I
media, giornali e TV ci hanno strombazzato per mesi l’ascesa di un
piccolo “democristiano” di provincia, tale Renzi Matteo, definito
il rott'amatore, quale salvifico demiurgo, lanciato, ventre a terra,
non alla conquista del potere, ma alla salvezza dello Stivale.
Portato come un surf sull’onda abilmente costruita, ha mandato a
carte quarantotto il vecchio segretario trinariciuto, che se la è
presa proprio male. Bersani ha somatizzato. Auguri. Poi ha sdoganato
un altro figuro, politicamente finito, il Silvio da Arcore, che ormai
si accontenta del cagnolino Dudù. Comprensibile a settantasette
anni: mica si compiacciono, le ragazzette, di sentire i comizi, in
camera da letto….
Sullo sfondo re Giorgio rischia di rivestire la
figura del capro espiatorio, Serve un posto di prestigio per tale
Draghi Mario, che ha finito il compitino affidatogli dalla sue ex
datrice di lavoro e per sempre padrona: la Goldman Sachs. Visto che
alla Banca Centrale Europea toccherà –finalmente!- ad un tedesco,
Draghi sarà, applaudito da destra e sinistra, il prossimo presidente
della repubblica italiana. Poveri noi!
Nel
frattempo, copiando lo sparito di Pietro, “come sempre, come
tutti”, si è scatenata la guerra di potere per il primo posto
nella graduatoria dei Servi più affidabili: la poltrona di primo
Ministro del Governo Italiano. Non conta nulla, sia ben chiaro: gli
ordini vengono da fuori, ma la patacca appuntata fa gola a tutti i
parassiti.
Avrete
notato, voi che leggete, di come siano stati piene le pagine della
problematica della nuova legge elettorale: non frega nulla a nessuno,
salvo a quelli che sgomitano per l’adorato scranno parlamentare,
miniera da scavare per il bene e le tasche personali. Nessuno parla
di lavoro, di produzione, di creazione di ricchezza, di
programmazione, di ricerca, di sviluppo. Si sproloquia di legge
elettorale, cioè di come fregare la volontà popolare con alchimie,
per “vincere” la gara alla poltrona. Democrazia.
Come
successe per Prodi, per Veltroni, ed ora per Letta, la cosiddetta
sinistra mangia i suoi figli, ritenendosi Cronos, ma restando solo
coprofaga. Ora il piccolo “democristiano” fiorentino vuole la
prima seggiola del Governo. Non cambia nulla. Non cambia nulla da
settanta anni. Cose viste e riviste, copioni logori e sfilacciati di
una piccola farsa da guitti e saltimbanchi di paese. Non amo
assolutamente Obama, ma gli ho sentito dire: “Lo stato non ha i
soldi per la avventura spaziale, ci penseranno i privati. Lo stato
destinerà le risorse alle nano tecnologie”. Non entro nel merito
(discorso lungo), ma vivaddio almeno è un progetto chiaro e preciso,
comprensibile e non bizantino. Accidenti!
Qui
invece non cambia nulla: la lotta è sempre e solo circoscritta al
“potere”, o, meglio, al simulacro dello stesso. I parassiti si
accontentano….
E
pensare che una volta i rossi facevano paura. E pensare che una volta
quando uscivano per le strade i neri facevano restare in casa “quelli
là”: erano, nella migliore delle ipotesi, sberle da far fischiare
l’aria. Altri tempi, altre fedi.
La
…. “democrazia” ha compiuto il suo lavoro: ha omogeneizzato
tutto e tutti. O quasi tutti.
Ha
reso la gente refrattaria allo scandalo. Impermeabile allo schifo.
Insensibile al guano nel quale ci hanno immersi. Tutti uguali,
livellati al basso. Tutti amebe viscide e ripugnanti. Tutti tubi
digerenti come i vari grandi fratelli ci hanno voluto.
E’
il trionfo della democrazia.
E’
la fine della democrazia.
Non
è una contraddizione, è storia: sempre un sistema, giunto all’apice
e raggiunto lo scopo, è imploso, è crollato, è finito
Ricordo
uno stupendo film in bianco e nero dei primi anni cinquanta: “Quarto
potere” . Nella scena finale il giornalista protagonista fa
ascoltare al telefono al gangster il rumore delle rotative che
pubblicavano le notizie che il farabutto voleva nascoste.
“Questa è
la stampa, bellezza – diceva al telefono il giornalista -. E tu non
ci puoi fare nulla”.
Parafrasando
ed aggiornando, oggi possiamo dire, soprattutto ai parassiti: “Questa
è la fine della vostra democrazia, bellezze, e non ci potete fare
niente”.
Fabrizio
Belloni
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