mercoledì 4 novembre 2015

Donne sfruttate - La parità salariale è ancora un miraggio....



L'Ue punta il dito contro il "gender pay gap", che è ancora gigantesco. Le donne guadagnano il 16,3% in meno. In pratica è come se da oggi a fine anno lavorassero gratis 

È come se in un anno le donne lavorassero esattamente 59 giorni di meno. In inglese si chiama “gender pay gap” ed è molto semplicemente il divario che esiste, a parità di incarichi e ruoli, tra gli stipendi delle donne e quelli degli uomini europei. Un impressionante 16,3%: in pratica, è come se da oggi e fino alla fine dell’anno le lavoratrici smettessero di essere pagate, mentre i colleghi uomini continuassero ad avere in tasca lo stipendio.

Per sensibilizzare l'opinione pubblica sul divario di genere in busta paga. l’Ue ha istituito per la giornata del 2 novembre, l’Equal Pay Day, il giorno della paga equa. Un’occasione per mettere appunto sotto la lente i dati e i numeri che certificano come la parità salariale sia rimasta in Europa ancora solo sulla carta. E non si tratta di un fenomeno presente solo nei paesi meno avanzati. Basti guardare alla Francia, 14esima in Europa con un gap del 15,2%, o alla Finlandia, 20esima, con un gap del 18,7%, mentre il Regno Unito è 22esimo con una differenza di stipendi a vantaggio degli uomini del 19,7%. La Germania, locomotiva d’Europa, si piazza addirittura al 24esimo posto con un gap del 21,6%.

E l’Italia? Per il nostro paese i dati vanno esaminati con attenzione. Come osserva Maria Novella De Luca in un articolo pubblicato da Repubblica (“Da oggi le donne lavorano gratis”), nel nostro paese a sorpresa, il gender pay gap", appare più basso che nel resto d'Europa, con retribuzioni femminili inferiori del 7,3% rispetto a quelle maschili. Si tratta però di una statistica ingannevole, come hanno rilevato più osservatori (Istat, Isfol, Banca d'Italia), che non tiene conto della bassa occupazione femminile in Italia, addirittura al di sotto del 50%, in particolare al Sud, dove una donna su due non lavora. Dunque, tenendo conto di questo dato aggiuntivo, il vero gap nel Bel Paese sfiorerebbe addirittura il 20% di differenza.

Tra l’altro, analizzando l'andamento temporale del gap, si osserva che per l'Italia c'è stato un aumento delle differenze retributive: nel 2008 il dislivello era del 4,9%, nel 2009 del 5,5%, e nel 2015, cioè oggi, dopo anni di durissima crisi, è al 7,3%. E questo nonostante, come noto, le donne laureate superino sempre di più numericamente i colleghi maschi: per ogni 100 laureati ci sono 155,8 donne con lo stesso titolo. Per di più, questa differenza di salario tende ad allargarsi con l’aumentare dell’età, tanto che le sessantenni sono costrette a vivere con pensioni inferiori del 39% rispetto ai loro coetanei, che siano mariti o colleghi di lavoro.

Ma quale sono i fattori alla base di questo gap salariale così clamoroso, soprattutto in Italia? A questa domanda prova a dare una risposta Chiara Saraceno in un altro articolo pubblicato oggi, sempre su Repubblica (“La doppia beffa riservata a lei più fatica e meno guadagni”). Un primo fattore – spiega Saraceno - è la concentrazione delle donne in particolari settori come l'lnsegnamento primario e secondario, i servizi alla persona, le attività impiegatizie e amministrative del terziario, il settore tessile. Settori mediamente meno pagati di altri, ma con orari di lavoro più favorevoli alla conciliazione con le responsabilità famigliari. II secondo fattore è invece la maggiore lentezza e compressione delle carriere femminili, a parità di titolo di studio e di settore professionale.

Ipotizzare soluzioni a questa situazione così fortemente radicata nella società italiana ed europea non è semplice. “Le leggi antidiscriminazioni esistono già – osserva ancora Saraceno su Repubblica - vanno fatte applicare più rigorosamente, ma non basta. Sarebbe importante una de-genderizzazione delle occupazioni e prima ancora della formazione. Aiuterebbero inoltre procedure, che esistono in diversi paesi, che impongono di verificare perché, a parità di curricula e competenze, sia stato scelto un uomo invece di una donna”Senza dimenticare “la necessità non solo di distribuire meglio i carichi di lavoro tra uomini e donne in famiglia, ma di ridurre, tramite l'offerta di servizi accessibili e di buona qualità, un carico dl lavoro non pagato”.

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