L'ultimo
caso riguarda gli yazidi braccati e perseguitati in Iraq dai fanatici
jihadisti dell'Isis....(...)
Ed
ogni volta la domanda che ci poniamo è: come difendere queste
vittime inermi? Come intervenire con urgenza ed efficacia per salvare
loro la vita? Voltare lo sguardo dall'altra parte, fingere di non
sapere o assolversi dicendo che nulla possiamo fare, è un peccato di
omissione di soccorso... lo stesso che condanniamo nella parabola del
buon samaritano, l'unico a fermarsi per prestare aiuto, mentre il
sacerdote ed il levita tirarono diritto pensando non fosse affar
loro...
Ma
per noi il tema è ancora più difficile: come soccorrerli, senza
ricorrere alla violenza? Certo, qualcuno prima può porre
legittimamente altre domande: come si è creata la situazione? Quale
la causa prima? Chi ha armato la mano dei carnefici? E le risposte
sono tante e articolate: le responsabilità degli Stati Uniti, la
guerra infinita, le strane alleanze, gli interessi sul campo, le
vendette della storia, gli estremismi figli dell'intervento armato
dopo l' 11 settembre, e mille altre analisi, giuste e complesse, ma
che non danno la risposta al qui ed ora: come salvare le vite delle
vittime di oggi? Il tema dei mezzi e dei fini si mescola con
l'urgenza di un'azione efficace.
Per
uscire dall'ideologia e dalla retorica, difronte a situazioni simili
penso sempre: cosa farei se sapessi che tra quei fuggiaschi ci fosse
mia figlia? Quale soluzione cercherei per salvarla? E' un esercizio
personale sempre molto istruttivo....
Ci
voleva la prevenzione dei corpi civili di pace, ma non c'erano. Ci
vorrebbe la polizia internazionale dell'Onu, ma non c'è. Ci vorrà
un tribunale internazionale per condannare i criminali, ma non ci
sarà....
E
allora? Dobbiamo riconoscere che oggi altro non possiamo fare che
sostenere l'intervento di chi con la forza militare può fermare gli
assassini? Non oso dirlo io, che nulla conta il mio parere, ma vado
a rileggermi Gandhi, che di queste cose se ne intendeva: “Credo
che, ove vi fosse da scegliere soltanto tra viltà e violenza,
opterei per la violenza. Così quando mio figlio maggiore mi chiese
cosa avrebbe dovuto fare se fosse stato presente nel 1908 quando fui
aggredito quasi mortalmente, se fuggire e vedermi ucciso o piuttosto
impiegare la forza fisica che egli poteva e voleva impiegare, a
difendermi, gli dissi che era suo dovere difendermi anche con il
ricorso alla violenza. Per questo presi parte alla guerra boera, alla
cosìddetta rivolta zulù e all'ultima guerra. Per questo sostengo
l'addestramento alle armi per coloro che credono nel metodo della
violenza”.
Forse
per questo quando vedo le immagini degli elicotteri militari che
sparando cercano di fermare l'avanzata jiadista e gettano viveri ai
fuggiaschi, non mi sento di avanzare critiche. Chi crede nella via
della violenza lo faccia fino in fondo, e se ne assuma le
responsabilità. E lo faccia con coraggio. Preferisco di gran lunga la
scelta del presidente Obama, che utilizza i propri soldati, alla
meschina posizione del governo italiano che pensa di fornire armi
alle milizie Peshmerga: tenersi le mani pulite facendo fare il gioco
sporco ad altri.
Penso
che Gandhi si riferisse a questo quando distingueva tra violenza e
viltà ...
Ma
il ragionamento del Mahatma va avanti, e aggiunge: “...ma
io credo che la nonviolenza sia infinitamente superiore alla
violenza...” e
capisco allora che il realismo della necessaria priorità di salvare
vite, anche tramite l'uso limitato e mirato della forza militare,
deve essere accompagnato dal realismo profetico di costruire
strumenti efficaci di intervento nonviolento. Il dramma di oggi è
stato creato dall'errore bellico; l'intervento chirurgico per
estirpare il male odierno può essere fatto con lo stesso metodo
cruento, poiché solo quello abbiamo a disposizione, ma la cura a
lunga scadenza per questo morbo oscuro che affligge l'umanità, potrà
venire solo dalla medicina nonviolenta.
Mao
Valpiana
Movimento
Nonviolento
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