mercoledì 31 luglio 2013

Bioregionalismo amministrativo - "Gli enti regionali sono la vera causa della rovina e non certo le province.."


Pare che il governo sia appeso ad un filo.. (ma non  solo per le vicende penali che vedono coinvolto , Silvio Berlusconi), l’osso duro per il mantenimento in carica dell'esecutivo è -secondo me- l'incapacità di questo governo di larghe intese di trovare una soluzione economica per la ripresa,  restituendo allo stesso tempo dignità alle autonomie locali.

Ritorno qui sull'idea malsana di esautorare le Province di ogni autorità investendo ulteriormente sulle Regioni.
 
Il così detto “federalismo” regionalistico e l'eliminazione delle Province  in verità non convince, e men che meno i comuni che si vedrebbero privati di un effettivo coordinamento locale, venendo inoltre   esautorati di svariati poteri e finanziamenti. Le Regioni hanno già dimostrato di essere enti costosissimi e completante inutili, fonte di sprechi e di corruzione. Poi non è accettabile, anche ai fini della rappresentatività democratica, che grandi città come Milano, Roma, Napoli, etc. possano influire sulle scelte di territori  poco urbanizzati. 

Pertanto in un sano federalismo bioregionale, consono alla condizione attuale della penisola, l’Italia andrebbe suddivisa in Regioni Metropolitane, comprendenti solo i confini urbanizzati e suburbani delle grandi città, ed in ambiti territoriali corrispondenti alle Province storiche, che  avrebbero una  funzione “localistica” nella gestione del territorio.
 
Le Regioni come oggi sono congegnate e geograficamente delineate non rispettano la vera vocazione identitaria della popolazione e nemmeno i suo interessi amministrativi.
 
Insomma il  “federalismo” che questo governo vorrebbe attuare contribuirebbe ad alienare ulteriormente il senso dell’appartenenza al luogo allontanando vieppiù gli abitanti dalle istituzioni ed oscurando l’identità locale, nazionale ed Europea.
 
La costituzione degli Enti Regionali in Italia è stata uno dei mali della politica nostrana, funzionale  allo spartimento della torta amministrativa. Ha fatto comodo ai partiti che si sono creati delle piccole repubbliche autonome (e gestite in base a distinte  egemonie) all’interno dello Stato, contemporaneamente permettendo agli amministratori locali di mungere alle prebende pubbliche e gestire le ricchezze del popolo a fini personalistici. Prova ne sia -ad esempio- il gonfiamento paradossale della spesa sanitaria, con norme interne, attuazioni e finalità differenziate, con l’impossibilità di trasferimento da una Regione all’altra come si trattasse di stati esteri e  con la suddivisione delle cariche e degli enti fra i soliti congiunti politici, senza nessun reale beneficio per la salute pubblica. 
 
L’Italia è un piccolo paese che per secoli ha patito il male della suddivisione in vari staterelli, il risultato é che solo dopo l’unità  si è preso a parlare di identità nazionale ed è stato possibile costruire un popolo, con tutte le difficoltà che ancora persistono e che sono visibili nella nostra società “spaccata” fra nord e sud… fra est ed ovest, fra isole e promontori…
 
Nel frattempo in Europa, a partire dalla fine dell’ultima guerra mondiale, è andato avanti un processo unificatorio che ora si chiama Comunità Europea. Questa unione è buona per il vecchio continente che ha subito per troppi anni divisioni e guerre intestine. La distribuzione dei poteri in chiave di separazione politica non aiuta assolutamente l’integrazione fra i popoli.
  
C’è bisogno di solidarietà e di capacità di riconoscersi con il luogo in cui si vive senza però cancellare l’unitarietà della vita e la consapevolezza che il pianeta é uno come una é la specie umana. Non si può continuare a separare la comunità degli umani su basi etniche o “sociali” o “religiose” o “politiche”… L’integrazione è solo una ovvia conseguenza del vivere in luogo riconoscendolo come la propria casa. Perciò il vero federalismo può essere solo bioregionale ed il riconoscimento con il luogo di residenza deve avvenire nelle forme più semplici e vicine al contesto socio/ambientale in cui si vive.
 
Questo contesto è ovviamente la comunità del paese, e della città che riunisce una serie di paesi in una comunità facilmente riconducibile ad una identità condivisa. Questa é la “Provincia”. Le Province lungi dal dover essere eliminate dovrebbero anzi assurgere al ruolo rappresentativo dell’identità locale e tale riconoscimento non alienerebbe la comunione ed il senso di appartenenza all’Europa ed al mondo bensì aiuterebbe il radicamento al luogo in cui si vive e la responsabilizzazione a mantenerlo sano e compatto.
 
C’è inoltre da dire che dal punto di vista storico le Province da tempo immemorabile hanno rappresentato il “luogo di origine” mentre le Regioni sono state create massimamente a tavolino per soddisfare esigenze politiche indifferenti alla comunità. Vedesi la costituzione del Lazio, formato per soddisfare le esigenze di una città che doveva essere la capitale di un nuovo impero, costituito smembrando la Tuscia, rubando territori all’Umbria (Rieti) e aree all’ex Regno di Napoli (Formia, Gaeta, etc.). Oggi Roma ed area metropolitana con i suoi 6 milioni di abitanti (più i non registrati, quasi altrettanti) ha completamente fagocitato il territorio e la gestione delle risorse relegando il ruolo delle Province storiche a quello di “fornitura di servizi e ubicazione di scomodi impianti inquinanti”… (Ma è logico quando si vede che i 9/10 dei residenti laziali stanno a Roma e siccome siamo in democrazia così deve andare…). In verità, come detto sopra,  le grandi città metropolitane dovrebbero essere tutte “città regione” e magari pure decrescere.. se si vuole che il cancro da loro rappresentato non si propaghi al territorio…
 
 
Paolo D’Arpini
Referente della Rete Bioregionale Italiana

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