sabato 19 aprile 2014

Viterbo, le Terme dei Papi e la guerra dell'acqua calda...


43 litri al secondo: un mare di acqua termale

La sentenza del Tar del Lazio in merito al ricorso presentato dalle Terme dei Papi, contro la richiesta congiunta della Regione Lazio e del Comune di Viterbo, per la limitazione dell’emungimento di acqua termale, da ragione allo stabilimento termale e sembra chiudere (solo per il momento) la diatriba. Infatti, nelle motivazioni della stessa, dopo avere elencato gli accordi contrattuali (machiavellici) e i famosi addendum, (che qualcuno afferma che siano stati scritti appositamente per rendere la materia ancora più cavillosa), ad un certo punto afferma: “…. in altre parole, la quantità di acqua (termale) che la società che gestisce il complesso termale può emungere, è pari a quella necessaria al corretto funzionamento dell’impianto termale.”

E’ questa una frase sibillina, che dice tutto, ma può anche non dire niente. Dalle relazioni del prof. Giuseppe Pagano, nella sua veste di Direttore di Miniera del Bullicame, apprendiamo che le Terme dei Papi, per il funzionamento del complesso usano una quantità di acqua che oscilla da un minimo di circa 37 litri al secondo, ad un massimo di circa 43 litri al secondo. Al momento chi può dire con certezza quale è il quantitativo di acqua termale necessario al buon funzionamento dell’impianto? A mio parere le campane da ascoltare sarebbero tante. La prima è quella delle Terme dei Papi che, malgrado il prelievo massivo, affermano che i 43 litri al secondo, siano ancora per loro insufficienti, e ne chiedono insistentemente di più. La seconda campana è quella degli uffici minerari della Regione Lazio, che non sono d’accordo su questo quantitativo, per loro troppo elevato. Poi c’è il Comune di Viterbo che è in completa sintonia con la Regione Lazio. Infine ci sarebbero i tanti utenti, pronti ad investire sul termalismo viterbese, che hanno ricevuto dalla Regione Lazio concessioni, che sembrano niente di fronte al “mare” dei 43 litri al secondo.

Il problema è molto complesso e non di facile soluzione. Per esempio è normale che le Terme dei Papi usino l’acqua calda del Bullicame in maniera geotermica, facendola passare prima nelle tubature che riscaldano l’albergo e lo stabilimento? C’è un loro ricorso pendente da più di sei anni, presso il Tar del Lazio, nel quale come giustificazione di questo uso, adducono il motivo che non possono curare i pazienti con acqua alla temperatura di 58 gradi centigradi; e non prendono neanche in considerazione che nelle pertinenze della loro concessione c’è anche la sorgente termale S. Caterina, che sgorga a circa 31 gradi per 5/8 litri al secondo, con la quale potrebbero raffreddare le acque destinate alle cure, evitando così di farle transitare per i tubi del riscaldamento. A volte le soluzioni più semplici sono le più difficili da recepire, e ci ricordano quell’antico adagio che recita: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.”

Poi c’è la piscina monumentale che già dalla sua nascita (Opera Nazionale Dopolavoro 1931) fu definita natatoria. Il fondo del grande invaso, nel punto terminale, arriva ad una profondità di tre metri, che mal si accorda con le moderne piscine termali; specialmente oggi che il trampolino non c’è più, e lo stesso regolamento delle Terme dei Papi, sconsiglia di praticare il nuoto. 

Da rimarcare che un centimetro di livello della piscina termale che misura 1.690 metri quadrati, corrisponde a 16.900 litri di prezioso liquido termale. Se si portasse la profondità dell’invaso dagli attuali 3 metri a 1 metro e quaranta, si avrebbe un risparmio di oltre un milione di litri d’acqua con numerosi vantaggi. Il primo di questi sarà che i bagnanti potranno circolare liberamente per tutto il perimetro della piscina, mentre oggi nella zona nuotatori si avventura solo chi sa nuotare o chi è munito di galleggianti. Il secondo vantaggio sarà un ricambio dell’acqua più frequente, con maggiore igiene. Il terzo sarà un grande risparmio di risorse termali, che potrebbero essere usate per la riapertura delle Terme ex Inps. Forse il vero problema è tutto qui.


Giovanni Faperdue   

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