Tante
volte si è detto che il governo giallo-verde era sul punto di
cadere, ma altrettante volte Salvini ha preferito non staccare la
spina.
Adesso
questo governo dovrebbe avere una prospettiva meno problematica,
almeno in teoria: la Lega é dappertutto vincente, e quindi non
mostra interesse ad interrompere un trend per lei estremamente
favorevole; e i Cinque Stelle Cadenti perdono su tutte le ruote, e
quindi non hanno alcun interesse a tirare troppo la corda ed a
rischiare elezioni anticipate.
Calma
assoluta, verrebbe da dire. Se nonché a mettersi di traverso é
adesso il terzo membro della coalizione, quello che nei palazzi
qualcuno chiama “il partito del Presidente”. Non che Mattarella,
naturalmente, abbia una sua rappresentanza nel governo... Si tratta
soltanto di una pattuglia di “tecnici” che non rispondono
completamente né alla Lega né ai grillini, e che sembrano messi lí
apposta per evitare che i gialli e i verdi vadano un po’ troppo
oltre nei loro sogni di palingenesi.
Fin
quando tutto é tranquillo, questi tecnici appaiono defilati, fino ad
essere addirittura accusati di essere ininfluenti, dei semplici
esecutori d’ordini di Salvini e Di Maio. Ma, quando le cose si
complicano, eccoli riemergere dalle nebbie e rivendicare il loro
pieno diritto a rappresentare l’Italia nei consessi internazionali
– in ámbito europeo, principalmente – e ad assumere le decisioni
del caso.
E
questo é, appunto, uno di quei momenti complicati, con una
Commissione Europea oramai prossima alla fine del suo mandato che,
prima di andare via, vuole porre all’Italia l’ennesimo ricatto. O
noi diamo le “assicurazioni convincenti” pretese dai nostri
nemici piú accaniti (Moscovici e Dombrovskis), o contro l’Italia
sará proposta una “procedura d’infrazione”, con il rischio che
ci venga comminata una multa miliardaria.
A
questo punto, Salvini ha alzato la voce, peraltro con il pieno
sostegno di Di Maio (forse per i motivi di cui sopra). E i nostri
“tecnici” sembra che si siano dati una regolata. Adesso Tria
tiene un profilo basso e va dicendo che il governo italiano é in
grado di offrire a Bruxelles ogni chiarimento necessario; ma non si
capisce ancóra se (o in che misura) la Commissione Europea fará
finta di credere alle “giustificazioni” del ministro italiano.
Se
cosí non dovesse essere, allora sí che si andrebbe al redde
rationem.
La scelta sará semplice: o chinare ancora una volta il capo, come
quando ci siamo rimangiati sull’unghia il deficit al 2,40%; o
respingere al mittente la procedura d’infrazione, dicendo chiaro e
tondo che non pagheremo alcuna multa.
Cosa
possono farci? Escluderci dall’Unione Europea? Non é detto che per
noi sarebbe un male. Ma per l’Unione sarebbe certamente una
catastrofe. Immaginate un’Europa che, dopo aver perso
l’Inghilterra, perdesse anche l’Italia? Aggiungete che pure la
“locomotiva” tedesca si é fermata. E aggiungete ancóra che la
forte crisi economica di Berlino ha fatto perdere il senso della
misura a Emanuelino Macron, che adesso vorrebbe per la Francia e per
il piccolo gruppo parlamentare dell’ALDE (cui aderiscono gli eletti
macroniani) nientedimeno che la Presidenza della Commissione Europea.
Follía pura, considerato anche che Parigi ha un deficit del 3,1%:
cioé un punto in piú rispetto a quello di Roma, che – non si
capisce per quale arcano motivo – dovrebbe pagare una multa che ai
“cugini” francesi dovrebbe essere risparmiata.
L’aspetto
burocratico del conflitto con la Commissione Europea, quindi, non
dovrebbe preoccupare. A patto, naturalmente, che il governo italiano
mostri, questa volta, coraggio.
A
preoccupare, invece, é l’aspetto sostanziale del problema, quello
relativo al cappio del nostro debito pubblico. Un cappio che ci é
stato gentilmente offerto dai “mercati”, che noi siamo stati
lesti a stringerci al collo da soli, e che adesso, naturalmente,
rischia di strangolarci. Esattamente come accade a chi si mette nelle
mani degli strozzini: paga, paga, paga, ma alla fine quelli gli
portano via anche la casa.
Da
quando l’Italia ha deciso di privatizzare il proprio sistema
bancario, siamo stati costretti a ricorrere ai “mercati” per
finanziare la spesa pubblica, facendo lievitare il nostro debito fino
a un livello che lo rende ora matematicamente
inestinguibile.
Pensare adesso di incrementarlo ulteriormente non é un dramma, come
fingono di credere certi Soloni dell’austeritá. Resteremmo un
paese indebitato fino al collo, esattamente come ora.
Ma
non é con questi sistemi che potremmo tirarci fuori dai guai, perché
resteremmo sempre nelle mani degli strozzini. É necessario, é
indispensabile che lo Stato italiano crei una liquiditá propria, con
la quale finanziare almeno le spese indifferibili. «Basterebbe
emettere una sorta di moneta parallela
– scrivevo ben prima dell’esplodere dell’attuale polemica sui
mini-bot – o
magari ricorrere alla emissione di simil-moneta da parte del
Ministero del Tesoro. Andrebbero bene, tanto per cominciare, anche i
“mini-bot” di cui si è parlato in questi giorni: titoli di Stato
di piccolo taglio, spendibili come normale denaro e la cui
circolazione sia rigorosamente limitata all’àmbito nazionale.»
[su “Social” dell’8 giugno 2018]
I
mini-bot, quindi, potrebbero servire oggi a pagare i debiti dello
Stato verso le aziende (90 miliardi di euro, mica bruscolini)... Ma
domani potrebbero servire a ben altro: per esempio, a finanziare la
spesa generale dello Stato (sicurezza, sanitá, previdenza,
infrastrutture, eccetera), mentre si potrebbe utilizzare la moneta
ufficiale – l’euro – per pagare gli interessi ed anche per
ridurre sensibilmente il nostro debito verso i “mercati”. Senza
contare che i mini-bot potrebbero servire anche a tutelarci da una
crisi di liquiditá artificiale, che la finanza internazionale
potrebbe provocare sul nostro mercato interno per piegarci, come
hanno fatto con la Grecia. Tanto per rendere l’idea: se quel
cuor-di-leone di Tsipras si fosse inventato qualcosa di simile ai
mini-bot, sarebbe stato oltremodo difficile per lo strozzinaggio
straniero asfissiare l’economia greca.
Naturalmente
– non occorre dirlo – i nostri “tecnici” sono contrari. Conte
vede i mini-bot come il fumo negli occhi... Tria, non ne parliamo.
Ma
la politica la fanno i politici. I tecnici devono trovare i modi piú
appropriati per dare attuazione alle indicazioni dei politici, i
quali – a loro volta – sono legittimati da una cosa soltanto: la
volontá popolare.
Le
regole della democrazia sono queste. La tecnocrazia é tutt’altra
cosa: é la negazione del primato della politica e – con esso –
del concetto stesso di rappresentanza della volontá popolare. Tutto
ció – piccolo particolare – nel presupposto necessario che la
classe politica sia all’altezza dei suoi cómpiti. Diversamente,
non sono i tecnici ad usurpare il ruolo che sarebbe dei politici; ma
sono i politici stessi, consci della loro incompetenza, a chiedere ai
tecnici di surrogare il loro ruolo.
Ma
questa é una divagazione d’indole teorica, che ci porterebbe
troppo lontano. Ritornando alla realtá del momento: dopo essere
sopravvissuto agli attriti fra Lega e Cinque Stelle, l’attuale
governo sopravviverá anche alle bizze del “partito del
Presidente”? E Salvini – oramai il vero motore della coalizione
giallo-verde – riuscirá ad imporre una linea di dignitosa
resistenza di fronte alle pretese di una Commissione Europea che ci è apertamente ostile? Io spero di si, spero che a prevalere sia la
linea della fermezza, e non quella della resa.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
P.S. - ANCHE FACEBOOK HA I SUOI MINI-BOT.
Le
agenzie battono in questi giorni la notizia che Facebook starebbe per lanciare una
sua similmoneta: si chiama “Libra”, e andrebbe ad aggiungersi
alle altre monete elettroniche (Bitcoin, eccetera) che viaggiano su
internet. Domanda: perché quello che è consentito a una ditta
privata non dovrebbe essere consentito – mutatis
mutandis
– a uno Stato sovrano?
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