venerdì 8 aprile 2016

Toilet Panama Papers... è cosa nostra!



Dei 2,6 terabyte di carte di Panama, uscite da una gola profonda dello studio legale israelita (sempre loro) Mossack Fonseca, la stampa pseudo-liberal e Nato-friendly, come il britannico Guardian, il tedesco Sueddeutsche Zeitung, l’italiano Fatto Quotidiano, con appresso tutto il codazzo dei vivandieri mediatici dell’Impero, hanno tratto con entusiasmo orgasmatico un gigantesco dito puntato su Vladimir Putin. E tutti si sono messi ordinatamente in fila a guardare il presidente russo. Che poi non c’era nemmeno. Semmai c’erano alcuni russi, musicisti e faccendieri, di cui ci si immaginava che potessero essere del “cerchio magico dello zar”. Ma che importa. Il ragazzo di bottega della lobby, Leonardo Coen, discepolo del guru sionista Furio Colombo, che detta la politica estera del Fatto, dal mare magno di 11 milioni di carte ha astutamente pescato il pescione che non c’era, appunto Putin, e l’ha messo venti volte nelle sue 2mila parole. Poi l’ha inciso a lettere di fuoco nel titolone e, a coronamento, con tanto di fotina, su una mappa del globo al centro della Russia, unico che nei papers non c’è tra tante fotine di gente che c’è. E’ così  che i presstituti ti educano il pupo.

Paradossalmente questa era l’occasione per rovesciare l’assunto secondo cui è  non è il dito che andrebbe guardato, bensì la luna. Cioè Putin. Chè tutti gli altri delle fotine del Coen rappresentano imboscatori veri di miliardi veri, ma sono solo il contorno alla bisteccona: un primo ministro islandese, il papà del primo ministro britannico, un satrapo del Golfo, un cioccolataio di Kiev, un cacicco argentino, un Montezemolo di scarto, un primo ministro islandese che aveva rotto le scatole per aver punito le banche, qualche presidente vassallo logorato, calciatori, attoruccoli, pilotuccoli, tutta gente già sufficientemente screditata, o ostica (nel caso di esponenti dei BRICS), o sennò irrilevante dal punto di vista del potere imperiale e perciò sacrificabile. Tanto di loro, diversamente da Putin, protagonista assoluto e, alla resa dei conti, unico, domani nessuno parlerà più.

Ciò che inverte il discorso del dito e della luna (Putin) è il fatto che quel dito, distratto come una ministra delle riforme che non si avvede di quanto bene faccia un suo emendamento a lestofanti, ruffiani, mignotte e lobby corruttrici, non riesce a cogliere neanche la più piccola presenza nei 2,6 terabyte di fruitori statunitensi di paradisi fiscali. Mezzo mondo si è precipitato a nascondere i frutti delle proprie evasioni e dei propri riciclaggi alle Cayman o alle Isole Vergini, ma, manco a pagarlo un terabyte, neanche un nababbo nordamericano, un Rothschild, un Bill Gates, un Koch, o il superbandito delle guerre valutarie Soros. Sarà perché quel dito da quelle parti non ha voluto puntare? Sarà perché di Cayman quei furbacchioni non hanno bisogno, visto che, come qualcuno documenta, gli Usa sono dei paradisi fiscali il più grande al mondo? E perlopiù hanno in Rothschild, come ci ricorda Bloomberg,  il più affermato fornitore di servizi per paradisi fiscali? Sarà perché le banche statunitensi, di cui è provata la raccolta dei gigafondi in arrivo dal traffico della droga, quei soldoni li riciclano in armamenti, speculazioni immobiliari, hedge fund e bolle varie?

Gerard Ryle, un asset del crimine
Visto che tutte queste lune non si vedono e, comunque, se anche alle fine ci fossero nei recessi dei 2,6 terabyte, verrebbero oscurate dalla luce abbagliante di quella luna piena che è lo zar di tutte le Russie, forse sarebbe il caso di centrare l’attenzione proprio sul dito. Ma che dito è quello capace di tanta accurata selezione degli obiettivi a cui puntare? Il dito che ha attinto alla gola profonda e ne ha sparso il tesoro di rivelazioni sui malfattori che imboscano, riciclano  ed evadono, si chiama Gerard Ryle. Ryle è il direttore dell’International Consortium  of Investigative Journalists (ICIJ), un aggregato di giornalisti di vari paesi occidentali o filo-occidentali che si picca di fare indagini dietro le quinte. Una roba peggio degli sputtanatissimi Reporters Sans Frontieres.

Ryle rifiuta con sdegno di essere avvicinato a Wikileaks che, secondo lui, pratica un “giornalismo irresponsabile”. Irresponsabile per il fantaccino dell’eccezionalismo americano Ryle, è aver esposto intrighi, malefatte, crimini, menzogne, turpitudini varie della politica estera nordamericana, sulla base di inconfutabili documenti ufficiali. Dunque Wikileaks non è credibile “perché diffonde diffamazioni su cittadini privati innocenti”. Non aggiunge, ovviamente: talmente privati da far parte dei vari gironi del potere Usa, in particolare del suo Dipartimento di Stato, tanto innocenti da rivelare nei loro messaggi decrittati ogni sorta di criminale complotto contro nemici presunti o veri.

Basterebbe questo per qualificare motivi e intenti di Mr.Ryle e della sua allegra compagnia di voci del padrone. Non ci sarebbe, a rigor di logica, nemmeno da precisare che i finanziamenti all’ICIJ (mai smentiti, come non lo sono quelli a Reporters Sans Frontieresdirettamente dalla Cia) provengono dalle Fondazioni Ford, Rockefeller  e Kellogg, dalla Carnagie Endowment e da chi nelle operazioni di destabilizzazione pro-Impero (come in gran parte dei media e delle Ong italiane) non manca mai, la Open Societydi George Soros. Quella che con i suoi finanziamenti (appaiati alla dabbenaggine o alla complicità degli pseudo-sinistri) riesce a far sopravvivere al loro discredito quasi tutte le Ong dei diritti umani del mondo, a partire da Amnesty, HRW, Save the Children, Avaaz…….


Il Golem Mossack Fonseca
E se l’ICIJ è la vetrina pseudogiornalistica che opera in sinergia con gli israeliti del Mossack Fonseca, incistati in un paese patentato vassallo degli Usa e dove i servizi di sicurezza sono organizzati da ex-ufficiali del Mossad, tra la merce avariata che  i  scintillanti  campioni esposti occultano, quella di marca Made in Nato East Europe si presenta sotto l’acronimo di sapore Spectre OCCRP. Ricordate Otpor? Quella confraternita di infiltrati Cia-Soros che dettero il via a Belgrado, nel 2001, alla prima rivoluzione colorata, poi ripetuta, ma perlopiù fallita, ovunque gli Usa volessero un regime change: Libano, Venezuela, Bolivia, Brasile, Georgia, Ucraina, Kirghizistan…

Ebbene l’OCCRP,  dalla denominazione orwelliana di Organized Crime and Corruption Reporting Project, è la costola est-europea, cioè dei nuovi paesi Nato, dell’ICIJ. Composta da 60 “giornalisti” e una quindicina di agenzie di notizie di 20 paesi, ha sedi a Sarajevo e Bucarest. La parte dei Panama Papers che riguarda il fantasma del presidente russo, miracolosamente transustanziato nei corpi di personaggi di second’ordine, però attribuiti al suo “cerchio magico”, è farina del sacco OCCRP.  Nel loro caso le fonti di finanziamento, secondo documenti Wikileaks mai smentiti, sono di nuovo l’immancabile Soros e l’agenzia di presunta assistenza umanitaria di Washington, USAID, quella le cui opere di solidarietà con Ong e prezzolati vari ne hanno determinato la cacciata dai paesi emancipati e antimperialisti dell’America Latina.

La rivoluzione colorata dei cari, vecchi Otpor si è fatta planetaria e cibernetica. I supercorrotti del più grande paradiso fiscale del pianeta, gli Usa, utilizzando uno studio “legale”, emanazione del paese canaglia fratello e basato in un paese-postribolo, danno battaglia ad altri corrotti obsoleti e spendibili, con  l’obiettivo di colpire il nemico mortale che gli sta buttando per aria il Monopoli mondialista. E, di striscio, anche gli intollerabili BRICS, guastafeste degli assetti finanziari e geo-economici sanciti da Wall Street. Zar e autocrate, omofobo, successore e continuatore di mangiatori di bambini, dopatore di atleti, assassino di giornalisti, massacratore di civili in Siria, invasore dell’Ucraina libera e democratica, golpista in Crimea, “pericolo più grave dell’Isis” (Ashton Carter, ministro dell’Offesa Usa, George Soros), Putin è il supercriminale che ha imboscato 2 miliardi di dollari offshore. Lo è per la proprietà transitiva, quella che ne fa il Doppelgaenger di quattro oscuri investitori russi, visto che neanche a forza di bacchetta magica i prestidigitatori Otpor-OCCRP sono riusciti a trovargli mezzo rublo a Jersey, o alle Isole Vergini. E nemmeno, a loro scorno, in City Bank.

A dispetto degli sforzi sovrumani di presstituti che fanno copia e incolla con i falsari di ICIJ e OCCRP, il botto nucleare anti-Putin si sta risolvendo nel puff di un petardo. Quello che non è un petardo ma minaccia di farci finire nell’inverno nucleare è la demenziale bisca del sistema internazionale bancario-finanziario. Esperti finanziari di Hong Kong, tra i più qualificati del mondo, affermano che il 50 per cento della ricchezza globale è attualmente parcheggiato, indisturbato, nel paradisi fiscali offshore e inshore. Se anche solo una frazione di questi stupefacenti fondi venisse tassato, Stati di destra e sinistra pagherebbero il loro debito, investirebbero in infrastrutture, cambierebbero l’attuale modello di sviluppo eco- e sociocida, farebbero mangiare e bere tutti, rimboschirebbero i deserti, schiferebbero il petrolio e lancerebbero una spirale virtuosa di società sostenibili. E qui torniamo agli Usa, dei quali Andrew Penney, direttore esecutivo di Rothschild & Co., ha ammesso, con malcelata soddisfazione che sono in effetti il più grande paradiso fiscale del mondo”.

Ne consegue, inesorabilmente, che per cambiare lo stato di cose esistente, ci vuole ciò che oggi ci hanno perfino sottratto all’immaginazione: la rivoluzione. Non una, la. Altro che Sanders.


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