sabato 11 gennaio 2020

Iran, Libia, Turchia, Medio Oriente.... e l'Italia del tubo....


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Cosa succede in Iran? Cosa succede in Libia? Cose gravissime. Ma quasi tutto era prevedibile, perché gli avvenimenti di oggi prendono le mosse da fatti precisi, noti a tutti: dal tradimento degli impegni pacifisti da parte di Trump, alla assoluta ininfluenza di uno dei due governi libici (quello che noi abbiamo scelto di appoggiare).

Ció premesso, non staró a riferire degli ultimi avvenimenti, anche perché questi apparirebbero superati dalle novitá che potrebbero maturare da un giorno all’altro, da un’ora all’altra, il tempo di passare da un telegiornale all’altro.

Preferisco dare due chiavi di lettura “stabili” – diciamo cosí – nel senso che manterranno la loro validitá a prescindere dai fatti che potrebbero verificarsi nel tempo. Queste chiavi di lettura – come vedremo – a un certo punto si sovrappongono, almeno nel teatro libico: le differenze interne al mondo islamico, e il ruolo dell’Italia negli scacchieri interessati.

Cominciamo dal primo: cosí come la Cristianitá si divide fra cattolici, ortodossi e protestanti, anche l’Islam ha le sue divisioni. La principale di queste é quella tra i sunniti (che rappresentano oltre l’80% del totale e che sono maggioritari in quasi tutti i paesi musulmani) e gli sciiti (il 12%, dominanti in Iran, Iraq, Siria, Libano e in altri paesi del versante asiatico). Allo stato, i paesi-guida dei due campi – l’Iran sciita e l’Arabia Saudita sunnita – sono in forte contrasto tra loro, ed anzi combattono una vera e propria guerra strisciante nello Yemen. Il motivo é che la dinastia araba dei Saud teme che il suo potere e i suoi interessi possano essere insidiati dalla non trascurabile minoranza sciita nella penisola araba. E non dimentichiamo che sono in ballo i colossali interessi della rotta del petrolio che passa per lo stretto di Ormuz.

Altro fattore da tenere presente é che il terrorismo islamico nelle sue varie declinazioni (al-Qaeda, ISIS e altre minori) é tutto, ma proprio tutto, di matrice sunnita. Anzi, la patria d’origine di quel terrorismo é proprio l’Arabia Saudita; cosí come la base religiosa dell’islamismo piú sanguinario é il wahabismo, cioé addire la corrente sunnita fondamentalista che é dominante nell’Arabia Saudita. Aggiungo che, secondo molti osservatori, lo stesso ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria) é stato una creatura dei servizi segreti sauditi e di altri paesi del Golfo, allo scopo di distruggere Siria, Iraq e Libano, per poi meglio poter aggredire l’Iran. Progetto che – secondo alcuni – sarebbe stato sostenuto piú o meno direttamente anche da Israele e Stati Uniti, non a caso riferimento di “caschi bianchi”, ONG sospette e gruppi terroristici cosiddetti “moderati”.

Al contrario, l’Iran e gli sciiti hanno sempre combattuto il terrorismo islamista in tutte le sue sfumature, producendo un grosso sforzo militare e finanziario. Il generale Soleimani – quello assassinato  da un drone americano – é stato uno degli uomini che piú ha contribuito alla sconfitta militare dell’ISIS. Ne discende che la bugía israeliana – fatta propria dagli americani – che dipinge l’Iran come una roccaforte del terrorismo islamico é, appunto, una bugía.

Altre differenze su cui vorrei richiamare l’attenzione sono quelle che sussistono all’interno del fondamentalismo islamico. Parlo di fondamentalismo “politico” – diciamo cosí – e non di terrorismo. Orbene, in seno all’islamismo radicale un ruolo di tutto riguardo hanno i Fratelli Musulmani, setta nata in Egitto quasi un secolo fa ed oggi diffusa un po’ in tutto il mondo islamico. I Fratelli Musulmani vestono all’occidentale, rifiutano la lotta armata, non disdegnano di partecipare alle elezioni e sono oggi considerati come una espressione moderata dell’estremismo islamico. Apparentemente una contraddizione in termini – quella degli “estremisti moderati” – ma che rende bene l’idea: predicano un islam integrale e totalizzante, ma senza gli atteggiamenti truculenti che potrebbero spaventare i non islamici o, anche, i musulmani autenticamente moderati.

Senza voler fare la storia del movimento (che é molto lunga e complessa), c’é da dire che quando, alcuni anni fa, i poteri forti dell’Occidente programmarono una serie di colpi-di-Stato mascherati da “primavere arabe”, quella simpaticona di Hillary Clinton decise di consegnare le nazioni arabe “liberate” ai Fratelli Musulmani. Si cominció con l’Egitto, dove la Fratellanza era nata e dove conservava un reale radicamento popolare, e si continuó con altri paesi, almeno a livello di tentativi. Uno di questi tentativi fu fatto in Libia, dove Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj – prestanome dei Fratelli Musulmani – venne messo a capo di un governo immaginario, spacciato per il governo di mezza Libia. In veritá, si trattava di un governo rionale, in grado di controllare appena il palazzo presidenziale e le strade circostanti.

Poi le cose hanno preso la piega che tutti sappiamo: Hillary é andata a quel paese, il presidente-fratello egiziano Mohamed Morsi é stato esautorato dai militari del suo paese, e il premier-fratello al-Sarrāj si é ritrovato solo col sostegno della “comunitá internazionale”, cioé solamente dell’Italia e di pochi intimi.

Nel frattempo, peró, i Fratelli Musulmani erano entrati nelle grazie della Turchia di Recep Erdoğan, in piena fase di sganciamento dal mondo occidentale e, piaccia o non piaccia, anche dalla NATO. Adesso – la faccio breve – Erdoğan ha deciso di giocare la carta dei Fratelli Musulmani su tutte le ruote, ed ha colto al balzo l’occasione per correre in soccorso di al-Sarrāj, sul punto di essere maciullato dall’avanzata del generale Haftar, capo dell’altro governo libico, quello di Bengasi. D’altro canto, l’Italia – di fatto protettrice della Libia fin dai tempi di Gheddafi – non aveva fatto nulla di concreto per aiutare il suo nuovo figlioccio, al di lá del dono di qualche motovedetta per contrastare il traffico di migranti.

Peraltro, in questo momento a Roma c’é un governo che non ha né capo né coda, con un Presidente del Consiglio che rappresenta solo sé stesso e con un ministro degli Esteri che é una favola. Facile per la Turchia prendere il nostro posto, occupare il nostro spazio geo-politico, anche con la benedizione – palese o mascherata – dell’intera “comunitá internazionale”. Non é sfuggito agli addetti ai lavori, infatti, il vertice NATO di pochi giorni fa sulla Libia, con la partecipazione dei Primi Ministri di Inghilterra, Francia, Germania e Turchia, e con l’esclusione del povero Giuseppi, che pure incrociava da quelle parti per la conferenza dell’Alleanza Atlantica. Non é stato neanche degnato di uno sguardo, né lui né il suo incredibile ministro degli Esteri.

Stesso discorso quando gli Stati Uniti hanno deciso quel passo gravissimo (e sporchissimo) che é stato l’assassinio del generale Soleimani. Il segretario di stato Mike Pompeo (forse il massimo responsabile di questo indegno episodio) ha trascorso due giorni al telefono per preavvertire i capi dei governi alleati di ció che gli USA stavano preparando. Due giorni interi – lo ha detto lui – ma senza trovare il tempo per una telefonatina a Giuseppi, né tampoco a Giggino. Evidentemente questo governo ha la fiducia solo di Mattarella.

Michele Rallo

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