A
Milano arrivava, per noi bambini, Gesù Bambino.
Sono
stato un bambino fortunato: ero il più piccolo della famiglia e
godevo della posizione privilegiata. In più, a quei tempi, la
famiglia era Famiglia.
Non
sto a descrivervi l’emozione dell’avvicinarsi, in pigiama,
all’Albero, ai cui piedi, radici magiche, risplendevano le carte
colorate dei pacchetti portati dal Bambino. Era felicità pura, ed,
onestamente, non fui mai deluso nelle aspettative.
Non
mi tornava una faccenda, però. La mamma mi indicava alcuni
pacchetti: “Questo è il Gesù Bambino della zia Chicca, quello è
della zia Bianca….”. Il dubbio che ci fossero più Gesù Bambini
mi sfiorava e non quadrava. Ma i giocattoli annullavano i dubbi che
la ingenua e pura logica infantile proponeva e mi godevo le novità,
in attesa del pranzo famigliare, sempre diverso e sempre
un’avventura, con mamma brava cuoca ed il papà buona forchetta..
Mi
sono dilungato nel ricordo per cercare di trasmettere l’atmosfera
di speranza, di coesione, di famiglia, di umanità certa che si
respirava insieme alla nebbia milanese, “el noster nebiùn!”.
Oggi
sono vecchio, ne ho viste tante e tante onestamente ne ho fatte. Ma
il Natale di oggi, al di là delle fedi, delle credenze di ciascuno,
non è neppure lontano parente di quelli della mia infanzia e
giovinezza. Oggi il Natale, nella migliore delle ipotesi, è una
riunione famigliare, più dovuta che sentita.
I
parenti non sono più le mura difensive, sono dei tizi che bisogna
incontrare per formale abitudine. Non ci sono più i “Gesù
Bambino” della zia Chicca o della zia Bianca.
Ci
sono solo negozi con i saldi anticipati per disperazione
consumistica.
Si
può mangiare pollo tutti i giorni, ma non ha lo stesso sapore del
pollo domenicale di allora: oggi sa di plastica e di coda alla cassa
del Supermercato.
E
tutto questo non è piangersi addosso, tipico dei vecchi: è
constatazione che non c’è più nulla di valido, di umano, di
morale, tranne quello che ferocemente ciascuno cerca di difendere e
di tramandare. E’ una forma di eroismo individuale, di chi non si
arrende e che cerca di crepare in piedi, combattendo contro il nulla
che avanza.
Non
è solo una scelta “politica”, ché questa deriva da una presa di
coscienza morale. E’ una scelta di coscienza, di etica, di forza.
“O si vive come si pensa, o si finisce per pensare come si vive”:
ricordo questa frase dettaci da un professore al Liceo.
E
questo è il mio augurio di un Natale che non mi appartiene più: che
ciascuno possa vivere come “pensa”, come la sua coscienza gli
dice, e non si lasci condizionare dalle formalità, vuote e piene di
cose inutili, come questa società del 2013 ci ha abituato a vivere.
Buon
Natale, intimo e vero, a tutti: che la serenità e la felicità che
tanto formalmente si augurano in questi giorni discendano veramente
nei cuori di tutti, soprattutto nei cuori di chi mi è caro ed a cui
mando questa grama ragnatela di parole.
Auguri. Fabrizio
Belloni, cell 348 31 61 598
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