Che le cose non
andassero più bene per il Pifferaio dell’Arno lo sapevano tutti. I sondaggi,
d’altro canto – quelli pubblici e quelli riservati – erano lì a testimoniarlo,
al di là di ogni dubbio. Il bluff – come ho scritto più volte – non poteva
durare a lungo. E quel fantasmagorico mix di statistiche addomesticate, di
promesse non mantenute, di balle ed ecoballe, di demagogia da quattro soldi e
di bullismo col lanciafiamme – alla fine – è stato percepito dagli italiani per
quel che realmente è: un trucco da baraccone, un semplice esercizio di
prestidigitazione, l’esibizione di un mediocre illusionista col pallino della
politica.
I sondaggi – ripeto –
ormai da tempo attestavano la crisi di credibilità del terzo governo di Re
Giorgio. Ma il Piccolo Imbonitore Fiorentino, nella sua immensa presunzione, si
era rifiutato testardamente di prenderne atto. Fino a pochi giorni fa, quando
gli ultimi rilevamenti avevano anticipato il disastro che andava preparandosi
per il PD nelle urne delle consultazioni amministrative. Ecco, allora, che il
nostro si faceva intervistare da uno dei soliti compiacenti telegiornali e
dichiarava candidamente che quelle elezioni erano un fatto esclusivamente
localistico e che nulla avevano a che vedere con la linea politica nazionale.
Conferma, anche per gli ingenui, che i sondaggi riservati non lasciavano adito
a dubbi: per il PD sarebbe stata una débâcle.
Intendiamoci: è
certamente vero che i fatti locali condizionino il voto amministrativo. Ma tale
condizionamento è massimo solo nei piccoli Comuni, per decrescere man mano che
si passa a realtà maggiori. In misura inversamente proporzionale al
condizionamento della politica nazionale, che invece è minimo nelle piccole
realtà, moderato nei Comuni intermedi, massimo nelle grandi Città. E di città
grandi, anzi grandissime, ce n’erano in gioco quattro; tre delle quali (Roma,
Milano e Torino) con amministrazioni uscenti targate PD e sinistre collegate.
La quarta – Napoli – aveva un sindaco uscente sostenuto dalla sinistra alternativa
(quella vera), che il Vispo Tereso avrebbe voluto spodestare; o, quanto meno,
tallonare al ballottaggio con una propria candidata, espressione – beninteso –
della più disciplinata ortodossia renziana.
I risultati, poi,
sono stati quelli che tutti conoscono: due ballottaggi “normali” (Milano e
Torino), un ballottaggio senza speranze, ricevuto in omaggio da Berlusconi
(Roma), ed una esclusione clamorosa (Napoli). L’incidenza dei fattori locali
c’è stata, certamente. Ma assai più forte è stata quella delle vicende
nazionali, della dichiarata ostilità alla politica renziana, fino al punto da
tarpare le ali anche ad un sindaco bravo come Piero Fassino, abbandonato da una
larga fetta del suo elettorato per ragioni che certamente esulano dalla (buona)
amministrazione della città di Torino. Quanto agli altri tre candidati PD
(tutti renziani doc), il loro insuccesso è stato clamoroso, a prescindere dalle
percentuali ottenute.
Cosa succederà al
secondo turno? Naturalmente non ho la sfera di cristallo, ma una previsione mi
sento di azzardarla: vittoria senza problemi per la grillina Raggi a Roma e per
il mangiafuoco De Magistris a Napoli; vittoria ai punti per il moderato
berlusconiano contro il moderato renziano (si somigliano tanto!) a Milano;
battaglia all’ultimo voto tra Fassino e l’altra grillina Appendino a Torino.
Ma, in ogni caso,
quali che possano essere i risultati finali, il segnale politico è già stato
dato al primo turno: è un avviso di sfratto all’inquilino di palazzo Chigi. Ha
quattro mesi di tempo per fare le valige. Dopo di che il risultato del
referendum lo costringerà a togliere il disturbo.
Anche perché, in
questi quattro mesi, l’ondata migratoria che si abbatterà sull’Italia sarà di
dimensioni tali da suscitare una reazione popolare dagli esiti imprevedibili.
Un’ultima
considerazione: i risultati di queste elezioni amministrative andranno a pesare
in maniera determinante anche su quello che suole chiamarsi “centro-destra”. È
stata messa in atto l’ultima manovra per evitare la nascita di un Fronte
Nazionale all’italiana. Manovra fallita. Per il momento, rimando a quanto ho già scritto sul numero del 6 maggio in
un articolo intitolato “Roma: l’alleanza delle mummie contro il pericolo
populista”. Di mummie se ne sono viste tante, nella campagna romana. Ma il
pericolo populista è sempre lì. E nei prossimi mesi assumerà proporzioni ben
maggiori.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
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