away from Iran's obligations under the JCPOA while pinning the responsibility on Washington."

Well, it's true that the nuclear agreement is in big trouble, but Trump's election has little to do with it. Indeed, the agreement would likely have collapsed under a Hillary Clinton administration as well. The problem, as the commander in chief-elect correctly noted, is the deal itself. And that's why the Obama administration has gone to extraordinary lengths to protect its "achievement"—by bribing Iran, drumming up business for the clerical regime, blocking Congress from imposing non-nuclear sanctions, and turning a blind eye to Iranian violations of the deal.

Last week, Iran was again in violation of the JCPOA. According to a report from the International Atomic Energy Agency (IAEA), Iran exceeded the deal's threshold for heavy water, a material used in the production of weapons-grade plutonium. The White House acknowledged Iran had exceeded the limit and then, bizarrely, praised the regime for its forthrightness in "making no attempt to hide" the violation. In other words, the Obama administration is not just protecting the nuclear agreement, but also rationalizing the Iranian regime's violations of it. All that needs to happen for the deal to fall apart is for the Trump White House to do what the Obama administration has refused to do—enforce its provisions.

The history of the agreement shows a series of deceptions by the Obama administration. Just to keep the Iranians at the negotiating table, the White House bribed Tehran. Every month from January 2014 through July 2015, when the JCPOA was signed, the administration facilitated the transfer of $700 million to Iran from its frozen escrow account in the United States.

Since the deal was signed, the administration has given Iran more money to persuade it not to walk away. Among other sums, the White House paid Iran $8.6 million for 32 tons of heavy water after it was found to have exceeded the threshold stipulated in the agreement last February. The purpose was to protect the deal—even as it gave Iran an incentive to keep overproducing heavy water as a revenue earner.

Most spectacularly, the administration paid Iran $1.7 billion in ransom for four Americans illegally detained by the clerical regime. Iran is holding at least two more American citizens hostage and reportedly demanding money in exchange for their release, a deal the current administration will almost surely make in order to keep Iran from trashing Obama's prize foreign policy win. If the Trump White House simply stops bribing Iran, the regime will walk away from the deal.

To justify inking the agreement with Tehran, the Obama administration contended that the sanctions regime was about to collapse. We couldn't keep our European and Asian allies on board much longer, claimed White House officials. Iran was such a promising market and everyone around the world was in such a hurry to get back in that we had to get a deal signed before sanctions started to backfire.

As it turns out, European and Asian banks and corporations have proven very reluctant to do business with Iran. Why? Because unlike the Obama administration, private industry stakes its own money, not that of the American taxpayer. Global financial institutions and companies were concerned that a post-Obama White House might reimpose sanctions, thereby putting their investments at risk. More important, CEOs realized that dealing with a state sponsor of terror developing a nuclear weapon and at war throughout the Middle East was a risky investment, regardless of who sits in the Oval Office.

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Nota integrativa - Il testamento di Gheddafi:

In nome di Allah, il Benevolo, il Misericordioso ...Per 40 anni, o magari di più, non ricordo, ho fatto tutto il possibile per dare alla gente case, ospedali, scuole, e quando aveva fame, gli ho dato da mangiare convertendo anche il deserto di Bengasi in terra coltivata.Ho resistito agli attacchi di quel cowboy di nome Reagan, anche quando uccise mia figlia, orfana adottata, mentre in realtà cercando di uccidere me, tolse la vita a quella povera ragazza innocente.Successivamente aiutai i miei fratelli e le mie sorelle d’Africa soccorrendo economicamente l'Unione africana, ho fatto tutto quello che potevo per aiutare la gente a capire il concetto di vera democrazia in cui i comitati popolari guidavano il nostro paese; ma non era mai abbastanza, qualcuno me lo disse, tra loro persino alcuni che possedevano case con dieci camere, nuovi vestiti e mobili, non erano mai soddisfatti, così egoisti che volevano di più, dicendo agli statunitensi e ad altri visitatori, che avevano bisogno di "democrazia" e "libertà", senza rendersi conto che era un sistema crudele, dove il cane più grande mangia gli altri.Ma quelle parole piacevano, e non si resero mai conto che negli Stati Uniti, non c’erano medicine gratuite, né ospedali gratuiti, nessun alloggio gratuito, senza l’istruzione gratuita o pasti gratuiti, tranne quando le persone devono chiedere l'elemosina formando lunghe file per ottenere un zuppa; no, non era importante quello che facevo, per alcuni non era mai abbastanza.Altri invece, sapevano che ero il figlio di Gamal Abdel Nasser, l'unico vero leader arabo e musulmano che abbiamo avuto dai tempi di Saladino, che rivendicò il Canale di Suez per il suo popolo come io rivendicai la Libia per il mio; sono stati i suoi passi quelli che ho provato a seguire per mantenere il mio popolo libero dalla dominazione coloniale , dai ladri che volevano derubarci.Adesso la maggiore forza nella storia militare mi attacca; il mio figliuolo africano, Obama, vuole uccidermi, togliere la libertà al nostro paese, prendere le nostre case gratuite, la nostra medicina gratuita, la nostra istruzione gratuita, il nostro cibo gratuito e sostituirli con il saccheggio in stile statunitense, chiamato "capitalismo", ma tutti noi del Terzo Mondo sappiamo cosa significa: significa che le corporazioni governano i paesi, governano il mondo, e la gente soffre, quindi non mi rimangono alternative, devo resistere. (Muhammar El Gheddafi, testamento politico ).

Tarquinia - Comitati uniti nel chiedere la modifica del tracciato della Trasversale voluto dall’ANAS e la riapertura della ferrovia Civitavecchia Capranica Orte


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Si è svolta a Tarquinia una interessante riunione per mettere a punto le iniziative da prendere al fine di far cambiare la scelta del tracciato per la costruzione della Trasversale stradale che l’Anas pretende costruire nella valle del Mignone. L’ANAS  infatti non ascolta nessuno tanto meno i cittadini che non vogliono sia distrutta un’area agricola produttiva. L’ANAS intende continuare l’opera dai costi ambientali ed economici incalcolabili, anche contro il comitato per la Valutazione d’impatto ambientale che vorrebbe la modifica del percorso.
Nel  complimentarci  con gli organizzatori, per l’organizzazione dell’evento, per la esposizione storica della vicenda trasversale, per gli interventi tutti e per le conclusioni tratte da Marzia Marzoli,  che rilevano l’amore che questi hanno per il territorio, vogliamo rimarcare purtroppo l’assenza dei rappresentanti delle istituzioni e dei politici, forse in altre faccende affaccendati.
Abbiamo notato anche in alcuni dei presenti, una rassegnata disperazione per il fatto di non essere ascoltati dalle istituzioni e per la presunzione dell’ANAS di voler fare ciò che vuole del territorio.
A tutti i componenti del comitato vogliamo dire: “Non ci si può rassegnare; la lotta democratica è sempre dura, perché di fronte si ha una controparte che ha il potere di decidere e spesso prova a mettere in atto manovre che non tengono in debito conto le istanze della gente, con questo svuotando la democrazia della sua sostanza vitale.
La vostra è una battaglia importante e va combattuta fino alla fine. Siete dalla parte della ragione e la vincerete, anzi la vinceremo insieme perché vogliamo esservi vicini. Se uniamo le  forze che abbiamo, ci riusciremo”.
La programmazione dello sviluppo di un territorio infatti deve essere a 360°, a tutto tondo, deve
considerare cosa offre il territorio in senso di viabilità e di ferrovie, deve considerare il valore dell’esistente agricoltura, beni ambientali e culturali ed una nuova opera deve essere il risultato di una analisi precisa. Se così il potere politico facesse si comporterebbe diversamente: la distruzione di ambiente verrebbe scongiurata,  la valutazione sul percorso della superstrada sarebbe molto più attenta, le infrastrutture ferroviarie esistenti sarebbero tenute in conto.
Anche la politica allora comprenderebbe che il trasporto merci deve essere fatto attraverso le ferrovie e non sulle strade e quindi si impegnerebbe seriamente per la riapertura della ferrovia Civitavecchia  Capranica Orte e si accorgerebbe che non serve stravolgere il territorio con una grande arteria che non rispetta l’ambiente e basterebbe la sistemazione e messa in sicurezza dell’Aurelia bis che può regalare maggiore turismo.
  
Raimondo Chiricozzi Referente per la provincia di Viterbo 
ASSOCIAZIONE ITALIANA CULTURA E SPORT – COMITATO PROVINCIALE VITERBOTel 0761652027 – 3683065221 – 3894440387 www.cafevirtuel.it Email: viterbo@aics.it
Via Valle Piatta 9 - 01100 Viterbo – Via Resistenza 3 - 01037 Ronciglione VT


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