- L’onda concentrica del cosiddetto “movimento dei forconi” smuove le acque e rende più aperta la partita tra mobilitazione rivoluzionarie e mobilitazione reazionaria
- Gli operai avanzati possono e devono diventare il centro di aggregazione e organizzazione di tutte le forze popolari
- Nessuno escluso: agire ora! Formare da subito un Comitato di Salvezza Nazionale, cacciare il governo Letta-Napolitano e instaurare un governo d’emergenza popolare
Ne riportiamo i passaggi salienti.
“Ovviamente, quando c’è rabbia c’è egoismo e i ragionamenti sono molto elementari. E anche folli, come quello di un governo di transizione tenuto da militari.D’altra parte anche noi quando cominciammo la protesta all’inizio degli anni ’90 facevamo discorsi tipicamente Nimby, quelli che la gente capisce di più. Ma oggi, a forza di parlare e confrontarci nelle piazze, siamo arrivati tutti insieme alla critica del modello di sviluppo insostenibile”
“In un nostro recente convegno ho detto che dovremmo scendere in piazza insieme a questa gente, così eterogenea, così disorganizzata e perciò molto genuina. Perché se li lasciamo in mano alla destra facciamo la fine della Grecia con Alba Dorata. (…)È chiaro che è difficile gestire una cosa così, ma non per questo bisogna rinunciarci. D’altronde in Bretagna abbiamo visto la protesta dei “baschi rossi” che non erano mica un movimento di destra eppure hanno fatto delle cose tremende, di una violenza inaudita: altro che barricate! E in Belgio i pompieri si sono scontrati duramente con la polizia. Voglio dire che la sinistra faccia attenzione a non regalare alle destre tutto ciò che non passa per le organizzazioni politiche o sindacali.
“Questi movimenti confluiti nel Coordinamento mi sembrano autoreferenziali: non hanno alcun contatto vero con la gente. Certo, i coordinatori hanno avuto la buona idea della mobilitazione, hanno spinto le persone a spegnere le televisioni e a scendere in piazza. E di questo dobbiamo essere contenti. Ma quando li ho visti e sentiti a Torino, in piazza Castello, ho capito che non hanno una vera presa sulla gente, usano un linguaggio che non arriva a tutti. D’altronde quando hai persone così eterogenee non puoi fare il capopopolo che cerca di convincere tutti. E infatti dopo giorni di protesta non hanno ancora visto alcun risultato. Le manifestazioni di questi giorni a Roma dovevano farle prima”.
Il dibattito attorno alla mobilitazione iniziata il 9 dicembre ha il pregio di fare da spartiacque tra due tendenze, una avanzata (quella sintetizzata da Perino, ma non solo) e una arretrata (quelli che hanno scambiato la mobilitazione iniziata il 9 dicembre per la premessa di una nuova marcia su Roma, un golpe militare - ??!! – o che hanno liquidato le piazze e i presidi come “fascistume”).
Andando per punti (e in alcuni casi dobbiamo ripetere cose già dette).
1. Di fronte a ogni movimento di massa, non bisogna partire dalle idee dei partecipanti e da chi sono i suoi leader, ma dalle classi che lo compongono, dal ruolo che svolge nel contesto generale e dal ruolo che possiamo fargli svolgere attraverso il nostro intervento. Il grosso di chi scende in piazza in questi giorni sono gente nostra, è gente che per vivere deve lavorare (a differenza dei Ligresti, dei Riva, dei Marchionne, dei banchieri e speculatori, dei cardinali, dei ministri, sottosegretari e dei politici di destra, centro e sinistra e di quanti vivono nel lusso anche senza lavorare o, se lavorano, non lo fanno per vivere ma per aumentare le loro ricchezze). I loro nemici sono gli stessi del movimento NO TAV, degli immigrati “disinfestati” nei nuovi campi di concentramento a Lampedusa, dei movimenti per la casa, degli studenti in lotta contro la distruzione della scuola pubblica, degli autoferrotranvieri di Genova e di Firenze, degli operai dell’Ilva e dei cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto, degli operai mobilitati contro la chiusura, la delocalizzazione o il ridimensionamento delle fabbriche, dei precari e dei disoccupati, del fiumeinpiena in Campania. Non vanno lasciati in mano alla destra solo perché “non passano per le organizzazioni politiche e sindacali”, dice giustamente Perino... non solo per le organizzazioni che collaborano apertamente con questo governo di predoni e criminali al servizio dei mercati finanziari, ma neanche per quelle organizzazioni combattive che però finora sono restate sul terreno della protesta, della rivendicazione, dell’opposizione.
2. Almeno alle sue origini (cioè all’avvio delle mobilitazioni, il 9 dicembre) il movimento detto “dei forconi” ha posto con chiarezza e senza mezzi termini la questione del governo del paese: via il governo Letta e via la classe politica e dirigente che negli ultimi decenni ha fatto solo gli interessi propri e quelli degli amici degli amici. Le proposte che vi hanno affiancato sono lo specchio della composizione di classe, della debolezza del movimento comunista, dei tentativi di infiltrazione di organizzazioni fasciste e di faccendieri politicanti… Chi pretendeva che indicassero come soluzione il socialismo, vive probabilmente in un altro periodo storico, chi si aspettava che indicassero un modello (social)democratico vive probabilmente in un altro pianeta. La confusione, l’approssimazione (inevitabile), la “grossolanità” e le tendenze reazionarie (una giunta militare di transizione) non intaccano il fatto che l’obiettivo di questa mobilitazione è più realistico (e quindi avanzato) delle tante piattaforme e rivendicazioni belle colorite da fare a questo o quel governo, questa o quella autorità della Repubblica Pontificia che non hanno nessuna intenzione di soddisfarle (non lo diciamo noi, sono i fatti che stanno lì a dimostrarlo). Quale governo instaurare al posto dell’attuale e come?
3. L’onda concentrica del cosiddetto “movimento dei forconi” smuove le acque e rende più aperta la partita tra mobilitazione rivoluzionaria e mobilitazione reazionaria. Saranno i comunisti, gli operai avanzati, i movimenti e gli organismi progressisti ad avviare un nuovo corso o nell’immediato prevarranno i promotori delle prove di fascismo? Questa la posta in gioco nell’immediato futuro.
4. La faccia pubblica e la testa di questo movimento detto “dei forconi” non poteva essere altro che quello che è, stante lo snobismo, il senso di sconfitta, l’abitudine a “volare basso”, la mancanza di prospettiva e la mancanza di decisione ad andare fino in fondo che caratterizza e qualifica la maggioranza dei portavoce e dei promotori del movimento popolare nel nostro paese (dirigenti dei sindacati di base, della sinistra sindacale, di organismi popolari, sinceri democratici e progressisti). Ha ragione Perino quando dice dei leader del movimento: “Questi movimenti confluiti nel Coordinamento mi sembrano autoreferenziali.Quello che leggiamo in questa definizione va oltre le due righe in cui è sintetizzata. Significa che se questi leader sono autoreferenziali per sviluppare e orientare il movimento che hanno avuto il pregio (e per certi versi il coraggio) di promuovere, per svilupparlo, per raggiungere l’obiettivo di cacciare il governo Letta e la classe politica e dirigente (giusto, realizzabile, concreto, di prospettiva) ha bisogno di altri leader. Quali? Chi?
E’ nell’ordine delle cose che il movimento NO TAV abbia un ruolo centrale nel dare uno sbocco positivo e costruttivo alla situazione: in questi anni ha conquistato sul campo l’autorevolezza per mettersi alla testa della sollevazione che in tutte le piazze d’Italia sta raccogliendo settori ampi, variegati, plurali delle masse popolari, per far confluire i diversi settori delle masse popolari che protestano, si mobilitano e lottano in un unico grande movimento per ricostruire il nostro paese.
Perino e gli altri portavoce del movimento NO TAV sono nella posizione per essere quegli “altri leader”, per costituire quel centro autorevole che occorre non solo al movimento 9 dicembre, ma a tutto il movimento popolare contro la crisi, i suoi effetti e i suoi responsabili. Detto in altri termini, per formare da subito un Comitato di Salvezza Nazionale che chiami lavoratori dipendenti e autonomi, precari, disoccupati, studenti, pensionati e immigrati a organizzarsi e mobilitarsi senza tregua per cacciare questo governo illegale e illegittimo, per far fronte direttamente e in ogni modo agli effetti peggiori della crisi e per costituire un governo d’emergenza popolare. Questa è, oggi, la natura delle tante mobilitazioni che “la sinistra popolare e progressista” tiene ancorate a un’ottica rivendicativa (contrattare con il governo, chiedere al governo, pretendere dal governo) e a cui preclude la strada possibile (governare!).
Senza giri di parole e peli sulla lingua, le parole di Perino chiamano in causa i tanti autorevoli personaggi che possono assumere un ruolo ben superiore a quello che oggi possiamo assumere noi P.CARC. Da Maurizio Landini che in TV minaccia di occupare le fabbriche che chiudono o de localizzano e parla di piano per il lavoro a Guido Viale [link 1, 2], che ha più volte prospettato misure e provvedimenti concreti per far fronte agli effetti della crisi a Ugo Mattei, uno dei padri del referendum sul’acqua e i beni comuni, cioè di un nuovo concetto di cittadinanza attiva, protagonismo e morale collettiva; da Giulietto Chiesa, che tra i primi ha lanciato l’obiettivo di un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale a Giorgio Cremaschi, che rappresenta quella parte di sindacato confederale che aspira a rimettere al centro dell’esistenza stessa della CGIL la conflittualità fra capitale e lavoro; da Leonardi e Tomaselli e tutti i dirigenti del sindacalismo di base a Di Vetta e Fagiano, gli animatori del movimento di lotta per casa e gli aggregati che sono stati protagonisti delle mobilitazioni d’autunno (Blocchi Precari Metropolitani e con loro tutto il circuito di Abitare nella crisi); da Accorinti e gli altri esponenti democratici delle amministrazioni locali e della società civile promotori de Le Città in Comune fino a quegli eletti e a quegli esponenti del M5S che hanno le radici piantate nel terreno della mobilitazione popolare (e a maggior ragione dopo le posizioni prese dal “garante del M5S”, Grillo, sul ruolo delle forze dell’ordine in questa fase).
Siamo consapevoli che ognuno degli autorevoli soggetti che abbiamo nominato, compresi quelli che abbiamo tralasciato, che ognuno degli aggregati che abbiamo chiamato in causa sono diversi, hanno caratteristiche, analisi e sensibilità proprie. Ma oggi, con la questione del governo del paese portata nelle piazze e nelle strade da un aggregato di leader contraddittori e “autoreferenziali”, con le manovre concrete per promuovere la mobilitazione reazionaria (dire che non sono tutti fascisti non equivale a dire che non ci siano tentativi di infiltrazione, sdoganamento, camuffamenti vari da parte delle organizzazioni fasciste…), a tutti coloro che chiamiamo in causa è richiesto un passo avanti, è richiesto di fare il passo di costituirsi in Comitato di Salvezza Nazionale e portare così a un livello più avanzato la lotta delle masse popolari organizzate per governare il Paese.
La forza decisiva
La confluenza dei lavoratori autonomi in un unico grande movimento per ricostruire il paese e, in definitiva, anche il fatto che i personaggi già oggi autorevoli prendano l’iniziativa di formare un Comitato di Salvezza Nazionale marcia sulle gambe e sulla spinta delle organizzazioni e dei coordinamenti operai. A partire dagli operai che hanno “occupato la fabbrica”: si sono organizzati e hanno iniziato a occuparsi direttamente del futuro della fabbrica, a essere punto di riferimento, voce e presenza alternativa e antagonista alla direzione ufficiale e “legale”, il padrone, e alla sua longa manus (le dirigenze nazionali e spesso anche locali dei sindacati di regime, o comunque di forze sindacali filo padronali). Lo hanno fatto e lo fanno gli operai della SAME di Treviglio (i “ribelli della SAME”), quelli della Piaggio a Pontedera, della Ferrari a Modena… ma un elenco completo non si può fare. A loro il compito e la responsabilità di fare il secondo passo: uscire dalle fabbriche. Per quanto possa sembrare difficile è ciò di cui tutte le masse popolari hanno bisogno, ed è ciò di cui hanno bisogno anche loro per spingere avanti la specifica lotta che conducono, per inserirla e inquadrarla nella mobilitazione generale per costruire la nuova governabilità del paese ad opera delle masse popolari organizzate. Tre piccoli esempi nel grande mare della mobilitazione e del conflitto in corso.
Un appello dai lavoratori alle forze sindacali conflittuali e di base: solleviamoci!
Partito dei Comitati di Appoggio alla Resistenza - per il Comunismo (CARC)
Via Tanaro, 7 - 20128 Milano - Tel/Fax 02.26306454
e-mail: resistenza@carc.it – sito: www.carc.it
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