“Gentilissime donne…”
Decisiva per la sua assoluzione al processo Ruby, la lettera circolare inviata da Silvio Berlusconi alle sue olgettine. Eccola, intercettata dai nostri zerozerosettete.
* “Dicono dunque alquanti dei miei riprensori che io fo male, o giovani donne, troppo ingegnandomi di piacervi, e che voi troppo piacete a me. Le quali cose io apertissimamente confesso, cioè che voi mi piacete e che io m’ingegno di piacere a voi; e domando loro se di questo essi si meravigliano, avendo conosciuto gli amorosi basciari e i piacevoli abbracciari e i congiungimenti dilettevoli che di voi, dolcissime donne, sovente si prendono, e anche vedendo continuamente gli ornati costumi e la vaga bellezza e l’ornata leggiadria e oltre a ciò la donnesca onestà.
Mi riprenderanno, mi morderanno, mi lacereranno costoro se io, il corpo del quale il cielo produsse tutto atto ad amarvi per la virtù della luce degli occhi vostri e la soavità delle parole melliflue, se io di piacervi m’ingegno? Per certo chi non v’ama e da voi non desidera d’essere amato, è persona che i piaceri e la virtù della naturale affezione né sente né conosce, e adunque così mi rimprovera; ma io poco me ne curo.
E quegli che contro la mia età parlando vanno, mostrano che mal conoscono che, benché il porro abbia il capo bianco, ha tuttavia la coda verde; ai quali rispondo che mai reputerò per me vergogna indulgere alla sopraddette cose infino allo stremo della mia vita, e citare potrei anco le istorie tutte piene d’antichi uomini e valorosi, che nei loro più maturi anni sommamente han studiato di compiacere alle donne.
E volendo per questa volta abbastanza aver risposto, dico che armato dall’aiuto di dio e dal vostro, gentilissime donne, nel quale io spero, e di buona pazienza, con esso procederò avanti, dando le spalle a questo vento e lasciandol soffiare. E se mai con tutta la mia forza a voi compiacere mi disposi, ora più che mai mi vi disporrò, e nessuno potrà dire altra cosa se non che io e gli altri che v’amiamo, operiamo secondo natura: al voler contrastare le cui leggi, cioè della natura, troppo grandi forze occorrono, le quali forze confesso che io non l’ho, nè desidero averle a questo scopo; e se io le avessi, piuttosto ad altrui le presterei che io per me l’adoperassi.
Perciò tacciansi i malevoli, e se essi riscaldar d’amore non si possono, assiderati si vivano: e nei loro diletti, anzi nei loro appetiti corrotti standosi, me nel mio, questa breve vita che ci è data, lascino stare.
Sono sempre il vostro, Silviuccio da Arcore
* da G.Boccaccio, Decameron, 1349-51. Introduzione alla IV Giornata.
Perdona, magnifico Boccaccio, lo strumentale travisamento del tuo onestissimo pensiero.
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.