Vediamo innanzi tutto quali sono le le differenze fra migranti,
rifugiati
e profughi.
I primi, emigrati volontariamente per motivi prevalentemente
economici; i secondi, riparati all’estero per sfuggire ad una
ingiusta e grave persecuzione; gli ultimi, infine, costretti ad
espatriare da momentanee ancorché gravi emergenze: guerre, carestie,
catastrofi naturali.
A
parte i pochi rifugiati veri (cioè i perseguitati che se tornassero
in patria andrebbero incontro ad una punizione immeritata e spesso
crudele), i due flussi che in questo momento si riversano in Europa
hanno caratteristiche diverse: il flusso africano (che investe
Italia, Spagna e Francia) è in larghissima parte formato da semplici
migranti economici, anche se la maggior parte di costoro afferma di
essere fuggito da improbabili persecuzioni o da guerre di cui si disconosce l’esistenza; il flusso asiatico (che investe la Grecia e
punta sulla Germania) è in buona parte formato da profughi veri –
specie siriani e irakeni – con l’aggiunta di una non trascurabile
aliquota di migranti economici provenienti da vari paesi asiatici e
mediorientali, spesso dotati di falsi passaporti siriani, che – si
dice – verrebbero fabbricati dai servizi segreti turchi.
Ed
è appunto su quest’ultimo filone – quello dei profughi in marcia
attraverso i Balcani – che intendo soffermarmi. Naturalmente,
tralascio per ora alcune riflessioni sulle cause remote di questo
fenomeno (ma sarà utile tornarci in uno dei prossimi numeri) e vengo
alla stretta attualità. Si tratta – dunque – di un’ondata
migratoria che ha la propria piattaforma di partenza in un Paese
ostile all’Europa (in questo caso la Turchia di Erdoğan, come nel
nostro caso la Libia delle milizie islamiche) e che si riversa nel
nostro Continente attraverso la cosiddetta “rotta balcanica”.
Attenzione, però, questi profughi (parlo naturalmente dei profughi
veri, non degli afghani con passaporto turco-siriano) hanno già
trovato un asilo temporaneo nei Paesi immediatamente a ridosso dei
confini della loro patria: non fuggono più dai bombardamenti o dalle
esecuzioni di massa dell’ISIS, e non sono perciò in quel “grave
ed imminente pericolo” che impone agli Stati civili di dar loro
accoglienza. Semplicemente, hanno fin qui condotto una vita grama nei
campi di raccolta dei Paesi confinanti ed hanno perciò deciso di
emigrare verso le nazioni europee, dove sperano di trovare condizioni
di vita migliori che non in Turchia, in Libano o in Giordania.
Da
profughi,
si sono oggettivamente trasformati in migranti
economici;
non chiedono, quindi, riparo dalla guerra o dalle follìe jihadiste,
ma soltanto di poter trovare migliori e più confortevoli condizioni
di vita. Cosa perfettamente legittima, umanamente comprensibile, più
che comprensibile. Solo che – attenzione – mentre le nazioni
civili hanno l’obbligo (morale, se non anche giuridico) di
accogliere chi fugge da una guerra, tale obbligo non sussiste nei
confronti di chi è “in cerca di una vita migliore”.
Il perché è
evidente: se si abolissero le frontiere (i “muri” che tanto
inquietano gli utopisti di casa nostra) e si desse a chiunque il
diritto di fissare la propria residenza ove più gli aggrada, nel
giro di pochi anni verrebbe completamente distrutto il sistema
politico, giuridico, sociale, economico, antropologico-culturale che
ha finora retto la vita dei popoli e gli equilibri internazionali,
precipitando il mondo intero in una fase di totale e brutale
anarchia.
Peraltro,
senza voler avventurarci in previsioni di lungo periodo, questa
invasione di profughi mediorientali – come anche l’altra di
migranti africani – ha una connotazione particolare e
particolarmente inquietante: non chiede un asilo temporaneo (come nei
campi-profughi) ma una residenza permanente; e chiede posti di
lavoro, alloggi popolari, assistenza sanitaria, e quant’altro molti
Stati europei non sono in grado – colpevolmente – di assicurare
neanche a tutti i propri cittadini.
Queste
cose le sanno tutti, le capiscono tutti, anche il Papa, anche la
Merkel, anche la grande stampa “buonista”. Eppure, tutti fanno
finta di niente, sembrano non accorgersi che questa invasione, queste
invasioni a orologeria minacciano, oltre che la nostra identità
etnico-etico-culturale, anche i nostri equilibri sociali. C’è
qualcuno, poi, come quel giovanotto che ci ritroviamo alla Presidenza
del Consiglio, che aggiunge problemi a problemi, facendo approvare
dal Parlamento una legge che attribuisce automaticamente la
cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia da cittadini
stranieri.
Tanto, il giovanotto sa benissimo che i frutti avvelenati
dello “ius soli” non riguarderanno la sua gestione; saranno
cavoli amari dei suoi successori fra qualche anno, quando i figli
degli immigrati, diventati cittadini italiani, contenderanno ai
nostri figli anche gli ultimi brandelli di benessere che i parametri
di Maastricht e l’incombente Trattato di libero scambio con gli USA
ci avranno lasciato.
Michele Rallo
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