mercoledì 1 dicembre 2010
Effetto serra o nuova glaciazione…? Fa più freddo… fa più caldo? I dubbi dell’ignaro osservatore temporale… che non sa più cosa pensare
C’è o non c’è? Mi riferisco all’”effetto serra” sulla cui esistenza si scontrano due vivaci gruppi.
Un primo gruppo sostiene che esistono dei mutamenti climatici dovuti all’immissione nell’atmosfera di vari gas, principalmente anidride carbonica, ma anche metano, idrocarburi clorurati e fluorurati e alcuni altri, che sono i sottoprodotti di attività umane e soprattutto di scelte merceologiche: questo gruppo, insomma, sostiene che le attività e le scelte produttive umane compromettono il clima in futuro, ragione per cui è necessario sottoporre a revisione critica i consumi, i processi produttivi, usare le fonti energetiche e le materie prime rinnovabili, eccetera. Esiste poi un altro gruppo che sostiene che i mutamenti climatici che si stanno osservando sono occasionali, che simili mutamenti ci sono sempre stati in passato, che la concentrazione dell’anidride carbonica nell’atmosfera è cambiata più volte durante la lunga storia geologica della Terra e che non sono le attività di produzione e di consumo di energia e di merci che alterano il clima. Le ricchezze della natura, la scienza e la tecnica sono in grado di risolvere i guasti ambientali, ragione per cui non c’è bisogno di alcun mutamento nell’andamento delle economie nazionali e mondiali.
I due gruppi, a cui partecipano con uguale vigore chimici e giornalisti, fisici e storici, meteorologi e geografi, difendono le rispettive inconciliabili posizioni con ricche citazioni in stizzosi dibattiti fino a reciproche accuse su chi è pagato da chi per sostenere le sue tesi.
Al dibattito sull’effetto serra si affianca quello sull’energia nucleare, di moda da quando, dopo le ultime elezioni nazionali, il nuovo governo ha deciso di avviare un programma di costruzione di varie centrali nucleari. Uno dei due gruppi sostiene che le centrali nucleari producono elettricità costosa, con impianti che alterano il territorio, inquinano durante il funzionamento e lasciano in eredità alle generazioni future scorie radioattive quasi eterne. L’altro gruppo sostiene che l’Italia è rimasta esclusa dall’energia nucleare per colpa dello sciagurato referendum del 1987 che ne fermò l’uso, che le centrali nucleari producono elettricità a basso costo, come dimostra la Francia, che occorre elettricità a basso prezzo per far funzionare le fabbriche e rendere competitiva la produzione italiana di merci e macchinari e che le fonti solari, eoliche e simili mai potranno fornire elettricità come fanno così bene le centrali nucleari. E, infine, questo secondo gruppo sostiene che il programma nucleare governativo fa diminuire le costose importazioni di petrolio e di gas naturale che, bruciando, immettono nell’atmosfera gas con effetto serra. Ma non abbiamo appena detto che l’effetto serra non esiste? Eppure i due partiti, quello che contesta l’effetto serra e quello che sostiene l’energia nucleare hanno vaste zone e protagonisti comuni.
Non si capisce niente. A me pare che la società contemporanea brancoli nel buio. Ci si augura che diminuiscano le importazioni di petrolio ma si guarda con preoccupazione alla disoccupazione provocata dalla chiusura di alcune raffinerie; ci si augura che diminuiscano i fumi nelle città e la congestione del traffico automobilistico, ma nello stesso tempo si incoraggia, anche grazie a incentivi statali, la produzione e la vendita di automobili che funzionano bruciando prodotti petroliferi.
Ogni giorno aumenta la massa dei rifiuti solidi (ormai 40 milioni di tonnellate all’anno quelli domestici e urbani) e anche qui si contrappongono coloro che chiedono una diminuzione dei consumi e il riciclo dei rifiuti, con quelli che vorrebbero bruciare i rifiuti negli inceneritori o seppellirli nel sottosuolo.
La vita è intessuta di contraddizioni, come aveva detto il filosofo tedesco Hegel: il compito della politica dovrebbe essere proprio il superamento o la conciliazione delle contraddizioni, ma mi sembra che ben poco venga fatto in questo senso. Ci aspettano periodi tempestosi, che possono essere superati soltanto con coraggio e lungimiranza. Quanto all’energia e all’ambiente il mio modesto pensiero è che occorra un piano nazionale, ed europeo, forse globale, ma almeno nazionale, basato su scelte che inevitabilmente sono tecniche ed economiche.
La quantità di energia che occorrerà in futuro, le fonti di energia a cui rivolgersi, l’inquinamento che ne deriverà, dipendono dalla decisione di quello che sarà prodotto per soddisfare bisogni umani, a cominciare da quelli elementari e irrinunciabili: il diritto alla casa, a muoversi e, soprattutto il diritto al lavoro. Si tratta di decidere quali case costruire per chi vive ancora nelle baracche, dove costruirle nel territorio, quali e quante automobili fabbricare, quali e quanti prodotti agricoli produrre nei campi: grano e patate, pomodori e legname, girasoli e olio di oliva.
Per attuare queste decisioni, nell’interesse pubblico, generale, può intervenire soltanto lo stato con i suoi soldi. Un privato ha interessa a costruire quartieri e alberghi di lusso per i ceti abbienti, non certo case per sfrattati e immigrati; un privato guadagna col funzionamento delle eleganti cliniche private, non spende soldi per aggiustare i corridoi e le sale operatorie degli ospedali pubblici; produrre automobili popolari e a basso consumo non rende al privato quanto costruire automobili potenti e lussuose; riciclare i rifiuti non rende quanto incenerirli e immetterli in discariche, e così via. Già oggi lo stato interviene con i suoi soldi, ma per rispondere a domande private che non risolvono i problemi né dell’occupazione, né dell’energia, né della casa per i meno abbienti.
Occorre una svolta perché dalle contraddizioni irrisolte sono travolti proprio i più deboli ed è travolto l’ambiente, con cieli fumosi, colline che franano, fogne che sporcano i mari, rubinetti che non danno acqua; ed è travolto di più il Sud.
Giorgio Nebbia – nebbia@quipo.it
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