A seguito della vittoria avuta con il referendum sull’acqua la maggioranza dei cittadini ha affermato con forza che l’acqua deve rimanere un bene comune e che le aziende non ci speculino sopra. Ma questa decisione sovente non è stata rispettata né dal governo, né dalle aziende che gestiscono il servizio idrico.
Con la pubblicazione, in data 20 luglio 2011, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 116 è stata sancita ufficialmente e formalmente l’abrogazione, con effetto dal 21 luglio 2011, della norma che consentiva ai gestori di caricare nelle bollette anche la componente della “remunerazione del capitale investito”.
L’effetto di quel voto è scritto molto chiaramente nella sentenza di ammissibilità del 2° quesito referendario (26/2011), nella quale La Corte costituzionale afferma che “la normativa residua è immediatamente applicabile” e “non presenta elementi di contraddittorietà”.
Oggi, a distanza di oltre un anno i gestori del servizio idrico italiano hanno ignorato con pretestuose argomentazioni l’esito referendario. Può essere accettato che alcuni possano disapplicare leggi che non piacciono loro? Può essere accettato che un istituto di rango Costituzionale come il referendum abrogativo, elemento fondamentale del nostro sistema democratico, possa essere ignorato e umiliato (ignorando e umiliando un intero popolo) in modo così plateale?
A parte le normative disattese c'è da considerare il modo in cui l'acqua del servizio pubblico viene attinta e immessa in distribuzione nelle case. Il problema sta nella captazione a mezzo pozzi artesiani che spesso affondano le trivelle a centinaia di metri di profondità, ciò non osante spesso le acque servite ai cittadini sono inquinate e sature di metalli pesanti. La ragione è semplice: l'inquinamento di superficie dovuto all'uso sconsiderato di agenti chimici per l'agricoltura o derivanti dalla lavorazione industriale, oltre agli scarichi fognari urbani, contribuiscono enormemente all'avvelenamento delle acque.
Da ciò la necessità di attingere a polle sempre più profonde. Il risultato è che le sorgenti non zampillano più o se ancora gettano acqua questa è imbevibile, inoltre le sostanze nocive attraverso il percolamento scendono sempre più in profondità per cui necessariamente l'avvelenamento continuerà ad aggravarsi.
Una delle ragioni per cui l'acqua tende ad essere privatizzata sta proprio in questo processo irreversibile. L'acqua presente sul pianeta è sempre la stessa non decresce né aumenta. Ma a differenza di quanto avveniva sino a un centinaio di anni fa oggi è praticamente quasi tutta imbevibile. Prova ne sia il continuo aumento per legge della tollerabilità delle sostanze nocive presenti nell'acqua "potabile". Questo fatto -tra l'altro- fa sì che la gente ricorra sempre più alle bottiglie di minerale, con ulteriore peggioramento della situazione ambientale, sia per l'uso della plastica che spesso finisce in inceneritori sia per l'ulteriore impoverimento delle polle sotterranee.
Il mercato si va indirizzando, malgrado il referendum, ad immettere in commercio sempre più acque imbottigliate a caro prezzo od a promuovere l'uso di depuratori domestici (che richiedono la continua sostituzione dei filtri) senza però risolvere il problema dell'inquinamento generale, che è la causa stessa dell'aumento di commercializzazione delle acque. Insomma i veleni fanno comodo al "mercato" perché in tal modo l'acqua diventa sempre più preziosa.
C'è da dire inoltre che pur che l'acqua minerale viene sterilizzata e filtrata prima di immetterla in commercio essa non è assolutamente idonea all'alimentazione umana, infatti l'acqua dovrebbe contenere una certa quantità di elementi naturali e dovrebbe essere "viva" ovvero non "sterilizzata" come spesse avviene per le acque imbottigliate. A questo proposito -almeno per rivitalizzare un po' l'acqua da noi bevuta- consiglio di usare il metodo delle antiche popolazioni caucasiche che usavano vitalizzarla per mezzo di funghi e germi particolari, come il Kefir o la komboucha, che sono ancora reperibili per passamano fra amici ecologisti.
Paolo D'Arpini
Rete Bioregionale Italiana
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Commento di Caterina Regazzi:
"La cosa che secondo me è da contrastare e da chiedere a gran voce ai nostri
governanti, sia nazionali che locali è che la gestione della risorsa
"acqua" non può essere delegata ad aziende private (es. di ampie
aree dell'Emilia Romagna con l'Hera). Come si può pretendere che
un'azienda privata faccia un lavoro senza ricavare "utili sul capitale
immobilizzato" e non si consideri il rischio d'impresa?"
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