Officinafloris
"…dove la morte fa baldoria, la vita è in festa"
Giovanni Floris a Viterbo - GIOVEDI 21 giugno ore 19.30 DEZZ Amore, Via delle Battaglie 5 - Fiano Romano (Roma)
Presentazione
Giovanni Floris attraversa la realtà nel tempo e nello spazio armata di una parsimoniosa rapidità, viaggia lentamente ma senza sosta, si muove nel passato, presente e futuro seguendo il ritmo e l’ispirazione dettatagli dalle onde del mare, il suo estremo rifugio. Qui, di fronte al mare e accanto al fuoco, lo scrittore ha riordinato le immagini di una vita, iniziata sotto auspici non certo vantaggiosi, in un’umile famiglia di Viterbo.
Questo libro è il risultato di una revisione, portata a termine dopo sette anni, di materiale sparso e appunti che lo scrittore ha via via accumulato nel corso di questi anni. Libro che si presenta ora al pubblico conproiettando una visione del mondo delirante; la fine di una vita, di una epoca che spera non torni più. Nello spettacolo delle rovine fumanti delle speranze dell’uomo, lo scrittore vede forse il funesto presagio del crepuscolo di un periodo storico finito troppo presto e che non ha mantenuto le promesse annunciate. Per certi versi posso affermare che questo libro di memorie – confessioni, appunti o persino testamento più che autobiografia – ci restituisce un senso di perdita, di distanza abissale, perché lo scrittore incarna perfettamente quello che si vuole definire lo spirito di un epoca, il modo di essere e di fare di un intellettuale che i tempi attuali non producono quasi più. Viaggiatore immobile posso chiamarlo, dove questa immobilità sta per “identità”, quella vocazione a muoversi continuamente per gli anni senza mai allontanarsi da se stesso. Nomade vero, non tecnico-moderno del nomadismo. Vita tutt’altro che lineare, dunque, impregnata di una sensibilità drammatica e romantica che lo porta ad un protagonismo polemico permanente che contrassegna interamente il suo libro dall’inizio alla fine. GIOVEDI è una raccolta di pezzi di vita che, in periodi e circostanze molto diverse e in un arco di tempo di mezzo secolo, tendono a ricostruire attentamente un personaggio fatto di ricordi e nostalgie di se stesso. La sua prosa è fatta di ricordi e di perdite, egli non è mai contento e ha ragione.
Ora Giovanni Floris, dopo mezzo secolo sogna l’avventura, prova repulsione per lo stile di vita borghese, ama le persone inquiete e disinteressate. Nelle pagine di questo libro è possibile comprendere il senso delle nuova ricerca: scavando nella profondità di se stesso, egli trova una corrente, un mondo parallelo che lo porta all’incontro con gli altri, con il corpo dell’umanità e con quell’entità universale ora fuori commercio, quella dei nomadi senza equilibrio, alla perenne ricerca e scoperta di un mondo concepito come l’insieme delle infinite dimore. Attraverso un percorso strutturato l’uomo va alla scoperta di un mondo parallelo dove recuperare i valori autentici in netta contrapposizione con il mondo attuale, definito dallo scrittore un contenitore vuoto dove tutto è in balia degli ABÁA, dove tutto è unto da un fattore matematico. Questa ricerca e scoperta di un mondo alternativo, puro e genuino, può essere interpretato come una dimostrazione di grande libertà interiore, alimentato dalla volontà di far coincidere la letteratura e la vita, di negare enfaticamente la sterile autonomia formale dell’istituzione letteraria. Il passaggio obbligato dell’artista del nostro tempo – scrittore realista, ermetico sperimentatore di un linguaggio, impegnato intellettualmente – appare nel percorso biografico di Floris scrupolosamente rispettato. Ogni passaggio appare come un superamento necessario e come contenuto vivo di quello successivo, sassi trascinati da un grande fiume, e nella memoria il narratore tenta di rafforzare quel senso di unità, di corrispondenza nelle diversità fra le varie fasi della vita. D’altra parte lo scrittore ha sentito la necessità in questo libro di spiegare le contraddizioni della complessa vita dell’uomo e di giustificare le scelte alternative. Lontano dal voler temperare o minimizzare certe prese di posizione, spesso polemiche, lo scrittore calca nettamente la mano sulle ragioni oggettive e soggettive delle sue scelte. In questo senso GIOVEDI è un testo letterario, con una autonomia retorica che appartiene anche al genere autobiografico. Floris vuole trasmettere un’immagine di sé e quindi il libro svela e occulta, sceglie forme e contenuti, informa e deforma; rispecchia l’immagine di un uomo che non è mai stato uomo di vita regolare o prevedibile. Il linguaggio del libro, senza mai perdere di vista una tensione unitaria, alterna momenti di maggiore o minore intensità legati ogni volta a sollecitazioni emotive. La prosa raggiunge per esempio vette di rara bellezza e intensità nella vivissima presenza nella memoria dell’adolescente, nella fragranza delle parole che ci trasmettono i profumi, i colori, le voci, la forza della natura incontaminata, ma anche i pensieri, le passioni, le devianze, la vita e la morte di uomini e donne da lui conosciuti. Nelle pagine di questo libro andiamo a bere e discutere su temi riguardante il contenitore e il mondo parallelo in antitesi. È un libro curioso, ma allo stesso tempo rivelatore; qui è possibile constatare il crescente astio che lo scrittore prova per le discussioni astratte e in genere delle istituzioni culturali e politiche. Floris evita come la peste gli ambienti e i linguaggi quotidiani. Ma questo è un tratto tipico di un’epoca in cui la scrittura è ancora fondamentalmente un atto transitorio, dove è presente una tensione fortissima verso un mondo corrotto. Infatti troviamo nei concetti dello scrittore una simmetria visibile fra la genesi del libro e le vicende esistenziali, esplicita nello scambio produttivo delle diverse parti del libro, nel gioco reciproco delle influenze fra mondi contrapposti, che non scalfiscono però la nettissima individualità di ognuno di essi. E’ un libro ricco di ricordi autobiografici, ma anche di elementi fantastici che mantengono intatto il concetto dentro/fuori del contenitore invisibile. Lo scrittore è consapevole che il racconto deve recuperare il rapporto con il lontano lettore, camminare nell’oscurità e incontrarsi con il cuore dell’uomo, con gli occhi della donna, con chi sconosciuto ha bisogno di una parola. Lo scrittore transita la sua epoca con sguardo penetrante, duro, ironico, spiritoso, e ci racconta episodi, personaggi, retroscena della vita quotidiana. Doppia e multipla dimensione dello scrittore che nel proprio libro dispiega una stupefacente capacità di ricostruire l’unicità delle cose, di mettere in intimo contatto le grandezze cosmiche con gli oggetti minimi della quotidianità, l’ermetico mistero del linguaggio poetico con la dura materialità del reale.
Per le giovani generazioni che sognano lo sconfinamento nel mondo degli altri, può essere senz’altro affascinante confrontarsi con questo libro letto come un percorso di vita vissuta, che ci riconduce ai modi possibili di affrontare la sfida con una realtà contaminata. In Floris la condizione di nomade è la conseguenza di una volontà di conoscenza e di partecipazione, ma è soprattutto vocazione che lo getta in un abisso di strazio e di estraneità. Ogni nuova dimora diventa un mondo totale, dove poter alimentare nuove radici, non un semplice passaggio. Ciò spiega la propensione a vedere, a penetrare, a rispettare l’oggetto dell’esperienza, ma anche a sottoporre a lettura critica la realtà con cui entra in contatto. Le esperienze passate si traducono immancabilmente in solitudine, sono da un lato materia prima del libro, dall’altro costituiscono un materiale prezioso per la formazione di una coscienza pura, che lo portano a capire, ad amare e a difendere le proprie posizioni, anche a prezzo di nette rinunce. È sempre cruciale capire qual è il punto di partenza del viaggiatore nomade. Più che il dove si sta andando è importante il dato della provenienza. Lo scrittore continua a muoversi tra passato, presente e futuro e in un certo modo permane nel suo sguardo un residuo d’innocenza e di autentico stupore e un’invidiabile franchezza davanti alla natura, di fronte alle enormi trasformazioni. Ci sono al riguardo bellissimi passi sulle difficoltà e le miserie che ostacolano la strada della libertà e della democrazia. Da qui la fuga, in un mondo parallelo, come alternativa ad un mondo diabolicamente confuso. Ma alla fine è perfettamente cosciente che le proprie armi, quelle dell’arte, difficilmente raggiungono la sfera dell’alta politica, e ancor di più difficilmente incidono su di essa, boriose alture da dove tutto appare chiaro e distinto e dove si decide con fare sbrigativo il destino di milioni di esseri umani. Certamente Floris non è uno scrittore alla moda, ma si può definire senza dubbio di buona compagnia.
ABENNABEI
GIOVANNI FLORIS, nato a Viterbo (Lazio) Italia il 18 febbraio 1953.
mercoledì 20 giugno 2012
Giovanni Floris.. da Viterbo all'aldilà (DEZZ Amore) - 21 giugno 2012
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