43 litri al secondo: un mare di
acqua termale
La sentenza del Tar del Lazio in merito
al ricorso presentato dalle Terme dei Papi, contro la richiesta
congiunta della Regione Lazio e del Comune di Viterbo, per la
limitazione dell’emungimento di acqua termale, da ragione allo
stabilimento termale e sembra chiudere (solo per il momento) la
diatriba. Infatti, nelle motivazioni della stessa, dopo avere
elencato gli accordi contrattuali (machiavellici) e i famosi
addendum, (che qualcuno afferma che siano stati scritti appositamente
per rendere la materia ancora più cavillosa), ad un certo punto
afferma: “…. in altre parole, la quantità di acqua (termale) che
la società che gestisce il complesso termale può emungere, è pari
a quella necessaria al corretto funzionamento dell’impianto
termale.”
E’ questa una frase sibillina, che
dice tutto, ma può anche non dire niente. Dalle relazioni del prof.
Giuseppe Pagano, nella sua veste di Direttore di Miniera del
Bullicame, apprendiamo che le Terme dei Papi, per il funzionamento
del complesso usano una quantità di acqua che oscilla da un minimo
di circa 37 litri al secondo, ad un massimo di circa 43 litri al
secondo. Al momento chi può dire con certezza quale è il
quantitativo di acqua termale necessario al buon funzionamento
dell’impianto? A mio parere le campane da ascoltare sarebbero
tante. La prima è quella delle Terme dei Papi che, malgrado il
prelievo massivo, affermano che i 43 litri al secondo, siano ancora
per loro insufficienti, e ne chiedono insistentemente di più. La
seconda campana è quella degli uffici minerari della Regione Lazio,
che non sono d’accordo su questo quantitativo, per loro troppo
elevato. Poi c’è il Comune di Viterbo che è in completa sintonia
con la Regione Lazio. Infine ci sarebbero i tanti utenti, pronti ad
investire sul termalismo viterbese, che hanno ricevuto dalla Regione
Lazio concessioni, che sembrano niente di fronte al “mare” dei 43
litri al secondo.
Il problema è molto complesso e non di
facile soluzione. Per esempio è normale che le Terme dei Papi usino
l’acqua calda del Bullicame in maniera geotermica, facendola
passare prima nelle tubature che riscaldano l’albergo e lo
stabilimento? C’è un loro ricorso pendente da più di sei anni,
presso il Tar del Lazio, nel quale come giustificazione di questo
uso, adducono il motivo che non possono curare i pazienti con acqua
alla temperatura di 58 gradi centigradi; e non prendono neanche in
considerazione che nelle pertinenze della loro concessione c’è
anche la sorgente termale S. Caterina, che sgorga a circa 31 gradi
per 5/8 litri al secondo, con la quale potrebbero raffreddare le
acque destinate alle cure, evitando così di farle transitare per i
tubi del riscaldamento. A volte le soluzioni più semplici sono le
più difficili da recepire, e ci ricordano quell’antico adagio che
recita: “Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.”
Poi c’è la piscina monumentale che
già dalla sua nascita (Opera Nazionale Dopolavoro 1931) fu definita
natatoria. Il fondo del grande invaso, nel punto terminale, arriva ad
una profondità di tre metri, che mal si accorda con le moderne
piscine termali; specialmente oggi che il trampolino non c’è più,
e lo stesso regolamento delle Terme dei Papi, sconsiglia di praticare
il nuoto.
Da rimarcare che un centimetro di livello della piscina
termale che misura 1.690 metri quadrati, corrisponde a 16.900 litri
di prezioso liquido termale. Se si portasse la profondità
dell’invaso dagli attuali 3 metri a 1 metro e quaranta, si avrebbe
un risparmio di oltre un milione di litri d’acqua con numerosi
vantaggi. Il primo di questi sarà che i bagnanti potranno circolare
liberamente per tutto il perimetro della piscina, mentre oggi nella
zona nuotatori si avventura solo chi sa nuotare o chi è munito di
galleggianti. Il secondo vantaggio sarà un ricambio dell’acqua più
frequente, con maggiore igiene. Il terzo sarà un grande risparmio di
risorse termali, che potrebbero essere usate per la riapertura delle
Terme ex Inps. Forse il vero problema è tutto qui.
Giovanni Faperdue
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