Cosa
succede in Iran? Cosa succede in Libia? Cose gravissime. Ma quasi
tutto era prevedibile, perché gli avvenimenti di oggi prendono le
mosse da fatti precisi, noti a tutti: dal tradimento degli impegni
pacifisti da parte di Trump, alla assoluta ininfluenza di uno dei due
governi libici (quello che noi abbiamo scelto di appoggiare).
Ció
premesso, non staró a riferire degli ultimi avvenimenti, anche
perché questi apparirebbero superati dalle novitá che potrebbero
maturare da un giorno all’altro, da un’ora all’altra, il tempo
di passare da un telegiornale all’altro.
Preferisco
dare due chiavi di lettura “stabili” – diciamo cosí – nel
senso che manterranno la loro validitá a prescindere dai fatti che
potrebbero verificarsi nel tempo. Queste chiavi di lettura – come
vedremo – a un certo punto si sovrappongono, almeno nel teatro
libico: le differenze interne al mondo islamico, e il ruolo
dell’Italia negli scacchieri interessati.
Cominciamo
dal primo: cosí come la Cristianitá si divide fra cattolici,
ortodossi e protestanti, anche l’Islam ha le sue divisioni. La
principale di queste é quella tra i sunniti (che rappresentano oltre
l’80% del totale e che sono maggioritari in quasi tutti i paesi
musulmani) e gli sciiti (il 12%, dominanti in Iran, Iraq, Siria,
Libano e in altri paesi del versante asiatico). Allo stato, i
paesi-guida dei due campi – l’Iran sciita e l’Arabia Saudita
sunnita – sono in forte contrasto tra loro, ed anzi combattono una
vera e propria guerra strisciante nello Yemen. Il motivo é che la
dinastia araba dei Saud teme che il suo potere e i suoi interessi
possano essere insidiati dalla non trascurabile minoranza sciita
nella penisola araba. E non dimentichiamo che sono in ballo i
colossali interessi della rotta del petrolio che passa per lo stretto
di Ormuz.
Altro
fattore da tenere presente é che il terrorismo islamico nelle sue
varie declinazioni (al-Qaeda, ISIS e altre minori) é tutto, ma
proprio tutto, di matrice sunnita. Anzi, la patria d’origine di
quel terrorismo é proprio l’Arabia Saudita; cosí come la base
religiosa dell’islamismo piú sanguinario é il wahabismo, cioé
addire la corrente sunnita fondamentalista che é dominante
nell’Arabia Saudita. Aggiungo che, secondo molti osservatori, lo
stesso ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e della Siria) é stato una
creatura dei servizi segreti sauditi e di altri paesi del Golfo, allo
scopo di distruggere Siria, Iraq e Libano, per poi meglio poter
aggredire l’Iran. Progetto che – secondo alcuni – sarebbe stato
sostenuto piú o meno direttamente anche da Israele e Stati Uniti,
non a caso riferimento di “caschi bianchi”, ONG sospette e gruppi
terroristici cosiddetti “moderati”.
Al
contrario, l’Iran e gli sciiti hanno sempre combattuto il
terrorismo islamista in tutte le sue sfumature, producendo un grosso
sforzo militare e finanziario. Il generale Soleimani – quello
assassinato da un drone americano – é stato uno
degli uomini che piú ha contribuito alla sconfitta militare
dell’ISIS. Ne discende che la bugía israeliana – fatta propria
dagli americani – che dipinge l’Iran come una roccaforte del
terrorismo islamico é, appunto, una bugía.
Altre
differenze su cui vorrei richiamare l’attenzione sono quelle che
sussistono all’interno del fondamentalismo islamico. Parlo di
fondamentalismo “politico” – diciamo cosí – e non di
terrorismo. Orbene, in seno all’islamismo radicale un ruolo di
tutto riguardo hanno i Fratelli Musulmani, setta nata in Egitto quasi
un secolo fa ed oggi diffusa un po’ in tutto il mondo islamico. I
Fratelli Musulmani vestono all’occidentale, rifiutano la lotta
armata, non disdegnano di partecipare alle elezioni e sono oggi
considerati come una espressione moderata dell’estremismo islamico.
Apparentemente una contraddizione in termini – quella degli
“estremisti moderati” – ma che rende bene l’idea: predicano
un islam integrale e totalizzante, ma senza gli atteggiamenti
truculenti che potrebbero spaventare i non islamici o, anche, i
musulmani autenticamente moderati.
Senza
voler fare la storia del movimento (che é molto lunga e complessa),
c’é da dire che quando, alcuni anni fa, i poteri forti
dell’Occidente programmarono una serie di colpi-di-Stato mascherati
da “primavere arabe”, quella simpaticona di Hillary Clinton
decise di consegnare le nazioni arabe “liberate” ai Fratelli
Musulmani. Si cominció con l’Egitto, dove la Fratellanza era nata
e dove conservava un reale radicamento popolare, e si continuó con
altri paesi, almeno a livello di tentativi. Uno di questi tentativi
fu fatto in Libia, dove Fāyez Muṣṭafā al-Sarrāj – prestanome
dei Fratelli Musulmani – venne messo a capo di un governo
immaginario, spacciato per il governo di mezza Libia. In veritá, si
trattava di un governo rionale, in grado di controllare appena il
palazzo presidenziale e le strade circostanti.
Poi
le cose hanno preso la piega che tutti sappiamo: Hillary é andata a
quel paese, il presidente-fratello egiziano Mohamed Morsi é stato
esautorato dai militari del suo paese, e il premier-fratello
al-Sarrāj si é ritrovato solo col sostegno della “comunitá
internazionale”, cioé solamente dell’Italia e di pochi intimi.
Nel
frattempo, peró, i Fratelli Musulmani erano entrati nelle grazie
della Turchia di Recep Erdoğan, in piena fase di sganciamento dal
mondo occidentale e, piaccia o non piaccia, anche dalla NATO. Adesso
– la faccio breve – Erdoğan ha deciso di giocare la carta dei
Fratelli Musulmani su tutte le ruote, ed ha colto al balzo
l’occasione per correre in soccorso di al-Sarrāj, sul punto di
essere maciullato dall’avanzata del generale Haftar, capo
dell’altro governo libico, quello di Bengasi. D’altro canto,
l’Italia – di fatto protettrice della Libia fin dai tempi di
Gheddafi – non aveva fatto nulla di concreto per aiutare il suo
nuovo figlioccio, al di lá del dono di qualche motovedetta per
contrastare il traffico di migranti.
Peraltro,
in questo momento a Roma c’é un governo che non ha né capo né
coda, con un Presidente del Consiglio che rappresenta solo sé stesso
e con un ministro degli Esteri che é una favola. Facile per la
Turchia prendere il nostro posto, occupare il nostro spazio
geo-politico, anche con la benedizione – palese o mascherata –
dell’intera “comunitá internazionale”. Non é sfuggito agli
addetti ai lavori, infatti, il vertice NATO di pochi giorni fa sulla
Libia, con la partecipazione dei Primi Ministri di Inghilterra,
Francia, Germania e Turchia, e con l’esclusione del povero
Giuseppi, che pure incrociava da quelle parti per la conferenza
dell’Alleanza Atlantica. Non é stato neanche degnato di uno
sguardo, né lui né il suo incredibile ministro degli Esteri.
Stesso
discorso quando gli Stati Uniti hanno deciso quel
passo gravissimo (e sporchissimo) che é stato l’assassinio del
generale Soleimani. Il segretario di stato Mike Pompeo (forse il
massimo responsabile di questo indegno episodio) ha trascorso due
giorni al telefono per preavvertire i capi dei governi alleati di ció
che gli USA stavano preparando. Due giorni interi – lo ha detto lui
– ma senza trovare il tempo per una telefonatina a Giuseppi, né
tampoco a Giggino. Evidentemente questo governo ha la fiducia solo di
Mattarella.
Michele Rallo
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.