lunedì 4 giugno 2018

Juncker non odia l'Italia, anzi la ama.... - Avvisate quelli del governo Conte di stare attenti alla disinformazione di chi vuole dividere l'Europa

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Attenzione alla disinformazione su  quel che ha detto Juncker, perché mi sembra che sia iniziata una strategia di fake news col fine di mettere subito in rotta di collisione il governo Conti con la UE. 

Le parole di Juncker sono state queste:  “Sono profondamente innamorato dell’Italia. Di quello che succede però nel Mezzogiorno, nelle regioni povere d’Italia, non può essere accusata l’Unione europea. È l'Italia a dover prendersi cura delle regioni più povere, che hanno bisogno di più posti di lavoro, meno corruzione e più serietà. Noi li aiuteremo, come abbiamo sempre fatto. Ma per piacere non facciamo questo gioco di incolpare gli altri. Una nazione è una nazione e viene prima di ogni cosa”. 

Il primo di questo mese Juncker ha anche dichiarato al Guardian: "Abbiamo bisogno di tornare a relazioni normali con la Russia, ci sono così tante aree e settori in cui possiamo collaborare in modo efficace: ad esempio, in materia di ricerca, innovazione e così via. Non dimenticheremo le nostre differenze e divergenze. Tuttavia, questa demonizzazione della Russia dovrebbe avere fine".

Perché questo ripensamento? Perché la UE è molto preoccupata dalla piega che stanno prendendo gli eventi e dai mastodontici problemi che creerà il pressing degli USA sull'Iran unito alla nostra sudditanza imperiale.
Non si tratta solo della possibile perdita dei relativamente modesti flussi commerciali UE-Iran ricattati dall'enorme interscambio UE-USA, si tratta di tutto il gioco energetico, perché le nuove sanzioni all'Iran (e in subordine alla Russia) sposteranno ancor di più pesantemente il commercio energetico di questi due Paesi entro il blocco eurasiatico. Già i flussi tra Russia e Europa sono diminuiti del 40% mentre sono aumentati del 30% quelli tra Russia e Cina.


Un ulteriore reindirizzamento dei flussi dalla Russia e dall'Iran verso l'Asia, significherebbe l'asservimento totale dell'Europa ai Paesi del Golfo, Arabia Saudita in primis, e alla promessa di sostituzione del Gas russo e centroasiatico con lo shale gas statunitense (sostituzione ad oggi non ancora possibile).

Innanzitutto, le élite europee si rendono conto che la strategia USA è rischiosissima, che gli USA hanno in realtà possibilità nulle di rimanere la potenza egemone, che sta insomma soffiando il famoso vento dell'Est (non nel senso che pensavamo noi nel Sessantotto, ovviamente).

Non sanno più cosa fare. Tecnicamente possono ordinare alle imprese europee di non sottostare alle imposizione USA (Council Regulation (EC) No 2271/96 of 22 November 1996, si veda https://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:31996R2271:EN:HTML). Ma sono intimorite dagli USA, pronti a mettere l'Europa a ferro e a fuoco piuttosto che vederla slittare verso il blocco eurasiatico. 

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I leader politici europei sono per metà corrotti e per metà terrorizzati anche personalmente. I più onesti sono imbambolati nella ripetizione delle vecchie formule, sgranano rosari europeisti di salvezza, dopo che le stesse élite europee e per prime quelle francesi e tedesche hanno boicottato metodicamente la costruzione di una Europa Unita e considerato la UE semplicemente un modo per fare i propri interessi peculiari e dirimere le loro controversie bilaterali. Non c'è obiettivo europeo che non sia stato minato dalle loro politiche subimperiali. Dopo di che hanno detto che la colpa era dei PIIGS!

Nelle circostanze attuali, l'evento limite sarebbe il paventato attacco USA-Israele-Saudita all'Iran nel breve termine. Nel giro di una settimana all'Europa verrebbe a mancare almeno il 20% dei flussi energetici, con un collasso dell'economia, a partire dall'ipertrofico e sempre sull'orlo del baratro settore finanziario, collasso che avrebbe ripercussioni su tutto il mondo.

Da questo collasso Russia e Cina sarebbero probabilmente i Paesi che uscirebbero meno malconci (basti pensare alla relativa -ma solo relativa, non ci si illuda- autonomia delle loro economie dal casinò finanziario internazionale e al fatto che le sanzioni hanno indotto in Russia una grossa diversificazione economica tanto che oggi è la Russia che chiede un aumento della produzione di barili, visto che non le fa più paura una diminuzione del prezzo del petrolio, mentre gli USA hanno bisogno che si alzi per rendere concorrenziale il loro shale gas che ha alti costi di estrazione).

Finisco dicendo che tutto ciò, e altre circostanze, mi fanno pensare che uno scontro diretto con l'Iran sia improbabile e che la strategia in corso d'opera sia un'altra: da una parte continue provocazioni militari, ove è possibile e nella misura del possibile. La Russia sta facendo di tutto per scongiurare quelle in Siria. Sembra che nei giorni scorsi abbia promosso un accordo segreto quadripartito Russia, Iran, Israele, Hezbollah concernente la zona del Golan, accordo però smentito dall'Iran, ma tant'è); dall'altra riorganizzazione dell'ISIS nell'Asia Centrale e azioni di destabilizzazione in Iran, Uzbekistan, Tagikistan, Caucaso e Kazakistan (quest'ultimo Paese è molto importante nella strategia energetica) e infine Xinjiang cinese (anche quest'area ha grosse potenzialità energetiche anche se per ragioni geologiche il suo sfruttamento è per ora difficile).



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1 commento:


  1. Commento di Anna Maria Campogrande:

    "Sono anch’io molto preoccupata delle manipolazioni che continuano a circolare sulla frase di Juncker, in evidente malafede poiché tutto è stato chiarito.



    Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e mi chiedo se il “The Guardian” non abbia di proposito creato il “qui pro quo” al fine di seminare zizania tra gli Europei.



    Mi chiedo, anzittutto, perché Juncker che dispone di una conoscenza perfetta del francese e del tedesco, si ostina ad andare ad incasinarsi con l’inglese, sabotandosi da se stesso poiché l’inglese è una lingua che non domina bene.

    L’inglese affonda le sue radici in una “forma mentis” estranea ai Latini, molto difficile da acquisire perché deforma il pensiero latino, la grande maggioranza dei popoli latini non parla bene l’inglese e, nella stragrande maggioranza dei casi, lo pronuncia malissimo, all’immagine di quello che i Francesi definiscono ‘le français petit negre’.



    Se solo i politici e anche molti funzionari internazionali, quelli europei, che prediliggono l’inglese si sentissero parlare, sono convinta che accantonerebbero subito l’inglese che abbassa vertiginosamente il loro livello. Tra i cittadini dei Paesi latini sono pochissimi a parlare un inglese, già foneticamente, accettabbile.



    Personalmente, evito il più possibile di esprimermi in inglese, nonostante lo abbia studiato più di qualsiasi altra lingua, a parte il latino, perché quando parlo in inglese, alle mie stesse orecchie, mi sento ridicola." (Anna Maria Campogrande)


    .................


    Mia rispostina:

    Gentile Anna Maria, la capisco perfettamente... personalmente ho rimediato forzando la pronuncia fino a trasformarla in una sorta di dialetto napoletano, gli inglesi capiscono che si tratta di una presa in giro ma abbozzano... Una volta - tempo addietro- mi  trovavo  con  alcuni "autori bioregionali" anglo-americani in visita ad una specie di comune  in Umbria,  assieme a me c'erano diversi italiani, mentre gli angli erano solo tre e per altro conoscevano bene l'italiano ma si ostinavano a parlare nello loro madrelingua, escludendo -di fatto- dal discorso i "poveri italiani ignoranti", magari senza esplicitamente volerlo, solo per arroganza congenita. Al che sono intervenuto con una delle mie trovate sataniche e ad alta voce ho esclamato "We may speak english as well..." è mi esibii in una  aperta e sonora scorreggia. Restarono allibiti, capirono la lezione e cominciarono  subito a parlare in italiano... com'era giusto che fosse." (P.D'A.)

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