mercoledì 8 gennaio 2025

"Groenlandia o morte!" - Nello specifico...

 

(La foto l'ho chiesta a Grok, l'IA di Twitter, con la didascalia "Trump sbarca in Groenlandia accolto dalla folla felice". La folla non pare felice, e ci sono i pinguini. C'è ancora molta strada da fare).


Affermazioni roboanti fatte con la faccia di chi sta lì per caso e post e meme da crisi diplomatica fanno parte della strategia dell'imprevedibilità che Trump coltiva molto attentamente, una riedizione postmoderna della "madman theory" di Nixon (che portò il mondo sull'orlo di un conflitto nucleare nell'ottobre del 1969 con l'esercitazione "Giant lance" che simulava un'attacco di 18 B-52 all'URSS, esercitazione di cui l'opinione pubblica statunitense, che magari avrebbe avuto qualcosa da ridire, non fu informata che nel 2002, e noi con loro. Per nostra buona sorte i sovietici interpretarono correttamente il tutto come un bluff e non fecero ciò che pure avrebbe avuto senso fare, ovvero lanciare i loro missili prima che i bombardieri lasciassero andare le loro bombe). E quindi anche le frasi su Panama, Canada e Groenlandia rientrano nell'ambiguità del personaggio, e non sai se sottovalutarle o preoccuparti (e chiederti malignamente come Di Feo, Iacoboni e compagnia cantante coprirebbero una guerra tra USA e Danimarca. Una mezza idea ce l'ho). La questione della Groenlandia, però, non è assolutamente una boutade perché è solo l'ultimo atto di una complessa partita che Danimarca, governo groenlandese, Cina e USA (e c'è di mezzo anche l'Australia) stanno giocando già da parecchi anni e della quale, manco a dirlo, a nessuno è mai importato un ciufolo finché non siamo all'improvviso caduti dal pero.
In primis, a comprarsi la Groenlandia gli USA ci provano dall'800, anche perché per la dottrina Monroe è roba loro. Durante la seconda guerra mondiale l'hanno occupata con un escamotage, facendovi sbarcare reparti della Guardia Costiera "liberati dal servizio", che quindi formalmente agivano da volontari non legati al governo statunitense, e poi accordandosi con il governo danese in esilio. Il 27 aprile 1951 venne firmato l'accordo che consentiva agli USA, in caso la Danimarca non fosse in grado di farlo da sola (spoiler: ovviamente non lo era né ne aveva l'intenzione) di costruire ed equipaggiare basi militari e di ricerca che diventavano, in sostanza, basi esclusivamente statunitensi (il testo del trattato è al link 1, gli articoli importanti sono il 2, 7, 8, 9, 11). Vista l'importanza strategica dell'isola (è un'ottima base per il rilevamento degli ICBM che dalla Russia andrebbero, in caso di conflitto, verso il Nordamerica) di basi ne vennero costruite una cinquantina, da quella grandissima di Thule a piccoli centri meteo, e vennero tutte smantellate alla fine della guerra fredda, tranne Thule che ora si chiama, in ossequio alla lingua locale, Pituffik. Il trattato però è ancora valido e nulla osta a che gli USA ne costruiscano, se vogliono, 500: per cui la questione del possesso dell'isola non ha davvero a che fare con la sicurezza degli USA, come dice invece Trump. Anche la questione del contrasto alla rotta artica che la Russia sta sviluppando nelle sue acque è molto relativa. A differenza degli USA, del Canada e della Groenlandia, la Russia ha già mezzi e infrastrutture per farla funzionare mentre i "competitors" dall'altra parte del mar glaciale artico (che per l'Organizzazione Internazionale idrografica è in realtà un oceano) dovrebbero partire sostanzialmente da zero.

Resta quindi una questione molto più materiale e prosaica, materie prime e terre rare di cui la Groenlandia pare essere abbastanza dotata.
E qui entrano in gioco, appunto, gli altri attori: la complessa dinamica tra Danimarca e Groenlandia, con l'isola che sempre più dà segni di insofferenza e un partito indipendentista che aumenta sempre di più la sua influenza, e l'irruzione della Cina non solo nel settore minerario ma anche in quello delle infrastrutture con conseguente reazione statunitense. Il governo locale ha sempre fatto di tutto per attirare investimenti esterni e la visita di Hans Enoksen (allora capo del governo locale) a Pechino nel 2005 ha dato il via a una serie di investimenti cinesi ai quali si deve circa l'11% del PIL groenlandese (ne parlava l'Economist in un articolo stranamente quasi bilanciato, link 2). Sarebbe molto di più se, dalla metà degli anni '10, gli USA non avessero iniziato a boicottare attivamente le nuove proposte commerciali tra Groenlandia e Cina, facendo pressione sulla Danimarca. Nel 2017 (link 3), appunto per non rovinare i buoni rapporti tra Danimarca e Stati Uniti, non è stato consentito l'acquisto di base navale in disuso a una compagnia mineraria cinese, e nel 2018 Washington ha "convinto" la Danimarca a entrare di gran carriera (con i soldi dei contribuenti danesi, non certo statunitensi...) nel progetto di sviluppo dei tre aeroporti civili della Groenlandia prendendo il posto della compagnia cinese che si era assicurata l'appalto, cosa che ha provocato un bel po' di tensioni con i locali che l'hanno interpretato come un'ingerenza danese nella loro autonomia (link 4, con molti più dettagli di quanti ne riporto io).
Oltre che sulla logistica, lo scontro è ancora più acceso sulle risorse minerarie. Tra il 2013 e il 2014 la società australiana Ironbark aveva concluso un accordo con la China Nonferrous Metal Mining Company per finanziare il progetto di sfruttamento dell'enorme giacimento di zinco da poco scoperto nel Citronen Fjord (link 5), ma nel 2021 ha beneficiato di un finanziamento di 657 milioni di $ della banca governativa statunitense EXIM (che serve a finanziare il progetto "China and Transformational Exports Program" (CTEP) mediante il quale gli USA offrono a imprese che hanno una partnership con imprese cinesi in settori considerati strategici condizioni economiche migliori di quelle garantite in precedenza da Pechino. Un progettino interessante, potete informarvi al link 6, magari ci rientrate e vi fate rifare il garage). Lo sfruttamento dei giacimenti è estremamente complesso, ci sono preoccupazioni di natura ecologica e non è detto che si arriverà a costruire la miniera, ma comunque vada a finire la storia la compagnia cinese è stata estromessa (link 7).
Ancora più complicata la questione della miniera di Kuannersuit/Kvanefjeld. Negli anni '50 Niels Bohr vi trovò l'uranio col quale voleva avviare il programma nucleare danese, e da allora la comunità del villaggio vicino, Narsaq, si è opposta a qualsiasi ipotesi di sfruttamento temendo rischi di contaminazione. Nel 2007 però un'altra compagnia mineraria australiana, la Greenland Minerals, ha ricevuto una licenza esplorativa e ha trovato, mescolate all'uranio e al torio, una gran quantità di terre rare (trovate al link 8 i risultati della ricerca). Nonostante l'opposizione dei locali è stato concesso un premesso per estrarre 30.000 tonnellate di minerale all'anno, per 27 anni. Il trattamento delle scorie e delle acque di scarico è semplicissimo: scaveranno un buco sulla montagna e ci costruiranno una diga dove sversare il tutto, e chi s'è visto s'è visto. Alle elezioni del 2021 la questione è stata una delle più dibattute e Mute Egede, che le ha vinte, ha deciso di bloccare il progetto e ha fatto passare un disegno di legge che vieta qualsiasi attività estrattiva in presenza di depositi di uranio (link 9). La Greenland Minerals, che ora si chiama Energy Transition Minerals, ha fatto causa al governo locale e pure a quello danese per 15 miliardi di corone, che equivalgono a tre volte il finanziamento annuale che la Groenlandia riceve dalla Danimarca. A peggiorare il tutto, il 12.5% della Energy Transition Minerals è di proprietà della Shenghe Resources, ovviamente cinese, che è interessata anche all'uranio e al torio che si porterebbe in Cina, assieme alle scorie se necessario: e a questo si oppongono gli USA, stavolta dunque alleati del governo locale (tutta la faccenda al link 10). La vicenda si sta ancora trascinando in tribunale, ed è facile capire che, con una cifra del genere in ballo, un intervento diretto del governo statunitense potrebbe rivelarsi determinante, e offrire agli USA una leva notevole nel loro progetto di occupazione della Groenlandia - visto anche che, stando alle parole di Trump (non secondo il diritto internazionale, ma che fa) non è nemmeno chiaro se poi la Danimarca abbia davvero dei diritti sull'isola.
Insomma, come sempre la situazione è più complessa del consueto "politico X impazzisce all'improvviso e dice/fa cose strane", che finora abbiamo visto applicato soprattutto a Putin. Il progetto è vecchio, solido, e sembra bene avviato.

Francesco Dall'Aglio



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