Ecco il documento che come incaricato del movimento "Nuovo orientamento culturale" ho personalmente consegnato durante la marcia per il reddito di cittadinanza a numerosi parlamentari 5 stelle tra cui anche Roberto Fico,Nicola Morra Luigi Di Maio. Lo stesso documento in forma leggermente diversa è stato consegnato anche al vescovo di migrantes, cardinale molto vicino a Papa Francesco e diversi vescovi ed esponenti del mondo dell'impegno civile. Ecco di seguito il documento , sara gradito un vostro libero commento.
Quando si parla della corruzione spesso ci si limita alla denuncia. interrogandosi solo in maniera poco approfondita sui meccanismi “motivanti” che spesso vengono dati per scontati ma che, come vedremo, necessitano di un approfondimento per essere davvero disinnescati alla fonte.
Perché infatti, un pubblico funzionario si fa corrompere?
Sostanzialmente per avere qualcosa di valore abbastanza alto per se stesso come “individuo”; il soggetto è spesso conscio che questo atto che gli porta valore da un lato, dall'altro lo danneggia come parte della collettività. Tuttavia nella sua immaginaria “bilancia degli interessi” ha, su un piatto, un grosso interesse immediato per sé e, sull'altro, un danno percepito come minimo, in un futuro non si sa quanto lontano, come parte della collettività danneggiata.
In sostanza possiamo immaginare che l'attitudine a farsi corrompere aumenti con il diminuire della prospettiva di vedute dell'individuo.
Persone abituate a percepire solo ciò che è immediatamente vicino a sé e in un orizzonte temporale di massimo 4-6 mesi saranno, a parità di altri fattori, più corruttibili di soggetti più lungimiranti.
Il motore primo della corruzione è una certa dose di edonismo connesso al principio di “avidità infinita” che, insieme alla percezione di sé come “isola umana”, costituiscono i più importanti “moventi” della corruzione. Creando, dunque, un meccanismo che togliesse la centralità psicologica a questi fondamentali quanto negativi concetti, si andrebbe a tagliare alla base una buona parte delle cause della corruzione.
A tale scopo – ma non con questo solo obiettivo – abbiamo formulato la teoria economica e sociale del “Capitalismo a doppia valvola di sicurezza”, che alleghiamo e su cui avremmo piacere di avere un tuo parere.
La proposta della nuova teoria economica e sociale del “Capitalismo a doppia valvola di sicurezza”, al di là dei meccanismi economici, investe valori e sensibilità che sono comuni sia al mondo laico che a molte grandi religioni, tra cui in particolare quella cristiana, tanto più considerando gli stimoli dati in questa direzione anche da Papa Francesco. Si tratta infatti di combattere alcuni concetti oggi erroneamente ritenuti “normali” e leciti, come l'idea di “avidità infinita” e di “isola umana”, che sono, a nostro avviso, vera causa prima di tutta una serie di idee e comportamenti che hanno portato alla grave situazione di degrado culturale sociale ed etico, oltre che alla preoccupante situazione economica non solo italiana.
Dopo che abbiamo pubblicizzato questa tesi, ci sono stati segnalati diversi pensatori del passato che erano giunti a conclusioni simili o, per così dire, propedeutiche al nostro "Capitalismo a doppia valvola di sicurezza". Citiamo ad esempio Carlo Rosselli (1899-1937), teorico del socialismo liberale, che in seno al partito socialista propose un simile approccio in polemica con l'ala degli stalinisti; oppure Lelio Basso (1903-1978), uno dei padri della costituzione italiana, con la sua personale rielaborazione della visione socialista e di una lacia concezione di 'umanesimo integrale'. O ancora, pensiamo ai presupposti della “società giusta” secondo il pensiero di J.Rawls (1921-2002), con il suo concetto di “libertà eguale” e in particolare la regola del maximin, in virtù della quale il contratto sociale deve realizzare un sistema nel quale l'obiettivo sia di migliorare costantemente e il più possibile le condizioni di chi sta peggio: l'ineguaglianza (poveri e ricchi) è ammessa solo se contribuisce a migliorare le condizioni del gruppo meno abbiente della società. Richiamiamo anche l'ideologia del Partito d'azione (nato nel 1942) che spingeva in questa direzione con il progetto di equità sociale. Per finire poi con Adriano Olivetti (1901-1960), celebre imprenditore e politico, che nel 1948 fondò a Torino il movimento culturale “Movimento comunità” che si ispirava alle idee e ai principi espressi in "L'ordine politico delle Comunità", pubblicato nel 1945 dove egli già considerava necessario porre dei limiti alla forbice sociale, convinto del possibile equilibrio tra giustizia sociale e profitto privato. Andando indietro ad un passato più remoto, vogliamo evidenziare le forti analogie anche con il pensiero di J.Ruskin (1819-1900), grande critico d’arte, artista e scrittore, che trattò anche di politica economica: sentiamo molto vicina ad alcuni fondamentali presupposti culturali della nostra tesi, la sua profonda critica morale del ‘capitalismo selvaggio’ e contro il volgare edonismo di quella che chiamava ‘money-making mob’ (‘plebaglia che pensa a far soldi’).
Tutti precursori, dicevamo, che hanno posto le fondamenta su cui possiamo poggiare oggi la
nostra nuova teoria economica e sociale del "Capitalismo a doppia valvola di sicurezza", a nostro avviso l’unico approccio, oggi realmente innovativo, che cerca di rompere l'illusione, tossica, che non esista altro sistema in grado di produrre ricchezza che un capitalismo basato, irrimediabilmente, sulle più deteriori pulsioni individualistiche come la cupidigia e la sete di potere, negando ogni possibilità ad uno spirito di cooperazione sociale e senso di comunità.
Le denunce di Papa Francesco
Dobbiamo rilevare come la figura di questo papa in particolare, vada oltre la sola dimensione cattolica e come le sue tematiche sono di incoraggiamento e sostegno anche per molti non cattolici e perfino per molti non credenti.
Vorrei ricordare alcune pubbliche affermazioni del papa, che risultano assolutamente in accordo e sostegno con la nostra teoria, prima fra tutte:"Ricordiamoci che la radice di tutti i mali è l'iniquità”.
Il Papa critica duramente l'idolatria della ricchezza, non la ricchezza in sé, e la cultura dello spreco, con cui crescono disparità e povertà; più di una volta Papa Francesco è stato attaccato perché considerato “troppo comunista". A questa accusa il Pontefice risponde - in un'intervista, pubblicata da La Stampa (contenuta nel libro "Questa economia uccide", scritto dai vaticanisti Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi)- che “occuparsi dei poveri non è comunismo, è Vangelo”: ricorda che l’attenzione per i poveri "è nel Vangelo e nella tradizione della Chiesa, non è un’invenzione del comunismo e non bisogna ideologizzarla". Il pontefice prosegue lamentando che “oggi i mercati contano più delle persone, è un’economia malata. Dire questo non vuol dire essere comunisti".
"Innanzitutto - spiega il Papa- è bene ricordare che c’è bisogno di etica nell’economia, e c’ è bisogno di etica anche nella politica. (…)”. Il Pontefice rimarca la necessità che tutti “si impegnino, ad ogni livello, nella società, nella politica, nelle istituzioni e nell’economia, mettendo al centro il bene comune. Non possiamo più aspettare a risolvere le cause strutturali della povertà, per guarire le nostre società da una malattia che può solo portare verso nuove crisi. I mercati e la speculazione finanziaria non possono godere di un’autonomia assoluta. Senza una soluzione ai problemi dei poveri non risolveremo i problemi del mondo. Servono programmi, meccanismi e processi orientati ad una migliore distribuzione delle risorse, alla creazione di lavoro, alla promozione integrale di chi è escluso".
Il 7 febbraio 2015, in occasione del video messaggio per l'Expo, papa Francesco ancora dichiara: “C'è cibo per tutti, ma lo spreco e lo scarto sono sotto i nostri occhi; (…). Oggi, nonostante il moltiplicarsi delle organizzazioni e i differenti interventi della comunità internazionale sulla nutrizione, viviamo quello che il santo papa Giovanni Paolo II indicava come 'paradosso dell'abbondanza' (...): c'è cibo per tutti, ma non tutti possono mangiare. Mentre lo spreco, lo scarto, il consumo eccessivo e l'uso di alimenti per altri fini sono davanti ai nostri occhi. Questo è il paradosso!». Secondo il Santo Padre occorre avere “uno sguardo e un cuore orientati” con decisione a “risolvere le cause strutturali della povertà”. Il pontefice quindi ha ribadito: “No a un'economia dell'esclusione e dell'iniquità. Questa economia uccide».
Infine un appello a tutti i politici: “Da dove deve partire una sana politica economica? Su cosa s'impegna un politico autentico?. Quali i pilastri di chi è chiamato ad amministrare la cosa pubblica?”. La risposta è precisa: “La dignità della persona umana e il bene comune”. Purtroppo “questi due pilastri che dovrebbero strutturare la politica economica, sembrano appendici aggiunte dall'esterno”.
Il Santo Padre ha chiesto ai politici di essere “coraggiosi” e di non aver timore di farsi “interrogare nei progetti politici ed economici da un significato più ampio della vita”. In un altro intervento Papa Francesco si scaglia conto la corruzione (“la corruzione puzza!”): il pontefice ha parlato della corruzione e ha spiegato che il corrotto non ha amici, ma solo complici. “Difficile rimanere onesti in politica, vieni fagocitato da un fenomeno quasi endemico”, ha commentato. “E’ l’ambiente che facilita la corruzione”, ha aggiunto; “non dico che tutti siano corrotti, ma penso sia difficile rimanere onesti in politica”.
Fa riflettere, come emerga sia pure indirettamente, dalle parole del Papa l'immagine delle persone ai vertici della scala sociale, come individui soli, aridi, vittime in qualche modo della loro stessa ricchezza, che li corrompe da dentro. Ricchezza, inoltre, che procura loro una “felicità” solo apparente ottenuta prevalentemente attraverso il possesso ed il potere; in questi casi vere e proprie droghe che creano dinamiche e tossicodipendenze psicologiche, simili a quelle ad esempio del gioco d'azzardo. Insomma, il Papa vuole suggerirci che dovremmo “dare valore a noi stessi” più attraverso quello che siamo e meno attraverso quello che possediamo, diminuendo il livello di edonismo che rischia, oltre certi livelli, di essere estremamente deleterio non solo per la collettività ma anche per l' individuo stesso che lo persegue.
Il pensiero di alcuni importanti economisti che cambiano le carte in tavola
Il filosofo ed economista John Rawls sosteneva, come abbiamo anticipato, che un certo tasso di disuguaglianza fosse accettabile se ne traevano beneficio anche gli ultimi della scala sociale: se, cioè, la ricchezza maggiore degli uni può servire a diminuire la povertà degli altri. C’è una consistente letteratura sul perché società troppo polarizzate funzionano male e producono effetti dannosi sotto molti aspetti: due epidemiologi, ad esempio, R.Wilkinson e K.Pinkett, qualche anno fa hanno dimostrato il legame tra disuguaglianza e varie condizioni di malattia e disagio (obesità, aborti, droghe, infelicità). E sono diversi i testi usciti recentemente, di economisti più e meno noti, che analizzano il problema in modo aggiornato alle ultime conoscenze, vediamone una breve rassegna, di quelli più esemplificativi.
Nel 2012, il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz ha pubblicato il cospicuo saggio Il prezzo della disuguaglianza – Come la società divisa di oggi minaccia il nostro futuro: in esso l'autore evidenzia come il livello di disuguaglianza del reddito anche in America raggiunge punte mai viste da prima della Grande depressione. Negli anni del boom, antecedenti alla crisi finanziaria del 2008, l'1 per cento dei cittadini si era impadronito di piú del 65 % dei guadagni del reddito nazionale totale; e tuttavia, mentre il Pil (prodotto interno lordo) cresceva, la maggior parte dei cittadini vedeva erodere il proprio tenore di vita. Nel 2010, mentre la nazione lottava per superare una profonda recessione, l'1 per cento guadagnava il 93 % del reddito aggiuntivo creato nella cosiddetta “ripresa”: costoro continuano, dunque, a godere della migliore assistenza sanitaria, della migliore educazione e dei benefici della ricchezza, spesso però senza riuscire a comprendere che “il loro destino è collegato a quello dell'altro 99%”privato di tutto questo. Stiglitz unisce la sua visione economica a un appassionato richiamo affinché l'America torni agli ideali economici e politici che l'hanno resa grande. La disuguaglianza infatti, secondo Stiglitz, non nasce nel vuoto: è il risultato dell'interazione di forze di mercato e di manovre della politica. Grazie ad essa, l'America prima e l'Europa subito dopo, sono sempre meno la terra delle grandi opportunità e sempre meno sono in grado di rispondere alle aspirazioni e ai bisogni dei loro cittadini. Ma, secondo Stiglitz - ed anche a nostro avviso - non dovrà necessariamente essere così per il futuro.
Un altro libro, di particolare interesse perchè ci fornisce una base di dati certa, omogenea e abbondante, è "Il capitale nel XXI secolo” pubblicato nel 2014 dall'economista francese Thomas Piketty. In questo libro l'autore con l'aiuto di tutta una rete di ricercatori in tutto il mondo, ricostruisce la storia della diseguaglianza dei redditi, partendo dalla Francia del 1750 ed estendendo la ricerca progressivamente a tutto il mondo occidentale fino ad arrivare ai giorni nostri.
Questo libro per lungo tempo al vertice delle classifiche, suscita dibattiti un po' ovunque nel mondo e in effetti ci fa riflettere profondamente sia per le sue idee, che per la sua imprevista popolarità, che rivela forse come la sua analisi abbia risposto a una domanda di senso diffusa, ma inespressa, percepibile in un momento in cui non ci sono più ideologie e neppure molte idee in circolazione ma solo una prevalente e forse eccessivamente pragmatica visione “a corto raggio” di come evolverà l'economia e di conseguenza la società. L'economista Paul Krugman, premio Nobel, ha entusiasticamente affermato: “ecco una valida spiegazione teorica del perché negli ultimi decenni la disuguaglianza è aumentata tanto. Finito l’effetto livellatore della guerra, il capitale ha corso più dell’economia e probabilmente continuerà a farlo.” L'Economist hadedicato all'opera di Piketty un articolo dal titolo, solo in parte ironico, Bigger than Marx, più grande di Marx.
In effetti Piketty ha a disposizione una vasta gamma di dati che Marx non aveva e può obbiettivamente fare dei ragionamenti e proporre conclusioni che srebbero state impossibili per lo storico economista tedesco al tempo della sua celebre opera. Nel suo libro Piketty, partendo appunto da Karl Marx e dalla sua tesi che il capitale si accumula all’infinito, ma con rendimenti decrescenti, portando fatalmente i capitalisti a conflitti e a essere sempre in cerca di nuove opportunità, giunge a spiegare che il rapporto tra capitale e redditi è destinato ad aumentare molto, passando dal 4,5 del 2010 al 6,8 del 2100. Il Nobel Robert Solow, su New Republic, sintetizza così il ragionamento: “Piketty suggerisce che la crescita globale dell’output rallenterà nel prossimo secolo dal 3 all’1,5 per anno. Fissa il tasso di risparmi/investimenti al 10 per cento. Quindi si aspetta che il rapporto tra capitale e reddito crescerà fin quasi a 7”.
Per tradurre i numeri: le nostre economie, non solo occidentali, non si stanno evolvendo in direzione di una maggiore uguaglianza, ma al contrario le spinte verso la redistribuzione del Novecento sono state un’eccezione e un’illusione: quello che ci aspetta è il ritorno ancor più massiccio e opprimente di un capitalismo ottocentesco, in cui non importa quanto lavori, qualunque carriera non potrà mai eguagliare un buon capitale. Ovvero, la ricchezza più che conseguirsi, e accumularsi, in definitiva perlopiù si eredita. E questo non succede (soltanto) perché l’economia occidentale è trainata da tanti avidi, che accumulano profitti a spese della classe media e di quelle ancora inferiori. Secondo Piketty si tratta proprio di una dinamica interna dell’economia: se il capitale cresce sempre più in fretta rispetto all’economia reale, visto che i ricchi hanno molta più ricchezza della classe media le cui sorti dipendono, invece, dai redditi, i ricchi diventeranno inevitabilmente sempre più ricchi. Mentre molti economisti, tra cui forse il principale è l'americano Simon Smith Kuznets, ci avevano illusoriamente convinto che la disuguaglianza tende a ridursi nelle fasi di sviluppo, a prescindere dalla politica economica: “è la marea che spinge in alto tutte le navi, gli yacht come le scialuppe”, era quello che ci andavano raccontando. Al 10 % più ricco degli Stati Uniti, nel 1913, faceva capo il 40% per cento del reddito prodotto in un anno; nel 1948 la quota era scesa al 30% e da qui è nata la “curva di Kuznets”, valida,purtroppo solo in quel periodo e in quel paese, e non per il nostro futuro.
Infatti Piketty sostiene, forte di analisi quantitative e storiche, che non è stato il progresso a ridurre la disuguaglianza, ma la Prima e poi la Seconda guerra mondiale! Soltanto eventi traumatici come una guerra possono bilanciare, a suo avviso, l’effetto di una tensione profonda dell’economia come è oggi congegnata. Tutto il resto sono palliativi, inclusa la sua stessa proposta contenuta nel libro di una patrimoniale globale sulle grandi ricchezze: 1 % sui patrimoni tra uno e cinque milioni di euro, 2 % sopra i cinque milioni; da realizzare ogni anno e con un coordinamento, secondo lui, tra tutti i Paesi del mondo per evitare che i ricchi si rifugino nei paradisi fiscali.
Nessuno ha preso sul serio questa ricetta di Piketty, tantomeno noi che ne proponiamo una a nostro avviso più realizzabile e anche molto più efficace. La sua proposta non è solo è irrealizzabile, è anche inutile: infatti, nel migliore dei casi, servirebbe soltanto a rallentare la concentrazione delle grandi ricchezze.
Tuttavia, il meccanismo descritto dall’economista francese sembra comunque invincibile. Questo meccanismo oggi è reso ancora più abnorme rispetto al 1800, dal moderno operare del trading: la finanza speculativa, che contribuirà a peggiorare ancor più velocemente la situazione in futuro. A molti sfugge, infatti, che l'attuale corsa generalizzata ad investire nella speculazione finanziaria e non nell'economia reale, non farà alla lunga che accelerare il processo e accrescere le diseguaglianze, in nome di successi limitati e a breve termine, oggi ottenibili solo con l'impoverimento appunto della classe media che noi invece vogliamo evitare.
Gli attuali mega stipendi dei top manager, sia pubblici che privati, sono in realtà l’equivalente dei latifondi ricevuti in dono dai sovrani nelle economie fondali, cioè la premessa per una futura e crescente disuguaglianza tra chi ha e chi non ha (e non potrà mai avere).
Per contrastare questo “ meccanismo del ricco che diventa ancora più ricco” - a spese dei più, sempre più poveri - è nata la nostra proposta che, con il concetto di “ricchezza massima socialmente sostenibile”, potrebbe salvarci da un fallimento, che sarà reso ancora più grande dalla contemporanea espansione del numero di abitanti sul pianeta e del relativo esaurimento delle sue risorse naturali. Bisogna correggere questo orientamento e questa mentalità, ormai consolidati: è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale e l'abbandono di vecchi schemi, con una azione politica sinergica e l'adozione di una nuova idea, come questa appunto del “capitalismo a doppia valvola di sicurezza”.
Sintetica teoria di base, versione 1.20:
(di Ermanno Cavallini)
È a tutti noto che la maggior quantità di beni e servizi in una qualunque collettività si raggiunge con la maggiore presenza numerica possibile, di una consistente classe media.
Questo per i semplice motivo che solo la classe media è in grado sia di creare che acquistare beni e servizi e quindi far funzionare al meglio l'economia reale.
Questo è realizzabile al meglio, a nostro avviso, adottando la filosofia economico/sociale del“CAPITALISMO A DOPPIA VALVOLA DI SICUREZZA”
Questa in estrema sintesi, prevede il contenimento della forbice sociale tra poveri e ricchi in un valore limitato dinamicamente e strumentalmente anno per anno in funzione dell' andamento del bilancio dello stato.
Questo dovrebbe essere reso possibile da una nuova norma costituzionale da far approvare in un prossimo futuro.
In una prima ipotesi di partenza, si suppone di ammettere una escursione di operatività di capitalismo reale nella misura di 1 a 40 come già aveva ipotizzato anche il compianto industriale Adriano Olivetti.
Secondo questa nuova teoria culturale, in un dato “corpo sociale” (mettiamo la popolazione italiana) il miglior funzionamento non si ottiene con una distribuzione di tipo neo medievale (come quella verso cui ci stanno spingendo), ma al contrario con una società in cui le frange estreme sia di eccessivamente poveri che eccessivamente ricchi, sia ridotta e mantenuta in grado di non nuocere alla salute del sistema stesso.
Questo si ottiene mantenendo le regole dell'attuale mercato, ma solo entro una escursione, di reddito pro capite che garantisce la miglior produzione di beni e servizi e la migliore circolazione possibile della moneta, aumentando l'efficienza del sistema.
Moneta che conserverebbe le sue proprietà di facilitare gli scambi e mantenere il valore ma NON come oggi di dragare il valore dalla maggioranza dei cittadini verso pochi poli di concentrazione.
La prima “valvola di sicurezza” è costituita da una forma di reddito minimo garantito (come prima ipotesi 600 euro/mese), condizionato però ai lavori socialmente utili e ad una riforma massiccia dei centri per l'impiego che svolgerebbero una funzione attiva di collocamento con la creazione di “tutor” a cui affidare i disoccupati fino a nuovo collocamento; ovviamente in caso di rifiuto del lavoro socialmente utile o di altri lavori trovati dal tutor del centro per l'impiego, si perde il sussidio pubblico, ovviamente questo non viene percepito in caso di esistenza di altri redditi.
Questo “reddito minimo garantito” inoltre andrebbe a sostituire ogni ammortizzatore sociale o pensione minima sotto quella soglia, realizzando quindi una semplificazione burocratica che porterebbe ulteriore risparmio e maggiore chiarezza delle pratiche.
La seconda “valvola di sicurezza” è composta da un valore scientificamente assegnato e aggiornabile di anno in anno in modo dinamico di “ricchezza massima socialmente sostenibile” oltre la quale il reddito privato (non delle aziende) SOLO per la parte eccedente viene devoluto interamente allo stato.
Per le aziende, invece, si riducono le imposte rilanciando massicciamente l' occupazione.
Si realizzerebbe il meccanismo per cui un imprenditore il denaro che lascia nell'azienda e per l'azienda, lo vede tassare pochissimo, mentre quello che trasferisce nel suo conto personale o di altre persone fisiche lo vede tassare molto di più - anche oltre il triplo nel caso di redditi notevolmente elevati vicini al limite massimo, e sottoposto, appunto, ad un tetto massimo fissato di anno in anno in funzione delle esigenze di bilancio dello stato (che chiuderebbe cosi sempre in pareggio) e secondo i dati Istat dell'anno appena trascorso.
In pratica si attuerebbe un sistema premiante per la classe dirigente nel suo insieme, più l'economia va bene e più si alzerebbe sia il reddito di cittadinanza minimo e con un differenziale di 1 a 40 il tetto di “ricchezza personale massima raggiungibile”.
Questo è visto dal punto di vista del “funzionamento del sistema” per cui un imprenditore è utile e meritorio solo se rimane tale; quando invece chiude o vende l'azienda pagandosi eccessive buone-uscite e divenendo un ricchissimo non- imprenditore diventa invece un peso del sistema, perché non fa circolare denaro nell'economia reale e non paga più stipendi a dipendenti.
Questa è una visone dal punto di vista “sistemico” che vuole l'Economia reale che va principalmente salvaguardata e a cui (al contrario di ciò che avviene oggi) deve essere subordinata l'economia finanziario/speculativa, che vedrebbe il suo giro d'affari ridotto forzatamente ad una frazione del volume d'affari dell'economia reale (oggi invece è di moltissime volte superiore).
Questa dinamica oltre che aspetti economici avrà anche un importante effetto psicologico, diminuendo il mito di una eccessiva competitività (che non viene però annullata ma riportata nei giusti limiti) e aumentando il peso dell'aspetto collaborativo e la consapevolezza di appartenere ad un unico “corpo sociale”, tanto più sano quanto più le interazioni tra gli individui sono positive e
improntate ad una sana cooperazione, liberandoci dalla perversa dinamica di “isole umane” in cui oggi siamo ridotti.
Per informazione: dai dati dell'attuale ministero del tesoro in questo momento i contribuenti che dichiarano oltre 300.000 annui (massima fascia analizzata) contribuiscono nel loro insieme per valori nell'ordine dei millesimi al gettito fiscale.
Tutta la fascia di “ricchissimi” (con un reddito annuo di oltre 300.000 euro), dunque, verrebbe “sanata”, sollevandola dall'arbitrio, il peso e lo stress derivanti dalla gestione di patrimoni personali cosi elevati che inevitabilmente portano a sviluppare una “tossicodipendenza” da eccessivo potere e ricchezza, staccandoli psicologicamente dalla realtà e creando falsi miti legati ad un benessere apparente solo economico e quindi squilibrato, non solo ai fini sociali ma anche loro personali.
Inoltre, ogni potere derivante dalla gestione di denaro oltre soglie molto importanti (compreso quello esercitato dalle banche nazionali) dovrebbe essere posto sotto il controllo diretto o indiretto dello stato, che deve vedere una riforma massiccia di ogni suo organo di controllo e rappresentanza con una partecipazione più diretta della base dei cittadini.
In questi mesi di elaborazione collettiva in effetti , questa è la principale critica costruttiva fatta a questa teoria, che in questo aggiornamento viene accolta pienamente.
Una condizione INDISPENSABILE perché questa proposta possa funzionare è che il cittadino si interessi e controlli continuamente l'operato delle istituzioni.
Senza questa opera di “volontariato a favore della collettività” un grande potere concentrato nello stato, finirà per essere mal gestito come spesso in passato, da burocrati e faccendieri.
Questo in effetti è un punto critico cruciale e senza un mutamento di coscienza della maggioranza dei cittadini in questa direzione, questa proposta non è attuabile.
Rimane quindi la necessità di diffonderla, se non altro come stimolo di riflessione perché a poco a poco si crei un consapevolezza diffusa in tale direzione.
Per realizzare qualunque miglioramento il comune cittadino DEVE entrare nell'ottica per cui non è più possibile dare il voto e poi in pratica disinteressarsi e seguire e controllare solo marginalmente le decisioni prese dalle istituzioni.
Ogni cittadino deve sentire non solo come diritto ma come dovere il fatto di controllare e contribuire alla pubblica gestione dei beni.
Ovviamente questa è solo un’estrema sintesi di una teoria assai più complessa ed articolata.
Ulteriori approfondimenti sono disponibili per il momento contattandomi direttamente e nei “gruppi elaborativi” cui abbiamo dato luogo per discutere e affinare il nuovo orientamento culturale basato sui tre concetti cardine di: motore elaborativo, corpo sociale, intelligenza collettiva.
Un augurio a tutti noi di buna fortuna...
Ermanno Cavallini