Vaticano - Il nostro corrispondente E.S. con papa Francesco in fraterno abbocco
Celibato, sessualità e potere. La recentissima vicenda del libro scritto a quattro mani dal papa emerito Benedetto XVI e dal cardinale Robert Sarah ha, ancora una volta, posto al centro del dibattito nella Chiesa cattolica (e non solo) il tema del celibato dei preti. Perché è così importante questo tema, per molti nella Chiesa addirittura decisivo, tanto è vero che, se venisse meno il celibato dei preti, alcuni, come il cardinale Sarah, temono e prevedono una vera e propria “catastrofe pastorale”?
Io credo che la risposta a questa domanda sia semplice, anche se per nulla semplicistica. Provo a darla, dal mio punto di vista di uomo laico, quindi estraneo alle vicende della Chiesa e al suo dibattito interno, ma comunque molto attento interessato ad entrambi.
Come è a tutti evidente il tema del celibato attiene a quello più vasto della sessualità. Come è altrettanto noto che per secoli la sessualità ha occupato ampio spazio nel dibattito sulla morale, in modo particolare in quello della Chiesa.
Non a caso e non a torto molti ricordano ironicamente che per secoli il sesto comandamento è stato considerato quello più importante; non solo – a dire il vero - dalla Chiesa cattolica, ma in modo particolare da questa.
Per cui viene da chiedersi: perché tanta importanza attribuita ai temi della sessualità nella condotta morale degli uomini?
La mia risposta è: perché la “morale” sessuale è uno dei modi, forse il più semplice e, quindi, anche il più diretto, forte e decisivo, per instaurare un controllo sulle coscienze degli uomini, attraverso l’introiezione della sequenza “peccato/senso di colpa/esclusione dalla comunione ecclesiale/pentimento/confessione/riammissione alla comunione ecclesiale”.
Far sentire in colpa i membri della propria comunità per le loro condotte sessuali è stato per secoli uno strumento formidabile in mano al/i potere/i per intimorirli e tenerli psicologicamente sottomessi, sudditi, “fedeli” all’autorità, alla gerarchia (a voler usare un termine blando, quasi eufemistico, che ben si addice – nel caso specifico - ai credenti, agli uomini iscritti ad una Chiesa).
Lo dimostra molto bene il fatto che la Chiesa cattolica mentre è molto rigida sui principi morali che riguardano la sessualità lo è poi molto meno nella prassi pastorale.
Come a dire: miei cari figlioli, a me non interessa tanto che voi siate realmente casti, a me interessa che vi sentiate soprattutto in colpa, dopo aver “peccato”; perciò io sarò sempre disposta ad assolvere i vostri peccati, se voi verrete, dopo esservene più o meno immediatamente “pentiti”, a confessarli ai miei ministri, dimostrandovi, in questo modo, buoni e docili fedeli di Santa Madre Ecclesia.
Sulla base di queste considerazioni, io arrivo a dire (tenendo conto sia della lezione freudiana che di quella marxiana) che la morale sessuale (o, meglio, sessuofobica) è per le coscienze, per la psiche delle persone, ciò che la proprietà dei mezzi di produzione è per i rapporti di classe all’interno delle società: sono entrambe strumenti di sottomissione e, quindi, di potere, di tenuta delle gerarchie.
Ora, se questa premessa teorica è vera, è facile dedurne che mettere in discussione la morale sessuale tradizionale o anche solo mettere in discussione alcuni canoni teologici che hanno a che fare con la sessualità, come il celibato dei preti (ma la stessa cosa la potremmo dire per il sacerdozio delle donne o per l’Eucarestia ai divorziati) mette in discussione, anzi sconvolge, logiche e assetti di potere, su cui si è retto l’autorità per secoli, anzi per millenni.
Nel caso specifico di cui trae spunto questa nostra riflessione, l’autorità delle gerarchie ecclesiastiche, ma la stessa cosa si potrebbe dire anche di altre autorità.
Ecco spiegato, a mio avviso, perché una questione in sé molto limitata e, in fondo, persino un po’ banale, come quella del celibato dei preti, diviene agli occhi di alcuni cattolici tradizionalisti, specie delle gerarchie ecclesiastiche che rientrano in questa categoria, una questione di vita o di morte.
Perché, se si “aprisse” su tale questione, si aprirebbe un varco, una vera e propria voragine, crollerebbe tutto un sistema di pensiero teologico, su cui si reggono strutture di potere plurisecolari.
E’ per questi motivi, dunque, che anche per i laici (cioè per coloro che sono esterni alla Chiesa) non è e non deve essere indifferente l’esito di questo dibattito, anzi di questa vera e propria battaglia culturale che da qualche tempo si è aperta e che infuria ancora all’interno della Chiesa.
Perché da questo esito dipenderà anche lo sviluppo in senso progressivo o, all’opposto, la regressione in senso conservativo-reazionario della coscienza morale di una parte non piccola né tanto meno poco significativa della Umanità di cui siamo tutti parte, gente di Chiesa e non.
Giovanni Lamagna https://giovannilamagna.wordpress.com/info/
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Articolo collegato:
https://www.politicamentecorretto.com/2019/11/12/Catholic-Church-save-what-can-be-saved-Chiesa-Cattolica-salvare-il-salvabile/
RispondiEliminaCommento di A.E.: “Benedetto XVI avrebbe fatto bene a lasciare il Vaticano dopo le sue dimissioni. Per dirla con i tradizionalisti "Pietro è uno solo" e si chiama Francesco. Un buon convento sarebbe una degna residenza del vescovo emerito di Roma... vescovo non papà emerito. Nella chiesa cattolica esistono già i preti sposati, quelli di rito greco o quelli passati dalla chiesa anglicana a quella cattolica.... allora è solo questione di potere o paura di aprire ad altro, ad una chiesa popolo di Dio. In Calabria ci sono parrocchie (albanesi) rette tranquillamente da preti sposati...”
Mio commentino, estratto dall'articolo https://bioregionalismo.blogspot.com/2019/11/catholic-church-save-what-can-be-saved.html -: “...the first thing to do to save the Catholic religion would be to allow marriage to priests, followed immediately by openness to the female priesthood and subsequent abandonment of the Vatican political and economic mechanism. Thus priests and priestesses would re-enter the “people” from which they come and of which they are a part...” (Paolo D'Arpini)
RispondiEliminaCommento di Marco Bracci:
RispondiElimina"La religione cattolica, con il suo capo, il papa, si pone come l'unica vera religione dell'unico vero dio. E poiché Dio è infallibile, ne consegue che il papa e la sua religione sono infallibili (c'è anche scritto nel diritto canonico), per cui l'istituzione cattolica non può permettersi di dire apertamente (lo farà dopo trovato un modo plausibile che non scardini il concetto di assolutezza che la distingue): "finora avevamo sbagliato e da ora in poi i preti si possono sposare".
Senza contare il fatto che, dichiarando aperto l'ufficio matrimoni, dovrebbero anche aprire contemporaneamente un ufficio reclami per tutti quei preti che, da giovani, non hanno potuto sposarsi e che sono oggi troppo vecchi per farlo..."
Commento di Luigi Caroli:
RispondiElimina"Caro Paolo, il Cardinale Sarah e molti altri prevedono una "catastrofe pastorale", se viene eliminato il celibato dei preti.
Non si accorgono (io credo che preferiscano non dirlo) che, mantenendolo, i preti si stanno riducendo (come numero) ai minimi termini?
I giovani seminaristi continuano a rimanere vittime sacrificali dei "vecchi porci" che amano definirsi "cattolici di stretta osservanza".
Stretta?
A 42 anni Ratzinger era per l'eliminazione del celibato. Da persona intelligente, l'aveva già capito."
Nota aggiunta al commento di Marco Bracci: "...ed inoltre, se i preti vorranno sposarsi, dovranno prima firmare un contratto dove si dichiara che, alla loro morte, tutti i loro beni rimarranno alla chiesa e NON agli eredi naturali..."
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