All’interno della rassegna stampa nella rubrica internazionale con un compagno del collettivo Tazebao, diamo alcuni aggiornamenti sull’evolversi della guerra in Siria, a partire dalla notizia dell’attacco da parte dei cosiddetti “ribelli” contro i caschi blu filippini sulle alture del Golan. Ricordiamo che nella zona si trovano circa 1200 caschi blu di Fiji, India, Irlanda, Nepal, Paesi Bassi e Filippine. Inoltre, in un corollario mediatico in cui si continua a parlare di “peacekeeping”, torniamo a fare alcune riflessioni sul termine “ribelli”, ancora in buona parte utilizzato dai media mainstream, e in parte oggi sostituito da “terroristi”:
http://www.radiazione.info/2014/09/sulla-guerra-in-siria-e-sui-cosiddetti-ribelli/
Data la grande velocità con cui gli avvenimenti si susseguono e vista la grande confusione creata ad arte dai media mainstream, tentiamo, nel nostro piccolo, assieme a un compagno del collettivo Tazebao, di cercare di fornire qualche strumento interpretativo per comprendere la guerra in corso in Iraq.
Il regime di Al Maliki, con l’oppressione contro le masse arabo sunnite del centro nord del paese, ha determinato le condizioni affinché buona parte del popolo di queste zone appoggiasse i fautori del califfato come liberatori. Oggi, per i regimi sunniti, l’avanzata jihadista è un’occasione per destabilizzare e limitare l’influenza iraniana a Baghdad e, nel contempo, un’occasione per gli Usa per tornare a bombardare.
Tentiamo però di avere uno sguardo complessivo, a partire da una dichiarazione datata ma esemplificativa di Wesley Clark, generale statunitense ed esponente del Partito Democratico che, nel novembre 2001, mentre gli Usa conquistavano Kabul, dichiarò: “Attaccheremo sette paesi in cinque anni. Inizieremo con l’Iraq. Poi Siria, Libano, Libia, Somalia, Sudan; ci riprenderemo l’Iran in cinque anni”.
-Rispetto a queste “tappe”, possiamo dire che siano state rispettate dagli imperialisti?
-Un piccolo focus sulle società petrolifere presenti in Iraq, con tanto di contractors privati: Exxon e Chevron le maggiori. L’elenco del Washington’s Blog: 11 compagnie americane, 6 canadesi, 3 turche, tre britanniche più una anglo-francese, 2 degli Emirati e 2 della Russia (una è Gazprom), una francese (Total), una per Austria, Spagna, Ungheria, Norvegia e una per la Cina e per l’India (Sinopec e Reliance) e persino per Sud Corea e Nuova Guinea. (La “nostrana” Eni è in prima linea nello sfruttamento di persone e risorse nel campo di Zubair nel sud Iraq, vicino a Bassora).
-Come leggiamo i rifornimenti di armi ai combattenti curdi
contro l’Isis, rispetto anche alla questione petrolifera? E soprattutto chi sono
precisamente i curdi che vengono armati? Affrontiamo questi punti anche per fare
chiarezza rispetto ad alcuni termini utilizzati nella malainformazione voluta e
condotta dai media mainstream.:
Articolo collegato: http://ilmanifesto.info/chi-ha-fatto-salire-lasino-sul-minareto-lo-faccia-scendere/
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Articolo integrativo
Correva l'anno 2001 quando il piano "Grande Medio Oriente" venne definito dall'amministrazione Bush quale progetto di suddivisione dell'Iraq in tre stati più piccoli, come se toccasse alla Casa Bianca metter naso nella vita altrui e definire i confini degli stati (mania paranoica ossessiva statunitense di controllo su mondo). L'operazione non riuscì all'esercito invasore nel 2003, tuttavia il piano venne approvato ed adottato dal congresso nel 2007. Per la realizzazione del piano gli Usa hanno costituito, finanziato ed armato gruppi politici e militari locali, come l'Isis, realizzato sotto la direzione del dipartimento di stato di John McCain, già criminale di guerra internazionale in Vietnam. UN articolo di Claudio Fracassi su Popoff mostra anche le fotografie del senatore McCain a congresso con i leaders locali di Isis. Una della attività principali del gruppo militare, che occupa la zona nordoccidentale dell'Irak e parte della zona siriana confinante, è stata la vendita del petrolio locale; con l'aiuto dei tecnici israeliani ha tagliato le forniture alla Siria, e permesso la vendita del petrolio di Karkhouk, principalmente all'Arabia Sauditae ad israele, per la rivendita tramite la società Aramco. Fa osservare Thierry Meyssan, su Voltaire Network (23.06.14) che da quando il governo irakeno di Al Maliki ha emesso una denuncia del furto, le principali società che operano nella zona (Chevron, Hess, Total) non hanno più voluto comperare il petrolio venduto dall'Isis, per non rimanere implicate come complici, e la politica di rivendita del petrolio rubato ha dovuto riadattarsi a nuovi scenari. Tant'è vero che secondo James Phyllips, analista del medioriente per la Heritage Fundation, ora Isis vende il petrolio di Karkhouk alla Siria, nonostante la situazione di conflitto tra i due soggetti relativamente alla zona di confine (ma anche Esso e Standard Oil vendettero carburante al governo nazista durante la guerra tra Germania ed Usa...).
Questo è un cambiamento politico che può essere al'origine dell'insistenza con cui il governo Usa vorrebbe intervenire miltarmente in Siria, a questo punto sia contro il governo che contro gli stessi gruppi armati che ha costituito ma sono sfuggiti al controllo americano, come ha ammesso Hillary Clinton, altra criminale internazionale di guerra. Esattamente come i tempi di Al Quaeda, costituita dalla Cia in Afghanistan come alleato antisovietico, e poi sfuggita in parte dal controllo quando il principe Osama Bin Laden si rivoltò contro i protettori statunitensi per vendicare l'occupazione del suolo arabo. Ancora una lite in famiglia, dunque, tra protettore capobastone mafioso di Washington e picciotti regionali asiatici.
La Casa Bianca prospetta bombardamenti, che l'anno scorso furono vietati dall'opposizione di Russia e Cina (oltre che dal loro pattugliamento militare navale delle coste locali), ed anche quest'anno abbiamo visto l'intervento politico del presidente Putin, il quale ha osservato che un intervento senza il mandato Onu sarebbe palesemente illegale, con tutte le conseguenze del caso, ed è ovvio che con Russia e Cina membri del Consiglio di Sicurezza ad una eventuale risoluzione di intervento subentrerebbe il veto.
Ma dal momento che il sedicente presidente Usa promette bombardamenti sul suolo siriano con la scusa dell'Isis, egli si rende ancora una volta colpevole di progettare terrorismo (azione militare contro civili non combattenti, gli abitanti delle città che verrebbero colpite dai bombardamenti), sicchè deve venire arrestato e processato per istigazione a delinquere ed associazione a banda armata terroristica internazionale. Tutto ciò vada dunque recepito come ordine di cattura internazionale esecutivo nei confronti dell'abbronzatissimo Oblabla-ma Bin Barak, sedicente presidente degli stati uniti, da catturare vivo o morto, nell'abito della lotta internazionale per la liberazione del pianeta dai suoi più sanguinari delinquenti organizzati, che utilizzano numerose bande armate di sicari terroristi, tra le quali l'esercito degli Usa, i suoi contractors privati, e lo stuolo delle bande armate alleate Nato, insostenibile gravame per l'umanità e per la sua giusta propensione ad un mondo di pace, coesistenza e cooperazione tra gli individui e tra i popoli.
A tal fine, i paesi aderenti all'Onu ed alle Convenzioni di Ginevra hanno l'obbligo di contribuire a disarticolare ed annientare tali bande armate di stato e i loro vertici operativi, che debbono essere fermati, posti in condizioni di non nuocere, e processati per i loro delitti.
A cominciare dai 500.000 morti provocati dal blocco commerciale contro l'Irak negli anni '90, seguiti dalla immensa inutile strage genocida realizzata con l'invasione delle bande armate Usa ed alleate.
Vincenzo Zamboni
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