Se c’è una cosa che non dev’essere assolutamente affermata né insinuata quando di mezzo ci sono l’America e la Nato è la seguente: che dopo sessantotto anni di “liberazione” ci ritroviamo completamente asserviti, da cima a fondo, e, peggio che mai, non si vuol prendere atto che nel 1943 sulle nostre coste non sbarcarono dei filantropi intenti a spargere i semi della “libertà”, bensì le avanguardie armate di quella che poi si sarebbe tradotta in una pluridecennale occupazione politica, economica, culturale e, appunto, militare.
Invece, com’è il caso di questi giorni in cui ha toccato il culmine la protesta dei comitati e dei movimenti contrari al Muos, il nuovo sistema di radar Usa-Nato mediterraneo nell’area di Niscemi (CL), si assiste sì una sacrosanta e legittima manifestazione di dissenso, ovviamente presentata dai media come “violenta” e “pericolosa” (o addirittura “infiltrata dalla Mafia”: buona questa!), ma è completamente assente, in mezzo a rivendicazioni d’ordine pacifista, ambientalista e quant’altro, la necessaria cornice argomentativa che dovrebbe dare il segno di una svolta a questo tipo di azioni che hanno interessato nel corso degli anni i vari presidi contro il Dal Molin, Camp Darby, gli F-35 ecc.: quella caratterizzata dall’anelito insopprimibile alla sovranità e all’indipendenza della nostra nazione.
Ma se si tiene bene a mente com’è andata quasi settant’anni fa, e di come si schierarono – anche a giochi fatti, con “volanti rosse” e simili – gli antesignani di coloro che ancor’oggi sventolano, entrando nella zona militare sottratta al nostro territorio nazionale in base a “trattati” ed “accordi” i più assurdi e viscidi, le solite trite e ritrite bandiere con falce e martello, non ci si può che rassegnare a veder scomparire dall’orizzonte della protesta l’istanza sovranista.
D’altra parte, i medesimi attivisti dei centri sociali e dei gruppetti della residuale galassia comunista, tranne rarissime eccezioni (ad esempio i bordighisti) non hanno sviluppato alcun ripensamento in merito al Fascismo e alla guerra persa, e sottolineo persa dall’Italia, non dal solo Fascismo, cosicché le conseguenze di quella sciagura le stiamo pagando tutti quanti.
Al riguardo del primo, essi non vogliono prendere atto di quello che qualcuno un tantino più acuto politicamente di loro, Palmiro Togliatti, dovette ammettere quando si rivolse ai “fratelli in camicia nera” (1936), quando il Fascismo, con le sue “provvidenze” e le sue opere di carattere economico e sociale, aveva praticamente riscosso un consenso unanime sulla base dei fatti e non dei discorsi (o delle televisioni di qualcuno inopinatamente additato, nel bene o nel male, a novello “ducetto”…). Eppure si tratta per la maggior parte di studenti, che dovrebbero appunto essersi formati su qualche libro serio e affidabile, o almeno aver sviluppato quel sano “spirito critico” tanto decantato proprio in ambito laico e/o marxista, in base al quale non ci si dovrebbe abbarbicare a “dogmi” preconcetti e chiusure di sorta, in nome della suprema “libertà” dell’individuo così come lo postula una modernità che a costoro piace non poco.
Ma qui casca l’asino, perché da una parte il comunista è per mentalità “internazionalista” (salvo non ammettere che i vari regimi comunisti hanno per forza di cose sviluppato anche una politica “nazionalista”, si pensi alla Romania prima del 1989), per non dire “cosmopolita”, specie nelle sue ultime varianti (il “comunista senza Comunismo”, insomma), pertanto non è predisposto ad inorridire quando la sua patria e la sua nazione vengono ridotte in schiavitù dallo “straniero”, categoria che ha apriorisiticamente abolito dal suo panorama intellettuale (anche per favorire l’afflusso di “migranti”); dall’altra deve far finta di credere che i vari regimi comunisti siano stati tutto arcobaleni e “peace&love”, quando nella concreta pratica geopolitica hanno dovuto mostrare i denti come tutti gli altri per continuare ad esistere.
Ma se qualche saltuaria e decontestualizzata approvazione per alcuni aspetti del Fascismo è possibile aspettarsela da qualche raro comunista stalinista duro e puro (nessuna invece dagli “antifa” e dagli “anarchici” che pullulano i centri sociali e dai vari arcobalenisti fissatisi coi “diritti umani”), quando si passa a dare un giudizio sulla guerra persa – ripeto, persa dall’Italia - non c’è speranza di vedere all’opera alcun ragionamento degno di questo nome, così si va dalla generica accusa di essere entrati in una guerra – per giunta alleati col “Male assoluto”! – dalla quale “dovevamo restare fuori” (come, di grazia, se solo ci si dà la pena di considerare la prepotente e capillare presenza britannica nel Mediterraneo, che tutto era tranne il “mare nostrum”?) alla condanna senz’appello per aver mandato a morire i nostri soldati “con le scarpe di cartone” al freddo della Russia (quando è ormai chiarissimo che se di Alpini si trattava, quelli avrebbero dovuto operare nel Caucaso, guarda caso anche oggi regione d’importanza strategica vitale nel “Grande gioco”).
Come che sia, non me ne vogliano i manifestanti che con le cesoie sono andati a tagliare quello scandaloso reticolato simbolo tangibile d’ogni iattura che colpisce la nostra gente, se in queste righe posso apparire troppo severo con loro.
Non mi fraintendano: hanno fatto bene a ‘profanare’ quello che per tutti i lacchè del “partito americano” in Italia è a tutti gli effetti un santuario, un luogo destinato al culto della nostra sudditanza in cui si fa il bello e il cattivo tempo alla faccia di una nazione, quella italiana, sviata in ogni modo da una “cultura storica” ridotta a barzelletta e dalle pantomime di cui è capace il teatrino d’una “politica” di mezze tacche completamente eterodiretta.
Ma hanno sbagliato ad andarci coi simboli della falce e martello, con quelli dei loro seppur meritori comitati e con ogni altra bandiera che non fosse quella della nostra nazione. S’immagini infatti per un istante che impressione darebbe – soprattutto a Lorsignori al di là del reticolato – un presidio adornato da bandiere tricolori, inquadrato secondo una schema di tipo paramilitare e dal quale si elevassero parole d’ordine patriottiche, e si pensi invece a quali grasse risate si staranno facendo sempre i medesimi Signori quando si vedono arrivare sotto la rete una sgangherata, benché nutrita, masnada di “attivisti” in abiti ed atteggiamenti più o meno “alternativi”.
Certo, non si può chiedere a chicchessia di essere quello che non è, né biasimarlo per questo, e dovremmo pure tirare le orecchie a certa sparuta e raggirata (dai suoi ridicoli “capi”) gioventù “nazionale” che di queste cose non si occupa incessantemente come dovrebbe, ma solo di rado e ancora meno dei suddetti – e da essa odiati - “alternativi”, preferendo perdere tempo nel folclore inventato a posteriori (che italiano è uno che vuol somigliare, tappezzato di tatuaggi e avventore fisso dei “pub”, al peggio della subcultura londinese?) d’un passato irripetibile, nell’assurda faida metropolitana con le “zecche”, nell’ingozzarsi di birra e salsicce e nell’invettiva antislamica, nell’insulto a quel ministro “colorato” (intruso ed insopportabile del resto come queste basi Usa/Nato, beninteso) o, peggio, nella difesa non richiesta d’un miliardario che di occasioni per passare alla storia ne avrebbe avute e continua invece a prendere per i fondelli quelli che ancora gli danno ascolto.
Purtroppo la verità è che di patrioti autentici in questo Paese non ve ne sono. Eppure non è sempre andata così.
Che cosa faceva nei secoli passati chi contestava l’ordine vigente? Chi intendeva liberare la sua terra dall’intrusione straniera o dai venduti e traditori? Innalzava forse le sue particolari insegne spacciandole per quelle sacre per tutti quanti? Nient’affatto. Lo scontro era sempre tra chi era più degno di portare i simboli dell’autorità, appellandosi agli “dei” unanimemente riconosciuti, e così è stato ad esempio all’epoca di Roma, ma lo stesso discorso vale per tutti i grandi condottieri del passato. Agire diversamente avrebbe significato il fallimento assicurato.
In seguito, con la fine delle monarchie di diritto divino e la penetrazione nelle coscienze dell’idea di “nazione”, con la sua ‘mitologia’ e la sua ‘liturgia’, i simboli di quest’ultima sono stati fatti propri da chi riteneva di disporre dei titoli per governare, dimostrandolo nei fatti. In fondo anche il Fascismo, nato come fazione, si sforzò di rappresentare tutta la nazione italiana, il che è inconcepibile per tutte le varianti ideologiche sia liberaldemocratiche che comuniste, che da un lato postulano un irrealizzabile “bene comune” a partire dalla soddisfazione del benessere individuale, dall’altro, senza tanti giri di parole, mirano ad imporre la “dittatura del proletariato” (salvo poi sostituirle nella pratica quella dell’apparato di partito, con la sua “ortodossia” e relative ‘scomuniche’ e vacanza-premio in Siberia).
Possibile che non si riesca ad esprimere il ragionamento più lineare e logico, e cioè che non è ammissibile, per chiunque, essere comandati da stranieri, anche i più ‘discreti’ (vedete forse torme di americani in giro?), parandosi invece con ogni tipo di giustificazione, più o meno convincente, di tipo finanziario ed economico (“gli F-35 costano troppo”, “non producono occupazione”), tecnico (“gli F-35 sono un bidone”), pacifista e ‘resistenzialista’ (“mai più guerre”, “l’Italia ripudia la guerra”), ambientalista e sanitaria (“le basi inquinano”, “la popolazione si ammala”), addirittura regionalista (“no il Muos in Sicilia”, “no il poligono di tiro in Sardegna”) eccetera?
Di che cosa si ha paura, qual è il blocco psicologico irremovibile, per non riuscire a definirsi senza remore e vergogna italiani di fronte a chi si sa bene per quale tornaconto non molla la presa dopo settant’anni? Certo, loro, dal loro punto di vista, fanno bene a raccontare che sono lì per “difenderci” sempre da qualche terribile “minaccia”, ieri l’Unione Sovietica e ora “al-Qa’ida”; che siamo “alleati” ed “eterni amici” (strana “amicizia” quella imposta unilateralmente e caratterizzata da una lunga scia di “stragi impunite” ed “omicidi eccellenti”, per non parlare della sistematica rapina ed affossamento della nostra economia); che “noi e loro” siamo in fondo parte di un’unica “civiltà”, quella “occidentale” (ovvero “moderni” contro tutto il resto del mondo “rimasto indietro”)…
Sta nel loro gioco raccontare e raccontarsi panzane le più demenziali ed insostenibili alla prova della storia e della realtà quotidiana, nonché dell’antropologia pura e semplice, finché non riusciranno (e sono a buon punto) a forgiare anche qua – grazie a “cultura” e media soprattutto, ma anche a stili di vita e modelli lavorativi e familiari - un tipo umano talmente alienato che manco più percepirà chi è realmente, o meglio chi erano lui e i suoi padri.
E così, mentre si registrano questi segnali di protesta condotti nel segno sbagliato da persone che comunque a loro merito possono ascrivere l’averci messo l’impegno e la faccia, l’Italia aspetta ancora un condottiero e un manipolo di eroi che sguaini la spada della riscossa generale, col che finirà ogni sopruso ed ogni svillaneggiamento dell’occupante straniero, assieme ad ogni danno che quelli hanno generato.
Enrico Galoppini
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