lunedì 13 dicembre 2010

Cancun 2010: ignorati i popoli, vince il mercato...


"Si distruggono gli alberi e la vita per la carta colorata avvilita"(Saul Arpino)

Se il pianeta ha la febbre a Cancun non è stata curata, anzi. Nulla di vincolante è stato deciso nell'accordo uscito all'alba, in chiusura del vertice, nonostante l'enfasi data dai governi riuniti e dalla stampa al testo conclusivo emerso dalle due settimane di lavori.

Cancun conferma sostanzialmente il consolidamento della logica emersa a Copenaghen, ampliando i meccanismi attraverso cui la gestione della crisi ambientale e climatica passa attraverso la finanziarizzazione e nuove speculazioni economiche. Il fondo verde, i mercati di carbonio e il meccanismo dei Redd+ non sono altro che false soluzioni che istituiscono una sorta di “diritto di inquinare”, in base al quale i paesi industrializzati continuano con le emissioni pagando “indulgenze” compensative che si risolvono nell'ennesimo ricatto verso i paesi del sud del mondo.

Che la logica di Copenaghen sia stata trasferita a Cancun è dimostrato anche dal ruolo centrale affidato qui in Messico alla Banca Mondiale, che paradossalmente, dopo esser stata tra i colpevoli della crisi economica ed ecologica, gestirà per i primi tre anni il Green Fund.

Ben lontani da incorporare nel proprio linguaggio espressioni come 'debito ecologico' , su cui invece i movimenti per la giustizia ambientale di tutto il mondo insistono, nei documenti si continua a puntare sull'urgenza del trasferimento tecnologico, ribadendo il ruolo centrale del settore privato e dei meccanismi finanziari.

Una “soluzione” palliativa che non risolve le cause principali, che facilita solo la creazione di nuovi mercati per le aziende già pronte a investimenti internazionali su larga scala e al mercato di nuove tecnologie definite 'appropriate per l'ambiente'. Tutto senza focalizzare l'impatto socio-economico, senza trattare degli effetti sulle popolazioni direttamente colpite e costrette alle migrazioni - che pure interesseranno anche i paesi più sviluppati, messi di fronte alla sfida posta dai nuovi e massicci flussi in entrata.

Dopo 5 anni di conferenza delle Parti nulla è stato risolto, anzi. Mentre a Cochabamba in soli tre giorni lo scorso aprile 40.000 delegati di 142 paesi e 40 rappresentanti di altrettanti governi avevano raggiunto un accordo che individuava le cause della crisi sistemica proponendo misure concrete per far fronte alla crisi climatica. Proposte che dopo essere state incluse nelle negoziazioni preliminari, sono rimaste lettera morta a Cancun, decisione che ha causato il no della Bolivia all'accordo finale.

La crisi ecologica non è fatta solo di cambiamenti climatici. È anche disastri ambientali, nuovi e massicci flussi migratori, distruzione di economie locali, violazione del diritto al cibo e alla salute e la distruzione di milioni di vite umane. Di fronte a questa consapevolezza nessun adattamento è possibile.

Parlare di giustizia climatica significa oggi in realtà parlare di relazioni di potere, di sistemi economici, processi produttivi e modelli di consumo. Per questo siamo più che mai convinti che per affrontare il maniera concreta la crisi sistemica (economica, ecologica, finanziaria, energetica, alimentare e migratoria ) occorra rimettere al centro la giustizia sociale ed ambientale.

È questa la scommessa concreta ed urgente che i movimenti e la società civile di tutto il mondo hanno iniziato ad assumere per unire sempre di più le lotte e le alternative in marcia dal nord ad sud del mondo, dalle fabbriche alle campagne, dalle città ai territori con un unico obiettivo comune: cambiare il sistema, non il clima.

RIGAS - Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale
www.reteambientalesociale.org

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