giovedì 15 gennaio 2015

Funerali del Charlie Hebdo, in assenza di habeas corpus...


Ante scriptum 
Dopo la strage di Parigi NON sono stati mostrati:
1) I cadaveri,
2) Le ferite,
3) Le autopsie,
4) Le perizie balistiche, con la determinazione precisa dei proiettili e delle armi che li hanno esplosi.
Questo rende impossibile una versione CERTA dell'episodio.
E per domani sono previsti i funerali.
Eppure, si tratta di materiale disponibile, e che è stato disponibile all'amministrazione francese.
Dunque, perché niente viene mostrato ?
Ogni ipotesi non autocontradditoria è lecita.

Una tra tante:
Se le persone assassinate nella redazione sono state uccise a colpi di kalashnikov, si vedrebbero evidenti le ferite vistose provocate da quel tipo di arma.
E diventerebbe così sempre più problematico spiegare le anomalie del filmato in strada, quello in cui l'uomo sul marciapiede viene colpito più volte senza mostrare (nonostante che il suo corpo si sia anche rotolato da un fianco all'altro) il benchè minimo segno di ferite, sangue, sussulto del corpo, rinculo dell'arma.

"Ci saranno senza dubbio monumenti alla memoria di Kennedy. Ma il migliore monumento che la nazione potrebbe dedicargli sarebbe una esauriente indagine sulle cause del delitto. Il lavoro della commissione Warren è vergognoso" (New York Herald Tribune, 1964).

Finora, sembra che le stesse considerazioni si possano fare per Charlie Hebdo.
Vincenzo Zamboni
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Articolo di utile lettura
Parliamoci chiaro: i responsabili della strage che è avvenuta il 7 gennaio 2015 negli uffici di Charlie Hebdo sono gli uomini che hanno premuto il grilletto dei Kalashnikov puntati sui redattori. Non abbiamo bisogno di attingere al nostro grande repertorio di epiteti etici per trovarne uno che si addica a questi uomini; non c'è bisogno di parlare di "barbarie," o di "una completa assenza di valori civili," o ancora blaterare su come questi uomini siano diventati fondamentalisti islamici—perché già conosciamo la risposta—ma ciò che possiamo inequivocabilmente asserire è che questi uomini, in quei momenti di grida e spari, erano malvagi. Sempre che per malvagità intendiamo questo: un egocentrismo cresciuto come un cancro—una brama di status, potere e "importanza" che si è impadronita dei loro cervelli di assassini come una metastasi. Il problema dei fedelissimi dei valori occidentali è che ciascuno di noi possiede in sé la capacità di compiere il male—è una capacità intrinseca all'ego; così i manifestanti che si sono riuniti in Place de la Republique, agitando cartelli con la scritta "JE SUIS CHARLIE" avrebbero potuto benissimo tenere in mano cartelli con la scritta "NOUS SOMMES LES TERRORISTES".
Il filosofo politico Alexis de Tocqueville aveva osservato che la legge esiste per frenare i nostri peggiori impulsi, non per stimolare i più positivi. Quei politici, leader religiosi e opinionisti che nelle ore e nei giorni successivi alla tragedia hanno parlato della libertà di espressione come conditio sine qua non della libertà e fondamento della civiltà, farebbero bene a tenere a mente sia le parole di Tocqueville che la propria storia: la nascita della Repubblica francese fu accompagnata da una giustizia cieca e sorda—il regime del Terrore. Quando i sanculotti presero d'assalto la Bastiglia, trovarono nell'antico bastione un gruppo di detenuti, tra cui il Marchese de Sade, il quale subito venne elevato alla posizione di membro del Tribunale rivoluzionario, incaricato di condannare aristocratici e altri reazionari alla ghigliottina. Quello fu un bell'esempio di liberazione—se con questo termine si intende l'acquisizione della libertà di uccidere per fini politici.
L'idea che i pensatori laici francesi hanno del loro sistema politico (e allo stesso modo gli inglesi del proprio, gli americani del proprio e così via) è di un organismo che non solo incoraggia i comportamenti migliori, ma che se perfezionato porterà l'intera popolazione a essere completamente libera e buona. È un processo considerato inarrestabile sia dalla destra che dalla sinistra—sia esso azionato da qualche sorta di "selezione naturale" della morale o dal determinismo storico. Per i suoi sostenitori, questo processo di perfezionamento della morale umana è ancora in corso, e finirà solo quando sulla Terra verrà costruito un paradiso (senza Dio). Eppure questo sublime progresso è proprio ciò che viene negato e deriso non solo dagli omicidi dei redattori parigini, ma dagli attacchi occidentali in Siria, Iraq e Waziristan, anch'essi crimini condotti per fini politico-religiosi. Viene negato anche dal clamore e dall'indignazione che seguono ogni azione terroristica, per la violazione di quegli stessi aspetti della legge che esistono per frenare i nostri peggiori impulsi, in particolare i peggiori impulsi di chi ci governa—un processo regolare, una giuria imparziale, l'habeas corpus, la libertà dalla tortura di stato e dagli omicidi extragiudiziali.
Il numero commemorativo di Charlie Hebdo avrà una tiratura di un milione di copie, finanziata anche dal governo francese; vale a dire che gli scrittori satirici sono stati cooptati dallo stato, la stessa istituzione che secondo voi non avrebbero mai dovuto smettere di attaccare. Ma una domanda sorge spontanea: i redattori di Charlie Hebdo erano davvero satiristi, se per satira si intende l'utilizzo dell'umorismo, del sarcasmo e dell'ironia a fini di riforma morale? Quando c'è stata la questione dellevignette danesi mi sono accorto che per stabilire se si tratti effettivamente di satira utilizzo la definizione di buon giornalismo data da H.L. Mencken: ossia che dovrebbe tranquillizzare chi soffre e far soffrire chi è tranquillo. Il problema di molta di quella che oggi viene chiamata 'satira' è che, nei casi in cui è rivolta contro l'estremismo religioso, non è chiaro contro chi si scaglia né chi cerca di difendere.
L'ultima vignetta disegnata da Charb, ex direttore di Charlie Hebdo, mostrava un jihadista con indosso un cappello chiamato pakol—il che farebbe dell'uomo un afghano, e quindi un soggetto difficilmente coinvolto negli attacchi terroristici in occidente. Nella didascalia della vignetta si legge: "Ancora nessun attentato in Francia," mentre nel fumetto che fuoriesce dalla bocca del jihadista afghano compaiono le parole: "Aspetta, abbiamo ancora tutto gennaio per fare i nostri auguri."
Profezia della vignetta a parte, e senza considerare la stranezza di un direttore pronto a morire per le sue convinzioni (perlomeno, così si era espresso lo stesso Charb dopo l'incendio degli uffici di Charlie Hebdo nel 2011) e il dubbio che i suoi bersagli fossero corretti o meno, è giusto considerarla satira? Qualunque cosa possiamo pensare di queste persone così in preda alla loro natura malvagia da essere pronti a uccidere per le proprie illusioni, una cosa è certa: non sono in una posizione agiata. Inoltre, se la vignetta di Charb ha probabilmente provocato sorrisi sarcastici fra i lettori di Charlie Hebdo, non mi pare che questi lettori siano gli "afflitti" che secondo la definizione di H.L. Mencken necessitano di essere tranquillizzati o confortati—a meno che la loro afflizione non sia la presenza stessa di una solida popolazione musulmana in Francia, e il loro conforto consista nell'etichettare tutti questi concittadini come terroristi.
Con ciò non voglio assolutamente giustificare l'omicidio di Charb e degli altri redattori—un atto che, come ho detto all'inizio, è pura e semplice malvagità; ma la nostra società fa della "libertà di parola" una vera e propria ossessione, senza mai chiedersi quali responsabilità siano sottese a questo diritto. E poi fa anche un feticcio della "libertà", concepita come modo di agire degno del Superuomo nietzschiano—quando in realtà, come molti di noi capiscono perfettamente, siamo grottescamente limitati in quasi tutto ciò che facciamo—e a limitarci sono in primo luogo i nostri sanguinari istinti animali.
di Will Self  - http://www.vice.com/it/
 Will Self
Illustrazioni di Nick Scott. La foto di Will Self è di Valerie Bennett



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