martedì 10 novembre 2009

Bioregionalismo centrato sulla filosofia biocentrica: "I greci lo sapevano già... gli americani l'hanno scoperto ieri..."

La visione bioregionale e le radici biocentriche della filosofia greca:

Le argomentazioni del cristiano Origene nel III secolo erano improntate a confutare le argomentazioni del platonico Celso, autore di un’opera intitolata “Ricerca intorno agli esseri viventi” il cui intento era quello di dimostrare che l’universo non era stato creato in funzione dell’uomo più di quanto non lo fosse in funzione di qualunque altra specie. Celso evidenziava l’intelligenza degli animali, come nel caso delle api o delle formiche che provano compassione delle loro compagne ferite e le soccorrono. Diceva che gli uccelli sono più vicini degli uomini alla divinità e che insegnano all’uomo l’arte divinatoria.

“Perché dovremmo credere che l’universo sia fatto per noi più di quanto sia fatto per l’aquila, il delfino o l’elefante”? Per Celso la divinità è assolutamente imparziale nella sua cura dell’universo: lo regge e lo governa e non subordina una specie ad un’altra, né è mossa verso l’uomo da affetti particolari, né sia adira con l’uomo più di quanto non si adiri con qualunque altra creatura.

C’è da dire che prima che Aristotele suddividesse in regni gli esseri viventi non vi era alcuna demarcazione tra le specie, né attribuisce all’uomo particolare importanza anche se assegna al forte il diritto naturale di dominare il debole.

Il primo in Occidente a parlare di astensione dalla carne fu Pitagora, però le sue motivazioni erano principalmente di ordine religioso, diverse dalla posizione di Porfirio che parla di astensione generalizzata basata sulla somiglianza dell’uomo con gli animali. Porfirio si oppone alla tradizione più antica di Diogene e di Aristosseno i quali parlano di astensione solo di alcuni tipi di animali come bovini e montoni. Aulio Gellio dice che, secondo un documento perduto di Aristotele, Pitagora non disdegnava cibarsi di porcellini e agnellini, non si asteneva dalla carne in generale ma solo del cuore e dell’utero degli animali, ritenute fonti del sangue e della vita. In ogni caso la rinuncia alla carne nel pitagorismo è fondato sul concetto della metempsicosi. Le piante e gli animali sono da Pitagora accomunate sotto un’unica categoria di viventi e il confine tra essi è estremamente oscillante. Empedocle attribuisce anche alle piante intelligenza e sentimento e Platone considera la pianta come un animale rovesciato con la testa nella terra.

Però è Aristotele che dà una catalogazione delle facoltà psiche degli animali: la sensazione, la memoria, la capacità di discernimento che li rendono simili a noi anche se stabilisce il confine tra i due regni e quindi l’inizio di una nuova fase di rapporto tra essere umano e mondo animale e tra questo e il mondo vegetale, che ancora condiziona la cultura cristiana occidentale. Aristotele fu il principale responsabile dell’ordine dell’universo gerarchico finalistico secondo cui l’animale non ragionevole è oggettivamente inferiore rispetto all’essere umano pensante. E affinché la dottrina di Aristotele potesse diventare base di una teologia gli mancava la componente del provvidenziale. L’ordine gerarchico di Aristotele culmina in un intelletto divino, anche se non attribuisce neppure all’uomo una condizione di privilegio.

Ma il primo a svincolarsi da una posizione antropocentrica fu Teofrasto discepolo di Aristotele e Senocrate discepolo di Socrate. Teofrasto si opponeva al sacrificio degli animali diceva: “I sacrifici cruenti basati sull’uccisione degli animali sono buoni per i cattivi demoni non per gli dei che aborrono il sangue”.

Plutarco (I-II sec.) della corrente neoplatonica, trattava prevalentemente dell’intelligenza degli animali e la loro somiglianza con gli umani in relazione alle passioni; scrisse un’opera sull’astensione del cibo a base di carne, il “De esu carnium”. Porfirio (III-IV sec.) scrisse il “De abstinentia”. Anche Senocrate estendeva il precetto del non uccidere a tutti i viventi, mentre Ermarco, come per Cicerone, riteneva che non vi potevano essere doveri e regole di reciproca convivenza con chi non era possibile stabilire patti circa il non dare o ricevere danno. La Stoa predicava la simpatia universale tra tutte le parti dell’universo basata sulla consapevolezza che il soffio vitale (neuma) regge il cosmico e permea di se anche le parti più “vili”.

L’antropocentrsimo influì pesantemente sull’ebreo ellenizzato Filone Alessandrino il quale vedeva nell’umano la creatura privilegiata cui Dio aveva dotato di anima razionale. Per Platone una sola anima passava attraverso una moltitudine di esseri, di forme corporee e vite.

In realtà la cultura cristiana prende da quella greca i motivi del suo antropocentrismo. La grecità fu la prima e l’unica a teorizzare coerentemente e razionalmente la nostra parentela psichica con gli altri esseri senzienti e quindi la nascita del pensiero in difesa degli animali e delle forme viventi nel loro complesso.

Franco Libero Manco - www.universalismo.it

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