Invio il testo di un documento/opuscolo che Francesco Santoianni ha diffuso durante il convegno del 9 giugno promosso al Parlamento da 5 Stelle sulla situazione in Libia. Spiega cosa sono realmente le sanzioni imposte dai paesi europei della UE (e della NATO) alla Siria, e le loro tragiche conseguenze sul popolo siriano. Perché il governo italiano si ostina a prolungarle causando immani sofferenze a quel popolo e l'aumento abnorme dei flussi migratori?
Vincenzo Brandi (Comitato No Guerra No NATO) - brandienzo@libero.it
Cosa sono davvero le Sanzioni alla Siria
Il 9 maggio 2011, Il Consiglio
dell’Unione Europea, con la Decisione
2011/273/PESC dava il via all’embargo nei
confronti della Siria. Una misura della cui gravità quasi nessuno parve rendersi
conto e che, nei fatti fu la prima mossa di una guerra che anche l’Unione
Europea (e quindi il nostro Paese) da cinque anni, nell’indifferenza dell’opinione
pubblica, sta conducendo alla Siria. Una guerra, finora, solo per procura – a
differenza di quella alla Libia del 2011 - ma che ha già provocato 250.000
morti, sei milioni di sfollati e cinque milioni di profughi. Profughi che ora
tentano di approdare anche verso il nostro continente dividendo l’opinione
pubblica che, si direbbe, non si rende conto che il vero problema non è quale
“soluzione” trovare per i profughi ma come rimuovere le cause che li hanno resi
tali.
Contro le sanzioni alla Siria (purtroppo
rinnovate dall’Unione Europea, il 27 maggio 2016) esponenti del mondo cattolico
siriano hanno lanciato un appello per sostenere
il quale abbiamo costituito, qui in Italia, un Comitato e strutturato una petizione
che ha già visto l’adesione, oltre che di parlamentari, di migliaia di firme.
Un risultato certamente importante - considerando che la questione delle
sanzioni alla Siria, fino a ieri, era praticamente sconosciuta dall’opinione
pubblica italiana – ma ancora insoddisfacente.
E per far crescere la consapevolezza
su una questione che dovrebbe diventare momento di dibattito e di mobilitazione,
abbiamo realizzato questo testo che ci auguriamo abbiate la pazienza di leggere
fino alla fine.
Comitato
italiano contro le sanzioni alla Siria
Com’è cominciata
Soffermiamoci sulle motivazioni
ufficiali che, nel 2011, spinsero il Consiglio dell’Unione Europea a infliggere
le sanzioni alla Siria: “…la grave preoccupazione per gli sviluppi della
situazione in Siria e per lo spiegamento di forze militari e di sicurezza in
diverse città siriane (e la condanna della) violenta repressione, effettuata
anche con l'uso di pallottole vere, delle pacifiche manifestazioni di protesta
avvenute in varie località della Siria (…)”
Sarebbe opportuno domandarsi perché
mai l’Unione Europea, prima di parlare di repressione di pacifiche
manifestazioni di protesta (che certamente, in Siria, come in tutti i paesi
arabi c’erano state) non abbia preso in esame il perché e il come della loro trasformazione
in sparatorie. Ci riferiamo, ad esempio, alla presenza di anonimi cecchini che, dai tetti, colpivano
indiscriminatamente sia la folla sia la polizia; cecchini che per i media
occidentali non potevano che essere “agenti di Assad” nonostante che, sin dai
tempi della prima “rivoluzione colorata”, quella contro Ceaușescu del 1989 (come
quella in Ucraina del 2013) l’impiego
di cecchini per trasformare i cortei in massacri è stato appannaggio di forze
antigovernative, molto spesso straniere.
Parimenti appare significativo che gli
efferati episodi che segnarono il punto di non ritorno della situazione in
Siria (come l’incendio al Palazzo di
giustizia di Daraa - avvenuto tre ore dopo che l’emittente araba al-Arabiya ne
avesse dato “notizia” - o l’assalto alla stazione di polizia a Lattakia: 10
poliziotti trascinati per strada e lì uccisi) non videro come protagonisti i
partecipanti alle manifestazioni ma, piuttosto,
“uomini mascherati venuti dal nulla e scomparsi nel nulla, assolutamente
sconosciuti dagli organizzatori delle manifestazioni”. La stessa dinamica,
del resto, che nel gennaio 2011 caratterizzò l’assalto alla caserma di polizia
di Misurata in Libia come ebbe a dichiarare uno dei leader delle manifestazioni
di allora.
Questo, ovviamente, non significa che
dietro ogni manifestazione di protesta ci debba essere, per forza, lo zampino
di qualche potenza straniera. In Siria c’era, certamente, un diffuso
malcontento, dettato da una crisi economica e climatica e aizzato da campagne
mediatiche veicolate, soprattutto da network televisivi come al-Jazeera. Quello
che, comunque, qui ci preme sottolineare è che – a nostro avviso - in Siria non
fu (come molti pensano ancora oggi) il progressivo inasprimento della
contrapposizione tra “pacifici manifestanti” e governo a determinare i primi
morti ma l’attuazione di un preciso disegno dettato da potenze straniere che da
almeno un decennio
avevano pianificato, sommosse, omicidi, assalti a stazioni di polizia... per
fare precipitare la Siria nella situazione nella quale si trova oggi.
Una subdola
strategia
Ma ritorniamo all’argomento di
questo testo. Le Sanzioni dell’Unione Europea del 2011 alla Siria (che
riproponevano pedissequamente quanto già stabilito dalle sanzioni
USA del 2007) sembrarono essere per l’opinione pubblica una legittima,
quanto pacata, risposta alle repressioni di un “regime” già crocifisso su tutti
i mass media. L’articolo 4 del documento
infatti si limitava a: “(congelare) tutti
i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati
dai responsabili della repressione violenta contro la popolazione civile in
Siria e dalle persone fisiche o giuridiche o dalle entità ad essi associate,
elencati nell'allegato.” Allegato che elenca, tra dirigenti dei servizi di
sicurezza e della polizia siriani, stranamente, anche un banchiere, tale “Rami Makhlouf
(...) Uomo d'affari siriano. Associato a Maher Al-Assad; finanzia il regime che
permette la repressione dei manifestanti.”
Al di là delle accuse dell’Unione Europea è da evidenziare che Rami Makhlouf gestiva
numerosi business tra i quali una compagnia telefonica; la quale, ovviamente, a
seguito delle sanzioni non avrebbe più potuto avere alcun contatto con le
aziende europee, neanche per la fornitura di pezzi di ricambio.
Cominciò così una davvero subdola strategia
perpetuatasi nelle successive sanzioni che - al di là del dichiarato embargo
sul petrolio e sulle attività della Banca centrale siriana – non vietano esplicitamente
di esportare in Siria generi o attrezzature indispensabili per la vita delle
popolazioni (quali, ad esempio, sementi o generi alimentari). Ma se si ha la
pazienza di leggersi gli innumerevoli allegati a queste (una serie di elenchi
continuamente aggiornati e approvati non dal Consiglio d’Europa ma da anonimi
funzionari dell’Unione Europea, quali, ad esempio quelli del “Gruppo
Mashreq/Maghreb (MaMa)”, si scopre che le sanzioni applicate “ad personam” riguardano “uomini di affari” presentati come “sostenitori di Assad” (a febbraio
del 2015 erano 211) che provvedevano, a vario titolo, alla
commercializzazione di innumerevoli generi o attrezzature. E così, anche i pezzi
di ricambio indispensabili per far funzionare, ad esempio, un forno per il pane,
una rete elettrica, un acquedotto, una attrezzatura medicale... non possono
essere più esportati in Siria.
L’allegato 2014/C
373/06, poi, chiude il cerchio elencando non solo operatori economici (“uomini di affari”) ma ministri (tra i
quali quello per le Risorse idriche o quello della Sanità) che – per fare
nostri i termini del documento del maggio 2011 - certamente “controllano” l’approvvigionamento e la manutenzione dei
servizi ad essi affidati.
Dual Use
Un altro escamotage dell’Unione
Europea per condannare la Siria alla fame, pur mantenendo un alone di
“rispettabilità”, è l’embargo (oltre che su attrezzature
finalizzate alla repressione che, difficilmente, un qualsiasi “stato canaglia”
acquisterebbe all’estero, come ghigliottine, sedie elettriche, catene per
contenzione, serrapollici…) di prodotti e tecnologie Dual
Use utilizzabili, cioè, per costruire manufatti sia ad uso civile che
militare ed elencati nel Regolamento
N. 1334/2000 del Consiglio dell’Unione Europea (e successivi aggiornamenti
di questo).
Regolamento che oltre a contemplare
prodotti chimici indispensabili per attività che dovrebbero essere
perfettamente lecite (è, ad esempio, il caso di alcuni nitrati indispensabili
per la produzione di fertilizzanti) comprende anche alcuni tipi di circuiti
elettronici e di software un tempo utilizzati prevalentemente in ambito
militare ma oggi comunemente installati su apparecchiature elettromedicali o su
dispositivi di controllo per la produzione industriale. Per di più, chi scrive
queste righe ha svolto una piccola inchiesta sull’odissea che devono subire le
aziende che chiedono al Ministero dello Sviluppo Economico l’indispensabile
Nulla Osta per potere esportare loro manufatti (in questo caso, alcuni relais
per una centrale elettrica danneggiata e disinfettanti) in Siria. Nonostante
questi relais e questi disinfettanti non figurassero affatto negli elenchi
allegati al Regolamento N. 1334/2000, la Commissione
che doveva concedere il Nulla Osta, verosimilmente subodorando la possibilità
che quanto attestato dalle aziende (tra l’altro, di primissimo piano) che li
avevano prodotti non fosse veritiero, ha imposto talmente tante verifiche e
lungaggini burocratiche che hanno, infine, determinato l’annullamento della
vendita.
Il blocco delle transazioni finanziarie
Ma se anche una azienda europea, per
commerciare con la Siria, volesse bypassare l’embargo (un reato penale punito,
ai sensi del D.Lgs 96/2003, con la reclusione da due a sei anni e, tra l’altro,
una multa fino a 250.000 euro) effettuando, ad esempio una “triangolazione”
(utilizzare un paese terzo come fittizio destinatario) come potrebbe essere
pagata? Ci riferiamo ad un aspetto della sanzioni alla Siria particolarmente
devastante: il conclamato blocco delle transazioni finanziarie, stabilito dal
Consiglio dell’Unione Europea, con la Decisione
878 del 2 settembre 2011. Anche questa decisione, ipocritamente, si
maschera come una provvedimento ad
personam: “(…) il congelamento dei
fondi e delle risorse economiche di altre persone e entità che ricevono
benefici dal regime o lo sostengono. L’elenco aggiuntivo delle persone, delle
entità e degli organismi a cui si applica il congelamento dei fondi e delle
risorse economiche è riportato in allegato di detta decisione.” E sulla
scia della 273, anche la Sanzione 878 contempla un lungo elenco di operatori
economici (direttori di Camere di commercio, di società di intermediazione…) etichettati
come “sostenitori del regime siriano”
da punire. Ne seguiranno altri con altri allegati.
Peggio ancora farà la Svizzera
nel 2014 per tutelare i suoi banchieri, facendo sue le sanzioni dell’Unione
Europea ma permettendo lo sblocco di soldi di siriani o della Banca Nazionale
della Siria depositati nelle sue banche al non meglio precisato fine di “tutelare
interessi svizzeri”.
Gli effetti del blocco delle
transazioni finanziarie sono così sintetizzati nell’Appello di esponenti
cattolici siriani: “(…) La situazione in
Siria è disperata. Carenza di generi alimentari, disoccupazione generalizzata,
impossibilità di cure mediche, razionamento di acqua potabile, di elettricità.
Non solo, l’embargo rende anche impossibile per i siriani stabilitisi all’estero
già prima della guerra di spedire denaro ai loro parenti o familiari rimasti in
patria. Anche le organizzazioni non governative impegnate in programmi di
assistenza sono impossibilitate a spedire denaro ai loro operatori in Siria.
Aziende, centrali elettriche, acquedotti, reparti ospedalieri sono costretti a
chiudere per l’impossibilità di procurarsi un qualche pezzo di ricambio o
benzina.
“Oggi i siriani vedono la possibilità di un futuro vivibile per le loro
famiglie solo scappando dalla loro terra. Ma, come si vede, anche questa
soluzione incontra non poche difficoltà e causa accese controversie all’interno
dell’Unione europea. Né può essere la fuga l’unica soluzione che la comunità
internazionale sa proporre a questa povera gente. (…) E la retorica sui
profughi che scappano dalla guerra siriana appare ipocrita se nello stesso
tempo si continua ad affamare, impedire le cure, negare l’acqua potabile, il
lavoro, la sicurezza, la dignità a chi rimane in Siria. (….)”
Il petrolio
Il 2 settembre 2011 una nuova
decisione del Consiglio dell’Unione Europea (la 2011/522/PESC)
inasprì le sanzioni alla Siria imponendo, tra l’altro, il divieto di
acquistare, importare o trasportare dalla Siria petrolio greggio e prodotti
petroliferi. Per comprendere la gravità di questa misura basti un dato. Nel 2010
la Siria (le sue riserve
di petrolio sono stimate in
2,5 miliardi di barili) estraeva ogni
giorno 375mila barili
di petrolio al giorno, di cui circa 150mila destinati all’export. Con il prezzo
del barile sul mercato che superava i 100 dollari, ciò si traduceva in
un’entrata fissa pari a circa 16 milioni di dollari al giorno, vale a dire
quasi 6 miliardi di dollari l’anno. Una risorsa che insieme al Turismo (6 milioni di
turisti stranieri nel 2010) e all’industria farmaceutica (la Siria esportava
farmaci in più di 50 paesi) aveva permesso a questo Paese di raggiungere un
relativo benessere e il raggiungimento di significativi standard di vita (tra
cui un buon sistema sanitario e la scomparsa dell’analfabetismo). In più il
petrolio alimentava una notevole produzione elettrica (nel 2010 46 miliardi di
Kilowatt all'ora) che riforniva anche il Libano.
Ma l’embargo petrolifero alla Siria
ha conosciuto clamorosi risvolti. Intanto, entrò in vigore non il 2 settembre
ma solo due mesi dopo, a seguito della richiesta
italiana di rispettare alcuni contratti, firmati da aziende italiane con la
Siria, che prevedevano forniture di petrolio fino al 30 novembre. Al di là di
un polverone
mediatico-giudiziario, non è noto (sono andate a vuoto le nostre richieste di
un comunicato ufficiale) se questi contratti prevedessero (come è prassi) il
pagamento a 30-60 giorni dopo la consegna o se, il pagamento (o un congruo
anticipo di questo) era stato versato alla stipula dei contratti; e così non è
noto se le aziende italiane abbiano onorato questi contratti o se si siano
tenuti sia il petrolio siriano sia i soldi. Di certo l’atteggiamento del
governo italiano provocò l’irritazione dei più agguerriti fautori delle
sanzioni alla Siria, come la City di Londra e i suoi (consapevoli o no) sponsor.
D’altro canto, i (consapevoli o no) sponsor
degli interessi di altre aziende italiane - forse perché memori dei danni
all’economia italiana conseguenti alle sanzioni prima e alla guerra poi alla
Libia - hanno evidenziato
come il nostro paese, tra quelli della UE, risulti essere il più penalizzato
dalle sanzioni alla Siria costringendoci a rinunciare ad un interscambio
commerciale annuo di 2,3 miliardi di euro e ad accordi già stipulati nel campo
dell’estrazione del petrolio e della realizzazione di infrastrutture.
Ma queste polemiche passano in
secondo piano di fronte alla davvero scandalosa decisione dell’Unione Europea
che permette ai cosiddetti “ribelli siriani” di bypassare le sanzioni potendo
così, nelle aree da essi “liberate”, esportare petrolio e importare armi.
I “ribelli” e le sanzioni
Il 13 Dicembre 2012 l’Italia riconosceva
come “unica legittima rappresentante del popolo siriano” la “Coalizione nazionale
degli oppositori siriani”. Questa decisione – presa, ovviamente, senza alcuna
votazione né, tantomeno, discussione in Parlamento: solo una fugace audizione
del ministro degli Esteri Terzi, il 12 dicembre, alla Commissione Esteri della
Camera – discendeva dall’adesione
dell’Italia, avvenuta, anch’essa alla chetichella, già nel luglio 2012 al
Gruppo “Amici del popolo siriano” dove l’Italia si impegnava a garantire “un aumento massiccio degli aiuti
all'opposizione al regime di Bashar Al-Assad”. Questo Gruppo, del resto, vedeva
, tra gli altri, la partecipazione dei rappresentanti dell’Arabia Saudita e del
Qatar i quali, già da tempo, stavano inviando in Siria le loro bande di
tagliagole autoproclamatesi “Coalizione nazionale degli oppositori siriani”.
Sulle gesta di queste bande (in
minima parte composte da siriani; la maggior parte dei miliziani proviene da
Giordania, Libia, Afghanistan, Tunisia, Arabia Saudita...) che qualcuno, ancora
oggi, si ostina a considerare “ribelli” o “combattenti per la democrazia”
esiste una ormai copiosa documentazione. Decapitazioni ed esecuzioni di
soldati, poliziotti, inermi civili siriani, “colpevoli” di non opporsi al
governo di Damasco; autobombe davanti a scuole, caserme, ospedali;
crocifissioni e fustigazioni di “infedeli”; costruzione di ordigni carichi di
gas tossici... sono documentati da video posti su internet dagli stessi
“ribelli”. Eppure, per anni, l’Occidente (e i suoi mass media) ha preferito
distogliere lo sguardo dalle efferatezze dei suoi “ribelli”, fin quando non viene
deciso di dare grande lustro alle imprese dell’ISIS (un’altra banda di
tagliagole, anch’essa creata dalle Petromonarchie e dall’Occidente)
identificata come il Male Assoluto da estirpare ad ogni costo: anche rifornendo
i “ribelli” di armi pesanti o invadendo e bombardando la Siria.
Ma ritorniamo a parlare di sanzioni.
Il 31 maggio 2013, il Consiglio dei Ministri degli Esteri dell’Unione Europea con
la Decisione
2013/255/PESC tolse l’embargo
del petrolio dalle aree “liberate dai ribelli” i quali, da allora, vendono “legalmente”
il petrolio siriano alle compagnie petrolifere occidentali. Avendo già
distrutta, nel febbraio del 2012, la raffineria di Bab Àmro (la più grande
della Siria, nei pressi di Homs) e ucciso quasi tutte le maestranze, i
“ribelli” si affrettarono a far giungere lì tecnici provenienti dall’Arabia
Saudita e, soprattutto, autobotti (l’oleodotto dalla raffineria sfocia nel
porto di Tartus) per trasportare i prodotti petroliferi in Turchia. Da lì il
petrolio dei siriani, certamente, (anche se nessuna informazione ufficiale
viene fornita su questo; vedi più avanti) arriva ad aziende europee e i soldi
di questo ai “ribelli”.
Le armi ai “ribelli”
Ancora peggio un altro punto della Decisione che tolse
l’embargo alle armi destinate ai “ribelli” nonostante l’opposizione di paesi quali
Austria, Repubblica Ceca, Finlandia, Olanda e Svezia e che fu così sintetizzata
dall’allora ministro degli Esteri austriaco: “inviare armi è contro i principi dell’Europa, che è una comunità di
pace.” A neutralizzare l’opposizione alla deroga sulle armi fu certamente
l’ambigua posizione di Germania e Italia, formalmente tenuta “per favorire un
compromesso”. “Compromesso” che fu interpretato da Francia e Gran Bretagna come
un via libera alla fornitura di armi ai ribelli. Al di là di questa spaccatura
nel Consiglio dell’Unione europea (pudicamente sottaciuta dai mass media) -
dettata, verosimilmente, da Francia e Gran Bretagna che speravano di riproporre
lo stesso blitz da essi effettuato in Libia nel 2011 e dall’esigenza di
Germania e Italia di non trovarsi, ancora una volta, alla finestra – ci sarebbe
da domandarsi perché mai questa “elasticità” di allora nel derogare, per le
armi, le sanzioni contro la Siria non sia stato poi possibile per altri aspetti
di queste.
Comunque sia, questa ambiguità
dell’Unione europea si è tradotta in un guazzabuglio nella conseguente Decisione
che così si esprime:
“Rispetto alla possibile esportazione di armi alla Siria, il Consiglio ha preso
nota dell’impegno da parte di alcuni Stati membri di procedere nelle loro
politiche nazionali come segue:
- la vendita, la somministrazione, il trasferimento e l’esportazione di
attrezzature militari che potrebbero essere usate per la repressione interna
saranno per la Coalizione nazionale siriana delle forze rivoluzionarie e
dell’opposizione e destinate alla protezione dei civili; (ma che vuol dire??)
- gli Stati membri dovrebbero richiedere, prima di autorizzare, adeguate
salvaguardie, in particolare informazioni importanti che riguardano l’uso e la
destinazione finale della consegna;
- gli Stati membri dovrebbero valutare le domande di licenza di
esportazione caso per caso, tenendo pienamente conto dei criteri indicati nella
Posizione comune del Consiglio 2008/944/CFSP dell’8 dicembre 2008 che definisce
regole comuni che reggono il controllo dell’export di tecnologia e attrezzature
militari. Gli Stati membri non procederanno a questo stadio alla consegna di
tale materiale. Il Consiglio rivedrà la propria posizione entro il 1 agosto
2013 sulla base di un rapporto da parte dell’Alto rappresentante, dopo essersi
consultato con il segretario generale dell’Onu, sugli sviluppi legati
all’iniziativa Usa-Russia e all’impegno delle parti siriane.”
Va da sé che di queste “valutazioni” e di questi
documenti che avrebbero dovuto far “rivedere” la posizione dell’Unione europea
non si trova traccia in nessuno dei successivi documenti elencati nel, pur ponderoso, dossier
inerente le sanzioni alla Siria, nè , tantomeno, nella ultima Decisione
dell’Unione europea che il 31 maggio 2016 ha prorogato le sanzioni alla Siria. A
tal proposito, il giornale on line L’Antidiplomatico ai primi di giugno scriveva
all’Ufficio Stampa del Consiglio dell’Unione Europea per chiedere il perché di queste clamorose omissioni (che, tra l’altro,
contrastano con la pignola precisione vantata dai burocrati di Bruxelles) e, in
particolare domandava se fosse stata confermata o, in qualche modo,
regolamentata la revoca delle sanzioni sul petrolio e le armi ai “ribelli”. La
risposta è stata, a dir poco, evasiva. Sulla deroga alle sanzioni alle armi non
c’è stata data nessuna risposta; peggio ancora sulle modalità della deroga
inerente la commercializzazione del petrolio rubato dai “ribelli: “Per quanto riguarda le restrizioni all'importazione del petrolio siriano, a
certe condizioni e previa consultazione con la Coalizione nazionale delle forze
dell'opposizione e della rivoluzione, gli Stati membri possono autorizzare
deroghe a questo divieto".
E così, alla faccia della “trasparenza”
nella quale pretende di ammantarsi l’Unione Europea, non si può sapere né chi
sono gli stati europei che importano oggi petrolio siriano né chi sono i
“ribelli” che lo vendono o che lo barattano con armi. Di certo sappiamo che
dall’approvazione della sanzione 2013/255/PESC la fornitura di armi pesanti e
sistemi missilistici ai “ribelli” siriani sono aumentate in maniera esponenziale
, sopratutto da parte della Francia. Non caso, considerato che, già nel 2013,
il ministro Laurent Fabius affermava che Al Nusra
(una filiale di al Qaeda) “in Siria
faceva un buon lavoro"
Gli effetti della sanzioni sulla popolazione siriana
Quante le vittime delle sanzioni
imposte dall’Unione Europea? Ci sono già – oltre ad innumerevoli, toccanti,
testimonianze di siriani e di giornalisti – alcuni esaustivi studi (in
particolare questo,
purtroppo datato) sul come le sanzioni si impattano sula società siriana e
altri (tra cui questo e
questo)
che analizzano alcuni aspetti della disastrata situazione della Siria; ma, al
momento, nessuna letteratura scientifica sugli effetti delle sanzioni sulla
popolazione. Per comprenderli può, comunque, essere utile un raffronto con le
sanzioni inflitte all’Iraq (si veda, ad esempio questo
studio e questo sintetico documento)
che, secondo un Rapporto
Unicef, provocarono, tra l’altro, la morte
per denutrizione e malattie di 500.000 bambini.
Ma cerchiamo di delineare gli
effetti delle sanzioni sulla popolazione siriana, suddividendoli per settori
colpiti. Intanto quello medico-sanitario.
Uno dei principali effetti delle
sanzioni alla Siria è oggi il dilagare di infezioni che non possono essere adeguatamente
affrontate. La Siria, prima del 2012 aveva una fiorente industria farmaceutica
(con l'eccezione di farmaci per il cancro, la Siria era autosufficiente al 95%
in termini di produzione di farmaci) ed un soddisfacente sistema ospedaliero,
il cui “fiore all’occhiello” era certamente, il Centro oncologico “Al Kindi” di
Aleppo, il più grande del Medio Oriente (e fatto saltare dai “ribelli” con un camion bomba, qui il video dell’attentato
postato dai “ribelli su Youtube). Oggi, senza elettricità e con i gruppi elettrogeni
anch’essi privi di combustibile, (e quindi con frigoriferi e apparecchiature di
sterilizzazione fuori uso) quello che resta della rete di presidi ospedalieri scampati
alle distruzioni è praticamente al collasso. Ne consegue un numero elevatissimo
di infezioni ospedaliere che, tra l’altro, non possono essere affrontate per la
mancanza di antibiotici.
Ancora peggio per altre infezioni quali
tetano e il morbillo. Nel dicembre 2012, una epidemia di morbillo, nonostante l’intervento
di mezzi dell’Unicef, si portò via migliaia di bambini; da allora sono state
registrate altre epidemie che non è stato possibile affrontare adeguatamente,
soprattutto per la mancanza di carburante. Poi ci sono le infezioni
gastrointestinali determinate dalla impossibilità di ripristinare acquedotti ed
impianti di sollevamento idrico danneggiati dalla guerra o dall’usura. Sulle
persone decedute in Siria negli ultimi anni a seguito di infezioni (anche per
quelle che in Occidente non costituiscono un problema) non si hanno stime e
così pure per persone morte per l’impossibilità di seguire determinate terapie
(prime tra tutte quelle contro il diabete o il cancro) come documenta un articolo
della rivista medica “The Lancet”.
Poi, c’è il dramma della
denutrizione. Secondo alcune stime pubblicate nell’articolo del “The Lancet”, oltre l'80% della
popolazione siriana vive oggi in condizioni di povertà, di cui un terzo in
condizioni definite di estrema povertà, (impossibilità ad ottenere prodotti
alimentari di base); l'aspettativa di vita si è ridotta, quindi, da 75-79 anni
del 2010 (uno tra i più alti del Medio Oriente) a 55-57 anni del 2014. Intanto,
il tasso di disoccupazione è salito dal 15% del 2011 a 57% del 2014, mentre il
costo dei prodotti alimentari di base è aumentato di sei volte dal 2010.
In questa tragica situazione risulta
beffarda l’impossibilità per i siriani che vivono all’estero di potere inviare
danaro ai loro cari rimasti in patria. E così, bloccato dalle sanzioni il
circuito bancario internazionale che serviva la Siria, per molti – anche per
alcune ONG - non resta che nascondere un po’ di banconote tra i vestiti e
attraversare la frontiera dal Libano sperando di non essere depredati da bande
di rapinatori o da disperati alla fame.
La testimonianza di Omar
Come già detto, sono innumerevoli le testimonianze di studiosi, esponenti
politici, giornalisti, operatori umanitari... sugli effetti delle sanzioni che
l’Unione Europea infligge alla Siria. Preferiamo, invece, concludere questo
testo dando la parola ad un nostro amico siriano, Omar, ex guida turistica, ora
rifugiato in Italia e che, tra l’altro, nel 2011 aveva partecipato alle
numerose manifestazioni di protesta tenutesi a Damasco.
“Ho
fatto conoscere la Siria a migliaia di italiani e non ce ne è stato uno che non sia rimasto incantato dalla mitezza della
nostra gente. Qualcuno arrivava in Siria convinto di dovere sfidare chissà
quali insidie: si ricredeva dopo qualche giorno potendo passeggiare
liberamente, anche in piena notte; ammirando le moschee, le chiese, le
sinagoghe piene di tranquilli fedeli; guardando le ragazze libere di potere
andare indisturbate ovunque. E, nonostante le mie idee, ero orgoglioso quando
parlavo delle nostre università, dell’eccellenza del nostro sistema sanitario,
del nostro relativo benessere. E anche della miriade di gruppi e organizzazioni
che animavano la vita politica e culturale in Siria.
Anche oggi sono in contatto con molti italiani. E ogni tanto via mail o su
Facebook mi è capitato di parlare loro delle sanzioni imposte alla Siria anche
dall’Italia o di altre iniziative del vostro governo come il diniego, qualche
anno fa, dei visti di ingresso a parlamentari siriani che dovevano incontrarsi
a Roma con loro colleghi italiani. Cascano dalle nuvole. Non ne sanno nulla.
Nulla. Nessuna informazione dalla TV o dai giornali. L’unica cosa che i miei
amici italiano sanno – e che li fa o commuovere o arrabbiare – è il fiume di
profughi siriani che ogni giorno si riversa sulle coste italiane. E pensano che
questo esodo dipenda o dalla repressione del governo Assad o dagli attacchi
dell’ISIS. Nulla sulle responsabilità dei vostri governi. Nulla.
Qualcuno dei miei contatti italiani ritiene che la crisi siriana si possa
risolvere con la destituzione di Assad e il ripristino in Siria della
democrazia. Ma come si può pensare di esportare la democrazia se non si sa
nulla?”
Comitato
italiano contro le sanzioni alla Siria
Il Comitato italiano contro le sanzioni alla Siria,
composto da attivisti di varia estrazione, è sorto nel maggio 2016 per
promuovere l’Appello “Basta sanzioni alla Siria”, lanciato da autorevoli
esponenti cattolici siriani e che ha già avuto il sostegno del Premio Nobel per
la Pace Mairead Maguire, oltre a migliaia di firme e mozioni parlamentari.
Il sito del Comitato Italiano contro le Sanzioni alla
Siria è https://bastasanzioniallasiria.wordpress.com/
Pagina Facebook: https://www.facebook.com/Basta-sanzioni-alla-Siria-264576280597284/
Twitter: https://twitter.com/nosanzionisiria
L’Appello “Basta sanzioni alla Siria” può essere
sostenuto firmando sul sito di Change.org
Questo testo, su supporto
cartaceo, può essere letto con i relativi link di approfondimento anche sul
sito https://bastasanzioniallasiria.wordpress.com
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