E così, dopo la travagliata decisione della Corte Costituzione sull’Italicum, le elezioni anticipate sembrano avvicinarsi. Sembrano... ma non è detto che sia così.
L’unica
cosa certa è che l’Italicum
fosse incostituzionale. Ma si vedeva ad occhio nudo, senza bisogno
che la Corte si spremesse tanto. Era semplicemente un parto del
delirio d’onnipotenza del Vispo Tereso, esattamente come la riforma
costituzionale poi randellata al referendum. L’uno e l’altra
pensati per ampliare a dismisura i poteri del padrone del pastificio,
ovvero della figura che – secondo la fantasiosa architettura
costituzionale renziana – avrebbe dovuto riunire due diverse
funzioni: quella di capo del partito di maggioranza e quella di capo
del governo. Nel presupposto – sempre dovuto alla smisurata
presunzione del ragazzo – che fosse lui e sempre lui il titolare di
quelle due funzioni.
Intanto
– nel lasso intercorrente tra il varo e la bocciatura di quelle
riforme – era avvenuto un fatto di non trascurabile importanza: il
rafforzamento del Movimento Cinque Stelle e, conseguentemente, la
fine del vecchio quasi-bipartitismo e l’avvento di un
quasi-tripartitismo. Stando ai sondaggi, i principali soggetti che
oggi potrebbero spartirsi i suffragi degli italiani, sarebbero tre:
PD, Grillo e Centro-destra. Tutti attorno al 30%, quasi alla pari.
Secondo l’ultimissimo rilevamento Demos
commissionato da “Repubblica” (4 febbraio), in questo momento
l’ordine d’arrivo sarebbe il seguente: primo il Centro-destra
unito (31,8%), secondo il PD (29,5%), terzo Grillo (26,6%); al quarto
posto la sinistra-sinistra (5,4%); mentre i cespugli centristi
(alfaniani, verdicchi, casinisti, eccetera), tutti insieme,
arriverebbero appena al 3,5%, ben al di sotto della soglia per
accedere alla ripartizione dei seggi.
Tutto
ciò, nel presupposto che il Centro-destra si presenti unito, e che
il PD non si presenti diviso. Ma di questo parleremo dopo. Voglio
prima sottolineare altri due dati, che desumo dallo stesso sondaggio
(pur con tutte le cautele del caso). Il primo si riferisce alla
prospettiva di elezioni anticipate: il 70% degli italiani è
contrario. Il secondo è un dato che, a prima vista, sembrerebbe
riguardare solo gli equilibri interni al Centro-destra: il partito
che cresce di più è Fratelli d’Italia, «come
se
– leggo sul quotidiano debenedettiano – al
pari di altri paesi, fosse in atto un processo di radicalizzazione».
Fattore che non riguarda solo il Centro-destra, e vedremo poi il
perché.
Torniamo
adesso allo scenario principale, quello degli schieramenti in campo.
Cominciamo dal Centro-destra. Non occorre una laurea in matematica
per comprendere che, se si presentasse diviso, cederebbe il primo
posto a un PD unito o, se questo avesse subìto una scissione, al
Movimento Cinque Stelle. E, se il Centro-destra si spaccasse,
l’alleanza “sovranista” Salvini-Meloni rastrellerebbe un buon
20%, lasciando Forza Italia al palo del 10%. Tutto dipenderà da
Berlusconi: se non si renderà conto di rappresentare oramai il
passato, avrà sulla coscienza una sconfitta inevitabile (come alle
amministrative di Roma). Nel Centro-destra gli vogliono tutti bene,
ma la leadership non gliela riconosce più quasi nessuno, nemmeno una
parte del suo stesso partito. In pole position c’è adesso Giorgia
Meloni, al secondo posto – dopo Gentiloni e prima di Renzi –
nella graduatoria dei leader più popolari. Il giornalone della
sinistra radical-chic non lo ammette apertamente, ma ricorre a un
giro di parole per dire e non dire: «Gentiloni,
per quanto “impopulista”, oggi è il più popolare fra i leader.
Dichiara di aver fiducia verso di lui il 47% degli elettori. Oltre 10
punti più di Renzi. E poi: 9 più di Giorgia Meloni.»
Il che – se la matematica non è un’opinione – significa che la
Meloni è al 38% di gradimento, e Renzi a un 37% scarso. Comunque,
tutti e tre nettamente avanti – sia detto per inciso – rispetto
al portabandiera dei Cinque Stelle, Di Maio.
E
passiamo al PD. Anche qui il suo piazzamento dipende dal fatto che si
presenti unito o diviso. Renzi – ne abbiamo appena parlato – è
in caduta libera: 10 punti di gradimento in meno del suo successore,
il poco carismatico Paolo Gentiloni. E ancòra gli italiani non si
sono resi conto che l’ultimo guaio venuto fuori – quello della
manovra aggiuntiva di 3 miliardi e 400 milioni di euro impostaci
dall’UE – deriva dritto-dritto dalle folli spese per i migranti
(3 miliardi e 300 milioni solo nel 2016) oltre che dalle marchette
acchiappa-voti della demagogica gestione finanziaria renziana. Si
pensi – per fare un solo esempio – al “bonus cultura” di 500
euro (per libri, dischi, cinema, teatro, eccetera) omaggiato a tutti
i diciottenni, stranieri compresi. Proprio in questi giorni la RAI ci
bombarda con la pubblicità di “18app”,
invitando i neo-maggiorenni a richiedere le loro spettanze.
Quando
si scopriranno le carte (il che avverrà con l’imminente nuova
“manovrina”), sono certo che il Pascolatore di Bufale Toscane
dovrà cedere un’altra decina di punti di gradimento. Nel PD ci si
rende conto di tutto ciò, si comprende che la segreteria Renzi non è
più un valore aggiunto, ma un valore sottratto – diciamo così –
in vista dei prossimi appuntamenti elettorali, una palla al piede.
Molti chiedono un congresso per sbarazzarsi dell’incomodo, e
probabilmente altri pensano la stessa cosa pur senza avere – ancòra
– il coraggio di uscire allo scoperto.
Ma
il Renzi non ci pensa minimamente a farsi da parte. Si è buttato
allegramente alle spalle l’impegno di abbandonare la politica nel
caso di sconfitta al referendum. Dopo la gran legnata del 4 dicembre
ha lasciato soltanto la Presidenza del Consiglio (sarebbe stato
impossibile non farlo). Ma la segreteria del partito, no. Perché al
Segretario spetta di fare le liste, di designare i capi-lista e,
così, di determinare la formazione di gran parte della classe
dirigente del PD per il prossimo quinquennio: quella classe dirigente
che, a sua volta, sarà decisiva per indicare il candidato del
partito a Presidente del Consiglio.
Ecco
perché il Pifferaio dell’Arno pesta i piedi per andare sùbito ad
elezioni anticipate. Perché oggi sarebbe lui a fare le liste.
Domani, invece, quando i nodi saranno venuti al pettine, le cose
potrebbero assumere una piega assai diversa.
Scissione
o non scissione, comunque, l’ex rottamatore ha ben poco da stare
tranquillo. La prossima rottamazione potrebbe riguardare proprio lui.
In veste di rottamato. O di rottame.
Michele Rallo - ralmiche@gmail.com
Canzincina in sintonia:
"https://www.youtube.com/watch?v=x_bN3csa9Ow"
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