Costretta ormai a ricorrere alle teche storiche per proporre al pubblico almeno il lontano ricordo di quando, pur nel limite del bianco e nero, aveva il decoro e la consapevolezza del proprio ruolo di servizio alla comunità - dopo l’indecoroso approdo al festival di Sanremo ridotto a scimmia (nel senso letterale e non metaforico) della gloriosa manifestazione canora rivierasca – eccola di nuovo superarsi in povertà creativa, intenta a speculare sulla gloria che fu, con una rappresentazione, peraltro non poco svilita, dello storico appuntamento televisivo del sabato sera: il mitico Studio Uno di Falqui e Sacerdote.
Parliamo ovviamente della Rai, dello stato comatoso in cui versa, ormai fotocopia sbiadita della concorrenza privata, dalla quale i suoi nuovi mentori suggono linfa per plasmare modelli ed esempi che mortificano pesantemente la sua miglior tradizione.
Su tutti e per tutti la dottoressa Tibi, evoluzione darwiniana all’incontrario della televisione, che ha diritto di voto all’isola dei famosi, verosimilmente presto in Rai (da cui, d’altronde, l’isola era partita per non esser da meno del Grande Fratello) a far coppia con il dottor Tigi, scimmia dell’informazione già ingaggiata da un pezzo, ridotta a cane da guardia degli utenti, impunemente portato a guinzaglio dalla politica, per tutelare i propri interessi.
Standing ovation usate e abusate nei titoli e durante i programmi. Pubblici telecomandati in studio e pubblici col telecomando a casa, tutti calamitati dal nulla e rimbalzati da un’idiozia all’altra, senza alcuna speranza di incrociare, non dico lo spettacolo, ma anche solo il semplice buon senso
E giù a riproporre la mummia di Arcore come uomo di stato e il bullo di Rignano come antidoto al populismo, in uno scenario sempre più promiscuo di talent della canzone (spesso assai improbabile), alternati a quelli della gastronomia - altra tradizione gloriosa sacrificata dal gran gourmet Farinetti sull’ara della dea Vodafone – fino all’apice dell’orgasmo mediatico del telespettatore rapito nell’estasi di …..ballando sotto le stelle.
No, non è la BBC, intonava ironico un maestro del piccolo schermo, incredibilmente assente nel management di vertice di una televisione per cui e a cui ha regalato, per anni, motivi veri di gloria.
E infatti è proprio così: non è la BBC! E’ semmai la MDC, la Maria Di Costanzo tivvì! Questo singolare oggetto del mistero che - ben rappresentato dalla satira di talento di un’artista incredibilmente tenuta a distanza dal piccolo schermo - riassume in unica fonte tutti i requisiti necessari per l’antitesi della televisione: cacofonia, monotonia e vuoto di contenuto ben miscelati nelle derive più inquietanti dell’individualismo - il mito del successo per il successo – e della grassa ignoranza che rappresenta tristemente molta gioventù di oggi.
Patologie che ben si inquadrano nella decadenza della nostra civiltà: disoccupazione di massa, declino demografico, globalizzazione selvaggia, scomparsa del valore religioso autentico, declino della famiglia, debito pubblico, lobbismo e una cultura basata sul “panem et circenses”, solo in apparenza meno bruta di quella borbonica, fondata sulle tre effe di Festa, Farina e Forca.
Patologie alla cui genesi - mai interpretata e tanto meno rappresentata, come sarebbe dovuto, dal servizio pubblico, per definizione deputato all’informazione e alla formazione dei cittadini - non è estranea la stessa Rai.
D’altronde, l’abbiamo già detto: …non è la BBC. Questa è la Rai,…. la Rai Tibì!
Adriano Colafrancesco
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