venerdì 5 agosto 2011

Giorgio Vitali: "Globalizzazione invasiva e fronte comune individualista.."



"Per ogni Gaudenzio.. ci vuole un Sofferenzio!" (Saul Arpino)

Ho seguito con interesse vari interventi concernenti il progetto di “fronte comune”. Ho particolarmente apprezzato l’articolo di Umberto Bianchi, che ha posto l’accento l’importanza di combattere la globalizzazione (su cui dirò in seguito) e l’intervento “moderatore” di Ugo Gaudenzi, tendente a ridimensionare gli entusiasmi.

Perché di vari “fronti comuni” si progetta da tempo, senza però che qualche aggregazione concreta prenda il volo. La banale ragione, a mio sommesso parere, consiste nel fatto che, almeno finora, nessun fronte comune è esistito. Trattandosi per lo più di frontiere sparse e molto frammentate. E’ una storia che data ormai da ben oltre mezzo secolo. Esiste sicuramente un “comune sentire”, che consiste in molte variazioni sul tema sentimentale, ma non un fronte comune con prospettive comuni. Almeno a breve termine. A lungo termine l’incertezza regna sovrana.
Sorvolando sui non pochi tentativi messi in atto, fra cui alcuni proprio da Rinascita, mi limito a ricordare che il primo tentativo “serio”, con un progetto “non velleitario” ma con contenuti concreti, fu posto in essere dalla FNCRSI a metà degli anni sessanta. Rutilio Sermonti, che ha ancora una memoria formidabile, dovrebbe ricordarlo, perché lui vi partecipò in rappresentanza di O.N. Il documento conclusivo fu pubblicato sul bollettino della FNCRSI ed è ora reperibile nel sito: http://fncrsi.altervista.org.

[Prima digressione: Marco Tarchi, in una sua recente conferenza a Roma, ci ha detto che il suo libro: Contro l’americanismo, edito nel 2004 da Laterza, ha venduto pochissime copie. E questo per me è un elemento essenziale del discrimine fondamentale che ha caratterizzato finora qualsiasi possibilità di aggregazione tra movimenti essenzialmente o apparentemente antagonisti il sistema.]
SULLA GLOBALIZZAZIONE.

Giustamente Umberto Bianchi identifica nella “globalizzazione” il fenomeno principale che tutti gli altri riassume, ma proprio per questa ragione è necessario, se lo vogliamo battere, scomporre il fenomeno epocale nei suoi elementi costitutivi, nell’ottica della “analisi della complessità”.

Vista la massa di elementi da porre sullo scacchiere ( perché di scacchiere si deve parlare), è necessario fare, come primo atto, una selezione accurata degli elementi di debolezza di questo fondamento di gestione geopolitica del “globo”. Ma per poter capire occorre anche un excursus storico.

La globalizzazione non è un fenomeno nuovo, ma nasce almeno con la nascita della “geopolitica atlantica” ( con esclusione dell’Italia per colpa degli italiani e della politica della Chiesa, protesa a garantire il dominio ideologico sull’”ecumene”, da notare l’assoluta subordinazione delle politiche dei piccoli stati italici alle esigenze “universali” del papato.)

Dal 1500 data la guerra “mondiale” per il controllo dell’Atlantico, con lo spostamento, assai significativo, della see dell’Impero in Spagna.

Si tratta di guerre che vanno intese in senso geopolitico. Ovvero: il mare contro la terraferma, con alterne vicende che arrivano fino al presente. (Ecco perché, dal punto di vista della “guerra permanente”, la Meta eurasiatica è essenziale. Da non perdere mai di vista. Nel senso che occorre sempre capire dove va a parare una qualsiasi scelta politica economico-energetica-spaziale.)

Tornando alla Globalizzazione, essa non è che l’estensione della geopolitica delle cannoniere di anglosassone memoria, ove le Multinazionali elaborano strategie che si intrecciano con quelle del Neocolonialismo, dei progetti di Dominio economico e quindi politico della FINANZA apolide, centralizzata per ora in USA/GB/Israel, e de localizzata nei paesi succubi tramite uomini di paglia (in Italy: Napolitano, degno erede dei Savoia del governicchio di Brindisi-Salerno, Ciampi, De Benedetti, affossatore dell’Olivetti per conto di “Lorsignori”, Draghi, Amato, Prodi, Andreatta, Barucci, Monti…). Degni eredi dei viceré spagnoli del seicento, a sottolineare una continuità geopolitica di controllo del territorio italiano cui il sistema atlantico non può rinunciare, da cui, va da se che l’Italia da sola può fare ben poco, ma si deve appoggiare ad un forte epicentro terrestre, che non può essere altro che l’asse Francia-Germania-Russia, supportato dall’asse Turco-Iranico-Greco ( Impero Romano d’Oriente). Alternativamente avremo sempre personaggi scelti ad hoc ( per lo più “economisti”: vedi Protocollo VIII).

LO SCONTRO CHE, di volta in volta e nei secoli, ha visto confrontarsi il “Mare” e il “Continente”, deve essere interpretato secondo gli schemi della geopolitica, pena la totale incomprensione e l’incapacità di organizzare un qualsiasi fronte comune. (vedi: Maurizio Blondet: Stare con Putin, Effedieffe, 2006). Non a caso la vacuità di un qualsiasi “fronte comune” è stata dimostrata dalla cinquantennale presenza del M.S.I. il cui messaggio contraddittorio (e nella sostanza molto ambiguo) ha bloccato qualsiasi forma di “presa di coscienza” politica di rilievo nazionale. [ Organizzazione degli “opposti estremismi” e degli “anni di piombo” a parte…]

Ne consegue che la Globalizzazione, di per sé, fenomeno evolutivo della società umana, per poter essere combattuto, deve essere scomposto nelle sue molteplici tessere, (Vedi: Jean Prassard: Dominio, Ed Capire, Roma), come dimostrano:
1) Le origini del secondo conflitto mondiale.
2) Guerra in corso (IV conflitto mondiale)
3) Guerra di contrasto da parte di USA/GB/Israel dell’emergere del Multipolarismo, peraltro invincibile e presente già nel conflitto USA/Giappone del 1935-1945.

CONCLUSIONE (parziale):
La parola Globalizzazione è interpretata dai più, posto che la conoscano, come un allargamento dei confini delle vecchie organizzazioni statali, propiziata dal progresso tecnologico. (aviazione, treni super veloci, autostrade, corridoi intraeuropei, oleodotti e gasdotti, comunicazioni e messaggi virtuali, pervasività dei giochi finanziari propiziati da internet). In realtà si tratta di un’organizzazione del potere che si estende su tutto il globo conosciuto (foreste tropicali incluse.)

Nel suo libro recente: “Un anno un secolo. Il mondo dopo il 2010. Un diario globale.” Edito da Aragno, Torino, 2011, Aldo Rizzo cita un libro appena uscito: “ Zero-Sum World” di Gideon Rachman, chief columnist per la politica estera del Financial Times, nel quale si lamenta l’affermarsi di un mondo a “somma zero”, e cioè, in cui a guadagni di ciascuno corrispondono direttamente le perdite di altri. Ciò è l’esatto contrario del win-win-world, in cui tutti possono credersi vincitori a seguito della caduta delle barriere e dell’apertura di un mercato universale. Pertanto, l’ultimo decennio sarebbe stato il culmine della crisi della globalizzazione.

(NOTA FINALE: soltanto cretini integrali potevano credere al mito della globalizzazione se questa fosse stata realmente quella che offrivano alla credulità delle masse. Chiunque può comprendere che se c’è un vincente c’è anche un perdente. Salvo che le popolazioni “non integrate” non fossero calcolate alla stregua di “nulla”. Come nella mentalità di “lorsignori” che noi conosciamo molto bene, dimostrata anche dalla scarsissima considerazione sui milioni di morti causati dalle guerre di aggressione atlantiche in questi ultimi decenni Insomma: della globalizzazione resterebbero soltanto gli agghiaccianti nomi dati da genitori italici globalizzati a quelle povere bambine e giovanetti vittime della ferocia di una società senza pace, così come ci vengono riferiti dalle cronache televisive).

Giorgio Vitali

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