In quasi tutte le mail che ricevo settimanalmente affiora con evidenza il problema del dolore. Non si tratta ovviamente di dolori fisici ma di un “peso poco sopportabile che si avverte nel petto e sembra perfino influenzare il respiro e la circolazione del sangue”. Così lo descrive nel suo messaggio un laureato con 110 e lode che ora non sa che fare per dare un senso alla propria vita dato che ovunque si rivolga incontra il nulla.
Si direbbe che la condizione umana stia superando ogni limite di smarrimento e di oppressione.
Fin qui ho sempre trovato qualche risposta soddisfacente.
Ma ora, proprio oggi mi sono arrivate tre Mail che chiedono esplicitamente “Secondo te Silvano, cos’è il dolore?”
Ho quindi incominciato a riflettere sul fatto che alcuni anni fa avevo in mente di elaborare un saggio intitolato L’INUTILITA’ DEL DOLORE la cui stesura ho sospeso per via di un flusso tragico di dolore generale emerso dalla cosiddetta e attuale “CRISI”.
Qual’era il punto centrale del mio pensiero, allora? Ero convinto che così come qualsiasi dolore fisico ha una sua causa specifica che, una volta individuata, consente di risolvere il dolore stesso, anche il dolore interiore abbia una causa che va individuata, rintracciata e risolta.
Quasi sempre il dolore psichico trae origine da uno stato di impotenza, all’interno del quale il percorso del “fare” diventa diafano e spesso inesistente.
Basta far credere che senza lavoro non si puo’ esistere e al tempo stesso rendere impossibile a milioni di individui trovare un qualsiasi posto di lavoro.
Si tratta in questo caso di rintracciare i legami che immobilizzano l’essere e gli impediscono di agire. Spesso i legami più problematici sono quelli relativi all’ambito familiare, a quello del lavoro o della disoccupazione, a una gestione sottomessa dell’affettività, alla cosiddetta “solitudine”.
Erroneamente l’isolamento viene definito solitudine, tanto che gli antichi pensatori romani definivano la solitudine “la sola beatitudine”.
Come si esce da questo equivoco? Scoprendo che l’isolamento è causato dall’assenza di un reale sentimento di amore per se stessi e quindi l’emersione del conseguente bisogno di affetto esterno per colmare il vuoto dovuto all’assenza di un qualsiasi sentimento di amore reale per il proprio essere.
Si tratta innanzitutto di scoprire la propria vera preziosità. Basterebbe anche solo conoscere il reale funzionamento del proprio corpo, la spettacolare abissalità dell’essere che è in noi, l’unicità di ognuno che potrebbe determinare e scandire la diversità di tutti,la complessa vastità dei sentimenti, la grazia del poter vedere, sentire, toccare il mondo, la conoscenza delle immense folle di cellule che ci costituiscono e ci abitano (circa un miliardo per ogni grammo del nostro corpo).
Insomma il valore estremo di ognuno sembra svanire nell’angoscia dell’attuale e nuova perversione sociale di una Crisi, in nome della quale la minaccia quotidiana di un futuro incerto sembra cancellare ogni valore di libertà e creatività a favore di una ennesima sottomissione alla protervia del potere, specializzato in morte e analfabeta di vita.
Così incomincio a sospettare che il dolore psichico sia una chiave di volta, una garanzia di accettazione di qualsiasi follia sociale, dalle quantità immense di ossido di carbonio emesso dalle automobili (gas letale) in vergognoso ossequio alle multinazionali del petrolio che vengono quotidianamente permesse in ogni città, alla fissazione che sia utile costringere tutti a credere che il lavoro sia una benedizione e che la vita vada relegata in qualche oscuro angolo del giorno o negli inquieti anfratti domenicali.
Il dolore psichico, dunque, ad ogni livello sembra essere il vero prodotto interno lordo (PIL) di ogni paese del mondo perché è l’insopportabilità del dolore psichico che rende tutti obbedienti alle migliaia di norme che rendono appunto “normali” questi insostituibili capolavori della natura che sono, all’origine gli esseri umani.
Così si va scoprendo che l’80 per cento delle risorse mondiali vengono sperperate per mantenere inalterati i meccanismi di difesa e protezione dei privilegi di pochi. Si pensi alle immense somme assorbite dagli armamenti, dalle prostitute, dalle droghe, dalle carceri, dalle scuole, dalle reclusioni nevrotiche negli angusti spazi familiari.
Si pensi che con un quinto delle spese militari si potrebbe procurare un buon pranzo caldo e una casa gratuita a sette miliardi di esseri umani e che invece le mafie imperanti sono giunte al colmo di far pagare un pizzo permanente sulla propria casa conquistata a fatica nell’intero corso della propria esistenza.
Allora, se mai lo scriverò, il mio saggio non si intitolerà “L’inutilità del dolore”, ma più realisticamente “La perversa utilità del dolore”.
Silvano Agosti
Mi torna spesso alla mente la mia prima poesia, concepita all’età di otto anni.
Ho dipinto la nuca
Di un istante,
col volto scarno
delle mie memorie.
Mi ero distratto,
guardando di sfuggita,
la fragile commedia della vita-
(Fonte: Diario di Silvano Agosti - 1° maggio 2012)
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