La specie umana fa parte della natura, e per qualche motivo tra le varie ramificazioni alternative del suo possibile sviluppo ad un certo punto (non l'altro ieri) si è incamminata sulla via dell'organizzazione fortemente gerarchica ed autoritaria, che ha condotto alla formazione degli stati così come li conosciamo.
Ciò significa che hanno prevalso da un lato la mentalità del dominio e dall'altro quella del gregario.
Il risultato è che ormai gli individui crescono entro culture ben sviluppate intorno all'idea di comando ed obbedienza, che forma una mentalità pregiudiziale difficile da cambiare.
L'obbedienza non è una virtù, è anzi un vizio che deprime l'intelligenza, ma viene spacciata come fosse ovvia necessità, e lo spirito critico contro questo mostruoso stato di cose fatica ad affermarsi.
Vale sempre l'esempio del semaforo: ci si ferma al rosso perché è logica ed utile una regola convenzionale che ci protegge dai danni, non per obbedienza ad una autorità.
E' la logica che impone di fermarsi, non la polizia stradale. Noi abbiamo bisogno di pensiero, non di polizia.
Dove non c'è sufficiente pensiero subentra la violenza, e dove c'è la violenza vi è certamente carenza di pensiero.
Quanto più vi è pensiero tanto meno vi è violenza.
La violenza degli stati mostra da sé la carenza di pensiero soggiacente. Ma la pura e semplice eliminazione ipotetica degli stati non basterebbe ad eliminare la violenza.
Perché lo stato non è la radice del problema, ne è un frutto, essendo non un ente autonomo, bensì lo strumento impiegato dalla classe dominante di turno per esercitare il proprio dominio.
La radice del problema sta dunque nell'accettazione psicologica, mentale ed operativa del meccanismo "dominio-obbedienza".
Vincenzo Zamboni
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