lunedì 15 agosto 2011

Luciano Gallino: «Toccare lo Statuto è una regressione giuridica»


Nell'immagine: Cemeterio La Loma di Gustavo Piccinini


Uno spettro si aggira nel mondo, il double dip. In gergo finanziario indica la rappresentazione grafica della recessione a forma di W, quella più temuta, composta da due tracolli in successione. Crisi, ripresa, nuovo crollo. La storia novecentesca del capitalismo non dovrebbe farlo dimenticare. Anche la catastrofe del 1929 si manifestò in pieno dopo quattro-cinque anni. In un primo momento la risposta in America fu improntata alle ricette tradizionali: salvataggio delle banche e messa in sicurezza del sistema finanziario. Solo dopo venne il New Deal di Roosevelt, un piano di massicci investimenti pubblici dello stato e una riforma fiscale con imposte per i ceti ricchi. Oggi, stesso film. La risposta dei governi alla crisi globale negli ultimi tre anni non è uscita fuori dagli schemi tradizionali. Le ricette di cui discute anche il governo italiano - pareggio di bilancio, tagli alla spesa pubblica, riforma del mercato del lavoro - accelerano gli effetti recessivi. Dai recinti del neoliberismo non si esce, la dottrina ufficiale è che
«l'indebitamento eccessivo è sempre seguito da almeno un decennio di bassa crescita, in cui consumi e investimenti languono e la disoccupazione resta elevata» (Sole 24 Ore del 10 agosto u.s.). Ma davvero è così? Ne parliamo con il sociologo Luciano Gallino.

Il governo vuole tagliare la spesa pubblica e introdurre nella Costituzione il vincolo al pareggio di bilancio. E' come mettere fuori legge il keynesismo e l'uso del deficit come politica economica, non crede?

Non c'è dubbio. La proposta del governo è di modificare l'articolo 81 per introdurre il pareggio di bilancio. Questo significa impedire ogni tipo di politica economica. Lo si voglia o no, tutti gli stati e tutti i governi hanno sempre contratto un debito pubblico. E' un pilastro della politica economica. Lo stesso bilancio degli Usa, di cui tanto si parla ora per il declassamento da parte dell'agenzia di rating, è in deficit da oltre due secoli e nonostante ciò s'è visto quanto sia cresciuta la loro economia. L'idea che per rilanciare l'economia sia obbligatorio il pareggio di bilancio è una cretinata. Perché ci sia una crescita è necessario che lo stato spenda e investa, orientando in qualche modo l'attività economica, anche se questo comporta un bilancio in deficit. Tutte queste trovate di basso conio del governo ricalcano le stesse, stantie ricette del Fondo monetario, già avanzate negli anni Ottanta, poi Novanta, poi nel Duemila. Sembra un disco rotto: tagliare la sanità, le pensioni, privatizzare i servizi, l'acqua e così via. Il Fmi ha fatto delle brutte figure, non ha saputo né prevedere la crisi, né orientare lo sviluppo e determinare la stabilità finanziaria. Ora abbiamo molti governi europei, compreso il nostro, che purtroppo prendono alla lettera queste polverose ricette.

Se modificassero anche l'articolo 41, non ci sarebbe più alcun vincolo sociale alla libertà d'impresa...

Qui l'effetto propagandistico della proposta è maggiore. La modifica di un articolo della Costituzione richiede molti mesi e votazioni con forti maggioranze. Se davvero fosse modificato, sarebbe però un regresso, uno stravolgimento della Costituzione, oltre che un danno per il paese. L'articolo 41 dice che l'iniziativa economica privata è libera. Quel che si vuol fare è l'eliminazione dei due commi successivi, che affermano che l'iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana. L'incredibile proposta avanzata dal governo prevede che sia lo stesso soggetto economico a dover dichiarare che la propria iniziativa privata non è contraria a nessuna legge. Comuni, province, Stato e ministeri dovrebbero verificare se sia vero o no. Questo significherebbe lasciare mano libera a qualsiasi iniziativa di qualunque genere. Una prospettiva spaventosa. C'è solo da sperare, visti i tempi lunghi necessari, che il progetto fallisca.

Fin dal primo articolo la nostra Carta recepisce l'idea che ci siano non uno, ma due principi, l'impresa e il lavoro, e che qualora ci sia un conflitto tra i due, questo debba essere risolto col primato dell'utilità sociale. Non è così?

I commi secondo e terzo dell'articolo 41 sono chiari. Non parlano di conflitto tra capitale e lavoro. Però si dice che la legge determina i controlli opportuni perché l'attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Il secondo comma impedisce all'iniziativa privata di arrecare danni alla libertà e - si noti - alla dignità umana. Senza per questo ledere l'iniziativa economica privata di cui questo paese ha fatto a volte buon uso, altre volte cattivo uso. Si parla di rilanciare lo sviluppo e la crescita, ma queste misure - al di là del tempo che faranno perdere in discussioni - sono contrarie a qualsiasi teoria e pratica economica.

Tra le misure c'è anche la cancellazione dello Statuto dei lavoratori...

E questo sarebbe più facile. Basta una leggina per ridurre o azzerare del tutto la portata dello Statuto dei lavoratori del 1970. Già è stato fatto molto in questa direzione da questo governo, ma la situazione può peggiorare ancora. Lo Statuto dei lavori di cui si parla da tempo è di per sé un fatto regressivo perché alla base c'è l'idea che i rapporti e non gli individui siano titolari di diritti. C'è da aspettarsi seri danni ai diritti del lavoro. La prestazione fisica di lavoro verrebbe separata dalla persona del lavoratore. Un regresso in termini giuridici.

Già oggi, nei fatti, l'articolo 18 è aggirato da una serie di contratti atipici di ogni genere che rendono possibile la flessibilità totale del lavoratore. Perché questo accanimento?

L'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) da più di trent'anni richiede un aumento della flessibilità in uscita, cioè una maggiore libertà di licenziamento. Eppure, in alcuni rapporti più recenti la stessa Ocse dice che, tutto sommato, non c'è nessuna relazione tra libertà di licenziamento e sviluppo economico e crescita del Pil, tanto è vero che paesi con una maggiore rigidità del mercato del lavoro, cioè con seri ostacoli alla libertà di licenziamento, hanno avuto per decenni tassi di sviluppo più elevati di paesi in cui vigeva maggiore libertà di licenziamento. Il nostro governo, invece, si attarda a tirar fuori questa polverosa ricetta.

Tonino Bucci

(fonte Liberazione)

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