Mentre il centro-sinistra italiano naviga in cattivissime acque, il centro-destra sembra procedere a gonfie vele verso una vittoria annunciata. Dico “sembra”, perché nelle sue stesse file qualcuno sta impegnandosi a fondo per impedire che ció possa avvenire. Certo, fermare la svolta a destra é molto difficile, anche perché i partiti di cosiddetta sinistra sono in mano a giganti della politica del calibro di un Calimero Letta o di un Giuseppi Conte. Fermare la destra é molto difficile – ripeto – ma qualcuno ci sta lavorando seriamente dall’interno.
A onor del vero, a lavorarci avevano giá iniziato dal 2016, quando certe potentissime “antenne” avevano percepito i primi segnali allarmanti: gli italiani cominciavano a diffidare di una Europa a guida tedesca e rifiutavano, in particolare, la politica di cosiddetta “accoglienza” che ci era imposta dai poteri forti di Bruxelles e di Washington (ma anche del Vaticano).
Le elezioni del 2018 confermavano questa tendenza. Malgrado il fattore piú appariscente fosse il primo posto ottenuto dal polpettone qualunquista dei Cinque Stelle, gli analisti piú smaliziati erano concordi nell’ipotizzare che, non appena il bluff grillino si fosse sgonfiato (cosa che é poi avvenuta rapidamente) sarebbe emerso nettissimo quello che era il nuovo orientamento dell’elettorato italiano: un forte rafforzamento del centro-destra e, al suo interno, delle componenti piú radicali: Lega e Fratelli d’Italia, che giá da allora facevano registrare guadagni sostanziosi. Male, invece, i cosiddetti “moderati”: Forza Italia perdeva un quarto dei suoi voti (scivolando dietro la Lega) e i centristi tutti insieme (UDC e Noi con l’Italia) raggranellavano un infinitesimale 0,6%.
Risultati confermati (e amplificati dallo squagliamento grillino) alle europee dell’anno successivo: Lega al primo posto (34,26%), Fratelli d’Italia in crescita costante seppur ancora contenuta (6,44%), Forza Italia dimezzata (8,78%), e centristi praticamente scomparsi. Da quelle elezioni prendeva le mosse un generale reset della politica italiana e, in particolare, un grande rimescolamento di carte a destra.
Tralasciamo per il momento ció che é avvenuto nel centro-sinistra, e limitiamoci al campo del centro-destra. Dopo il passo falso di una crisi intempestiva, Matteo Salvini registrava le prime défaillances nei sondaggi, mentre tutto quel che perdeva andava dritto dritto ad accrescere la dotazione di Giorgia Meloni. Fra Lega e Fratelli d’Italia si creava quasi un sistema di vasi comunicanti. I due partiti sovranisti conservavano il loro 40% e passa di consensi, ma questi andavano posizionandosi diversamente. Dai voti del 2019 (Lega al 34,26%, FdI al 6,44%), attraverso una serie di stép successivi, si é giunta all’attuale previsione di voto (ultimo sondaggio SWG): Lega al 21%, Fratelli d’Italia al 19,5%.
Il partito della Meloni é ormai il secondo partito italiano (secondo alcuni sondaggisti lo era giá da alcuni mesi) e solo un uno-e-mezzo per cento la separa ancóra dal primo. Continuando con l’attuale ritmo di crescita, ben prima delle elezioni nazionali del 2023 FdI sará il primo partito italiano e – secondo le regole che il centro-destra si é dato – la Meloni sará automaticamente candidata alla carica di Presidente del Consiglio.
Come mai questo stravolgimento all’interno dello schieramento di destra? Non perché FdI sia rimasta la sola forza all’opposizione del governo (la vertiginosa rincorsa della Meloni era iniziata giá da molto prima), ma perché la Lega ha annacquato sensibilmente le posizioni sovraniste che la avevano premiata negli anni passati; e, anche questo, giá da prima, da molto prima della nascita del governo Draghi. Fratelli d’Italia, viceversa, é rimasta quella che era, rifiutando di dare ascolto alle sirene della sinistra che la invitavano a rendersi “presentabile” per i salotti buoni di Bruxelles (e di Washington).
I nuovi equilibri del centro-destra – inutile dirlo – non piacciono a Matteo Salvini, che vede sempre piú allontanarsi il traguardo di Palazzo Chigi. Da qui, una serie di dispettucci verso la concorrenza: la presidenza del Copasir, la candidatura a Sindaco di Roma, eccetera. Ma il Capitano sbaglia: a fargli perdere consensi, voti e simpatie non é la Meloni; é il “suo” Giorgetti, insieme a tutta intera quella cupola interna che é ansiosa di trasformare il Carroccio nazional-popolare degli anni scorsi in un nuovo ed inoffensivo partitino eurodipendente.
Parallelamente, una manovra per molti versi analoga é in atto – e anche questa da tempo – all’interno di Forza Italia. Mentre Berlusconi é costretto dall’etá ad allentare il controllo sulla sua creatura politica, qua e lá alcuni colonnelli e colonnelle moltiplicano i mugugni contro la preponderanza dell’asse Salvini-Meloni all’interno del centro-destra. Negli ultimi giorni, c’é stata addirittura una scissione “centrista” capitanata da Toti e da tale Brugnaro. Per fare cosa? per dar vita ad un partitino di centro nel momento in cui tale area politica é di fatto scomparsa nel centro-destra? (E basta rileggersi i risultati del 2018 e del 2019 per averne inequivocabile conferma.)
Non credo che l’obiettivo sia questo. Credo piuttosto che il duo Toti-Brugnaro si appresti ad aggregarsi ad altre due formazioni-fantasma dell’altro versante, quelle di Renzi e Calenda. Insieme, potrebbero tentare la “missione impossibile” di portare un paio di eletti in parlamento.
Intanto, nella destra che conta – quella di Salvini e Meloni – si consuma l’ultimo scontro, quello sui candidati sindaci di Roma e di Milano. I sondaggi pronosticano il 25% per FdI a Roma, e forse la cosa non riempie di gioia il Capitano. Staremo a vedere.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
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